La competitività con gli occhi delle donne

Competitività e conflittualità tra donne. Competitività tra uomini e donne. Il tema è delicato, soprattutto se trattato da un uomo. È un tema infarcito di storia millenaria e stracolmo di tradizione, trasgressione, emancipazione, liberazione, restaurazione. E, appunto, di conflitti. Anche se circoscritto al mondo del lavoro, resta un argomento assai complesso. In questo breve spazio […]

Competitività e conflittualità tra donne. Competitività tra uomini e donne. Il tema è delicato, soprattutto se trattato da un uomo. È un tema infarcito di storia millenaria e stracolmo di tradizione, trasgressione, emancipazione, liberazione, restaurazione. E, appunto, di conflitti. Anche se circoscritto al mondo del lavoro, resta un argomento assai complesso.

In questo breve spazio ho scelto di parlare con due donne in carriera per farmi raccontare da loro che cosa ne pensano di questo ricco e articolato microcosmo del sistema lavoro: Maria Cristina Bombelli, studiosa di temi che riguardano l’inclusione femminile, docente alla Sda Bocconi, imprenditrice con la società di consulenza e formazione Wise Growth, e Federica Dallanoce, studiosa ed esperta del Corporate Control dopo una lunga esperienza nel gruppo Fiat, senior partner di Fair Play, vice presidente associazione Adaci ed ex amministratore delegato di importanti aziende metalmeccaniche.

Insomma, due donne che la competitività con uomini e donne l’hanno vissuta sulla loro pelle sia da posizioni subordinate che da posizioni di comando. Proviamo ad addentrarci in questo labirinto.

 

Maria Cristina Bombelli: L’Italia è maschile nell’intimo

“L’esistenza del soffitto di cristallo, ovvero una barriera invisibile per tenere lontane le donne e persone di colore, è cosa troppo nota in Italia per necessitare ulteriori dimostrazioni. Valga per tutti il report del Word Economic Forum sul Gender Gap, che pone il nostro paese nella 45° posizione su 59 paesi. Questo significa che ancora oggi pochissime donne accedono alle posizioni di potere in tutti i settori”. D’altronde, aggiunge Maria Cristina Bombelli, nella graduatoria di Bellinger Hofstede relativa alla mascolinità e femminilità, l’Italia è uno dei paesi che esprime uno dei più alti livelli di mascolinità. Il nostro paese è maschile nell’intimo. A conclusioni analoghe giunge Bordieu, un sociologo francese, che avvicina l’Italia, sui temi della dominanza maschile, più al Nord Africa che al Nord Europa.

“Per Bordieu è interessante sottolineare come ‘la forza dell’ordine maschile si misura nel fatto che non deve giustificarsi: la visione androcentrica si impone in quanto neutra e non ha bisogno di enunciarsi in discorsi miranti a legittimarla’. Traducendo in parole più semplici, la mascolinità delle organizzazioni è ovvia per coloro che la abitano; anche per le donne”.

 

Direi che lo scenario, per quanto riguarda il potenziale conflitto uomo donna è più che eloquente, oltre che drammatico. Ma esiste anche una competitività tra donne: lei come la ricorda, pensando alla sua esperienza professionale?

Quando ero giovane ho subito sia la competizione con gli uomini sia quella con le donne. I maschi sono più freddi, possono pugnalarti alla schiena con molte armi senza grandi problemi. La più classica è l’emarginazione che si mette in atto erigendo il cosiddetto soffitto di vetro. Per le donne la competitività è molto diversa. Le donne a mio parere non amano la competizione, e quindi il conflitto quando c’è è molto di pancia. Scivola nell’alternanza tra odio o amore. Detto questo, io non concordo affatto con chi sostiene che le donne sono più conflittuali tra loro degli uomini. Per un certo periodo della mia vita ho fatto l’assessore: quando c’erano i conflitti gli uomini erano ben presenti, le donne no, non erano interessate. Certo gli uomini sanno gestire il potere, perché la gestione del potere è una consuetudine, un allenamento che ancora le donne non hanno.

Lei nel suo libro scrive: “Quelle che imparano a combattere alla pari diventano lady di ferro o peggio mutanti che degli uomini hanno assunto le parti peggiori”. Un giudizio severo.

Ma è proprio così. Quando le lady di ferro si fanno avanti vengono indicate con un soprannome quasi sicuramente a evocazione sessuale

 

Federica Dallanoce: “Passare col rosso anche se gli altri passano solo col verde”

Federica Dallanoce ha una visione un po’ diversa della competitività tra donne, ma lo scenario della mascolinità è identico. La sua esperienza lavorativa è segnata dal suo primo lavoro in Fiat, dov’è arrivata a 25 anni. “Un luogo che mi ha formato ma che, anche a essere generosi, non si può dire che avesse un’attenzione alle quote femminili: nelle selezioni il rapporto donna-uomo era di due a otto. La percentuale di crescita delle donne era dello zero per cento”.

 

È da quell’esperienza che ha maturato l’idea che le donne non sanno fare squadra?

Difficilmente le donne iniziano a fare squadra. Guardi nello sport che cosa sta accadendo: c’è una valanga rosa che sta vincendo tutto. Ma io credo che siano i padri che le hanno messe in competizione, e non a caso.

E questo secondo lei perché avviene?

La risposta potrebbe essere molto complessa, ma alla fine io credo che ci sia una semplice constatazione: non ci hanno educato a fare squadra. Soprattutto per le donne c’è sempre un esame, c’è sempre qualcuno che ti deve mettere alla prova. Se davanti a un semaforo passi con il rosso quando gli altri sono fermi in attesa del verde devi rispondere di questa azione. Ognuno di noi ha una propensione al rischio di cui può essere più o meno consapevole. Nelle relazioni lavorative fra donne e uomini abbiamo ancora molto da imparare. Ansia da prestazione, voglia di emergere e di riconoscimento, ricerca di ricompensa/promozione, sono tutte motivazioni che popolano la nostra vita lavorativa. Se non fosse così, non assisteremmo a uomini (capi) che ignorano le collaboratrici, o a donne temute come capi. Sarebbe molto più semplice essere trasparenti e diretti nelle relazioni di lavoro, invece che indossare la maschera della convenienza e convivenza. Mi sembra che l’argomento sia evitato, piuttosto che affrontato con intelligenza e tatto.

Che cosa ne pensa dei pari diritti?

Sorride.

Davanti al principio dei pari diritti tutti dicono sì, ma la vera differenza sta nell’agire. E qui iniziano i problemi: se diventi un ostacolo, o peggio un nemico, il maschio ti deve mettere a posto, magari non fornendoti informazioni o magari con il silenzio. E presto ti accorgi che qualcosa è cambiato. D’altronde se lei ci pensa anche il linguaggio muta: l’uomo viene chiamato ingegnere la donna signora.

E nell’organizzazione del lavoro qualcosa sta cambiando?

Mi pare di sì. È vero che le decisioni continuano ad arrivare in modo verticale, l’uomo non vuole perdere tempo, vuole raggiungere un determinato obiettivo e basta. Ma io penso che nelle organizzazioni di impresa si stia affermando un modello orizzontale che è molto femminile. È una logica di elaborazione complessa, di condivisione del rischio, di senso di appartenenza. E tutto ciò è molto femminile.

Lei come ha affrontato questi ostacoli giganteschi che mi sta raccontando?

Intanto sono partita dalla considerazione che il riconoscimento tra donne è difficile perchè, come le dicevo, siamo state addestrate a riconoscere l’uomo. L’unica strada possibile era ed è quella dell’autorevolezza. Essere riconosciute da uomini e donne per la tua autorevolezza. A proposito della metafora del semaforo: se sei autorevole puoi decidere di passare con il rosso, anche se tutti passano con il verde.

 

 

Photo by Sharon McCutcheon on Unsplash

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