La formazione non è un benefit ma uno strumento di crescita

Per chi si occupa di HR in azienda è la norma ricevere offerte e proposte progettuali della più varia natura. Molte buone, altre meno. Fra le seconde, la variabile più ricorrente è il modello “specchietto per le allodole” con l’aggancio “offro una formazione strategica di alto livello” oppure, peggio ancora, “con questo progetto cambierà la […]

Per chi si occupa di HR in azienda è la norma ricevere offerte e proposte progettuali della più varia natura. Molte buone, altre meno.

Fra le seconde, la variabile più ricorrente è il modello “specchietto per le allodole” con l’aggancio “offro una formazione strategica di alto livello” oppure, peggio ancora, “con questo progetto cambierà la cultura organizzativa”.
I temi proposti sono ricorrenti: comunicazione interpersonale, organizzativa, gestione dei conflitti, gestione dello stress e così via, fino all’intelligenza emotiva e altro che sappiamo.

Questi temi in sé hanno un proprio valore, utilità e anche rilevanza scientifica, non è infatti questo in discussione.
Ciò che rileva è il contesto in cui si collocano e la distanza che a volte si riscontra dal contesto organizzativo stesso, nella proposta di un progetto come panacea per tutti i mali senza la benché minima cura nel voler approfondire e conoscere il sistema in cui andrebbe a collocarsi.

Cerco di spiegarmi meglio attraverso alcune semplificazioni: le organizzazioni non sono, né più né meno, che entità che processano informazioni e conoscenza. Le organizzazioni sono un sistema che ha dunque in sé infinite potenzialità di crescita, di sviluppo professionale e organizzativo; ma ogni organizzazione ha proprie specificità. Ogni bisogno è situazionale.

La formazione tradizionale deve cedere il passo all’”apprendimento organizzativo”. Occorre avere il coraggio e la forza di andare oltre l’attenzione dal compito, al corso come benifit, per volgere alla competenza. Vale a dire ad un aggiornamento della conoscenza e della capacità che sia connaturata agli altri sistemi di gestone e in linea con il mutare degli stessi assetti organizzativi. La formazione va dunque legata al contesto, agli obiettivi, agli stili di gestione e di leadarship, fino anche al sistema di relazioni sindacali.

Ciò significa che non vi deve essere preclusione a chi propone e si propone, ma occorre a mio avviso avere prima almeno l’accortezza di interrogarsi sul sistema attuale e sulle evoluzioni in essere. Dalla parte di chi il sistema formativo lo deve ideare e progettare è bene assicurare e mantenere ferma un’idea di formazione e sviluppo che sia in grado di integrare strategie, soggetti e strumenti per poter attuare così un cambiamento che sia sistemico e finalizzato ai bisogni reali di investimento. In breve: qualsiasi azione formativa, in astratto bella ed utile, se fuori contesto presterebbe il fianco al fallimento dell’idea in sé, di chi la propone e di chi la attua.

Per queste ragioni credo che per generare apprendimento occorra mantenere salda e costante l’interazione e condivisione con i soggetti impegnati nella ideazione e realizzazione degli obiettivi. I sistemi di sviluppo professionale ed organizzativo non si reggono sul mutuo adattamento; agiscono in modo integrato ed i relativi sistemi di coordinamento sono o vanno progettati con cura. La crescita si colloca nel continuum fra modello organizzativo e ruolo e solo in quello spazio la formazione può divenire momento essenziale del cambiamento, in quanto veicolo del cambiamento stesso.

Credo che il valore di un sistema HR e che la valorizzazione del processo formativo necessiti di:

  • consolidare un percorso comune, ampio e differenziato sulle competenze di ruolo, anche trasversali, necessarie ma non necessariamente esaustive della complessità dei ruoli stessi
  • favorire l’acquisizione e/o il consolidamento di quelle competenze che assumono rilievo e valore realmente strategico e direzionale, perché rappresentano le aree di valore a cui tendere
  • sostenere attraverso la formazione continua un’occasione di confronto duraturo e strutturato sulle attività da presidiare e gestire e le competenze utilizzate ed utilizzabili
  • alimentare un circolo virtuoso, dove gli indicatori che emergono dall’aula in formazione vengono poi trasformati in variabili oggetto di monitoraggio della performance lavorativa e dunque organizzativa; processo questo che a sua volta alimenta il piano formativo.

Il piano formativo non può dunque ridursi ad una mera sommatoria di corsi, ma va programmato e pianificato con cura affinché sia chiaramente rapportato agli obiettivi da raggiungere, va legato al piano strategico, al piano della performance, deve essere integrato con i sistemi di valutazione, con i sistemi diagnostici e con i modelli incentivanti.
In breve, il piano formativo deve operare, con chiarezza e coerenza metodologica, attraverso una responsabilità gestionale e professionale, piena e finalizzata all’organizzazione, deve essere rispondente ai modelli stessi che l’organizzazione si dà, deve essere parte integrante del sistema dei ruoli che il sistema stesso lo presidiano e governano. Tutto ciò senza cadere nella rete della “moda del momento” e per consentire alla formazione di riqualificarsi come strumento di gestione, crescita e cambiamento.

Non so se mai lo sia stata e certamente non lo è stata in modo diffuso, ma credo che la leva formativa debba riprendersi il proprio ruolo di voce, di comunicazione, di anello nobile di congiunzione del sistema e credo debba tornare ad avvalersi di professionisti seri e qualificati che a tutti i livelli, dal manager al formatore d’aula, riqualifichino la leva formativa nel proprio valore reale e nella sua fattiva utilità per l’evoluzione del sistema HR ed organizzativo, nella sua interezza.

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