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La gestione dei conflitti in azienda
Quante aziende hanno consapevolezza del (proprio) tasso di litigiosità? In Italia – dati dell’ European Commission for the Efficiency of Justice – sono pendenti quasi 5 milioni di processi civili ed ogni anno se ne iniziano più di un milione. Di questi, circa 40.000 sono divorzi e separazioni dei coniugi, 45.000 le cause ordinarie (risarcimento […]
Quante aziende hanno consapevolezza del (proprio) tasso di litigiosità?
In Italia – dati dell’ European Commission for the Efficiency of Justice – sono pendenti quasi 5 milioni di processi civili ed ogni anno se ne iniziano più di un milione. Di questi, circa 40.000 sono divorzi e separazioni dei coniugi, 45.000 le cause ordinarie (risarcimento danni e pagamento somme a diverso titolo). Molte di più le liti condominiali – circa 180.000 – e le controversie in materia di lavoro: solo quelle in ambito privato sono più o meno 120.000. Insieme rappresentano un 30% delle new entry.
Condomini ed aziende hanno in comune problemi relazionali. Certo si litiga per il riscaldamento e l’ascensore o per le qualifiche e gli straordinari, ma questo è solo la punta dell’iceberg. Sotto c’è il più complesso e nascosto fenomeno dell’incapacità di gestire in maniera efficace i conflitti interpersonali.
Il problema è capire che può esiste un problema di conflittualità….Quasi scaramanticamente non si pensa al conflitto. Si spera solo che non deflagri, confidando nel fato o delegando la sua gestione ad altri (HR, sanzioni disciplinari, diritto, avvocati, giudici) la gestione del contenzioso.
Eppure a ben vedere, si tratta di mettere le nostre vite, le nostre emozioni ed aspettative nella mani di giuristi che li trasformano in fascicoli cartacei, i quali solo molto poi che prima (l’Italia è il fanalino di coda in Europa e nel mondo per lunghezza dei processi) approderanno ad una sentenza che risolverà la vicenda legale senza tuttavia risolvere il problema delle persone che – paradossalmente – litigheranno più o peggio di prima.
Le persone (e le imprese) non sempre hanno una idea chiara di cosa sia un conflitto; di quando inizia, di come evolve e di come può essere risolto o di come (ed accade assai più spesso di quanto si creda) lo si possa peggiorare inconsapevolmente e drammaticamente.
Sentirsi dalla parte del giusto, di quello che è attaccato e si difende è statisticamente tanto comune, quanto – sempre statisticamente – impossibile: per litigare bisogna essere almeno in due ed il conflitto è uno dei fenomeni più democratici che esistano. Colpisce tutti: poveri e ricchi, laureati o analfabeti, scienziati o letterati, in casa o sul luogo di lavoro. Le aziende non possono fare eccezione.
Il conflitto è fisiologico in ogni rapporto umano; può diventare patologico quando escala e trascende sul piano della violenza, fisica, verbale o emotiva. Oggi più che mai, attesa l’estrema complessità di un modo iperconnesso, pare necessario creare un tessuto di conoscenze e competenze aziendali per accogliere il conflitto.
Ogni impresa, dalla fabbrica di stuzzicadenti alla multinazionale di micorchip può produrre confltti, magari piccoli o invisibili che solo un domani – forse cresciuti e complicati – daranno segni della loro effettiva consistenza. Sempre che domani non sia troppo tardi…
Ne soffre il benessere organizzativo: l’efficienza economica in termini pragmatici e la salute relazionale in termini umani. Non si tratta solo delle cause di lavoro, infatti, ma anche di altri piccoli o grandi iceberg: dallo screzio tra dipendenti alla lite con fornitori, clienti, collaboratori. I conflitti non risolti si trasformano in processi giudiziari: a tal proposito il filosofo Eligio Resta ha coniato l’efficace termine “tribunalizzazione dei conflitti”.
Spesso si sbaglia nel gestire i propri conflitti senza averne alcuna consapevolezza: con le migliori intenzioni si producono i peggiori disastri. La buona fede non basta.
Negli anni ‘80 il disastro aereo dell’Air Florida 90 fu causato da un conflitto non gestito in maniera efficace in cabina di pilotaggio. Comandante e secondo pilota si trovarono coinvolti in un conflitto che fu pagato con 78 vite. Nessuna delle vittime e tantomento i due principali protagonisti avevano voglia di morire. I due responsabili erano dotati delle competenze tecniche per volare, ma non di quelle relazionali per individuare un pericoloso conflitto, né di quelle necessarie per risolverlo: nessuno comprese – al momento opportuno, ma sfuggente… – la gravità del loro disaccordo sulla lettura degli strumenti, la potenza del motore e la neve sulle ali.
La compagnia aerea di bandiera coreana ebbe negli novanta grandi analoghi problemi legati alla gestione della relazione tra primo e secondo pilota: il comandante proveniva spesso dalla carriera militare ed era abituato a volare da solo. Il rigido rispetto della gerarchia impediva al “subordinato” non solo di contrastare le decisioni del capo, ma addirittura solo di parlare del disaccordo sulle manovre di volo!
Altre vite innocenti che potevano essere risparmiate. Se solo qualcuno si fosse posto il problema. Con l’inutile senno di poi. In entrambi i casi le autorità, seppure tardivamente, affrontarono la questione richiamando tutti i piloti per fornire loro una training specifico in materia di comunicazione efficace, negoziazione e gestione del conflitto.
Nella vostra azienda probabilmente nessun conflitto ucciderà mai nessuno. Spero solo che non vi stiate sbagliando, considerando che, se non avete delle conoscenze adeguate, potreste semplicemente ignorare o non vedere qualcosa che in realtà è ben vivo e presente.
Come ricorda Julian Jaynes il cervello è cosciente solo di quello di cui è cosciente: peccato che il mondo là fuori non lo sappia e se ne infischi producendo una miriade di eventi non visibili o udibili. Rischiamo quindi di auto-ingannarci, con le migliori intenzioni. Un cocktail altamente pericoloso. Anche se nessuno morirà, in molti facilmente ne soffriranno, compreso il sistema azienda.
Che fare a questo punto?
- Prima di tutto prendere atto che il problema c’è, anche se non si vede.
- Considerare che la vicenda giudiziaria non è la soluzione ideale perché – a livello egoistico /individuale – non risolve davvero il conflitto e nel contempo – a livello sociale/generale – contribuisce a peggiorare le performance della macchina giustizia.
- Creare una policy interna per gestire il conflitto. Ciò significa non esternalizzare subito il problema all’avvocato (il nostro paese ha il numero più alto di avvocati in Europa), ma dotare l’azienda di sistemi in house o in rete che consentano di intercettare il conflitto nella sua fase iniziale: uno sportello d’ascolto, l’organizational ombudsman o i servizi di mediazione.
Si tratta di spostare l’attenzione anche sugli aspetti relazionali della comunicazione, poiché – come ben sanno pubblicitari ed esperti di marketing – spesso non è importante cosa si dice, ma come lo si dice .Sarà un caso, ma condividiamo oltre il 98% del DNA con le scimmie: animali privi di linguaggio ed autocoscienza, ma con un articolata vita sociale e dunque relazionale (e con una morale!).
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