La Gran Bretagna congela i bonus ai supermanager

Siamo forse al superamento dei paradigmi nel mondo del lavoro. Arriva infatti da Londra la notizia che la Gran Bretagna ha deciso di estendere fino a 7 anni la possibilità di annullare le gratifiche assegnate per i cosiddetti “material risk takers” – i traders – e soprattutto per la prima linea del management, Ceo compreso. […]

Siamo forse al superamento dei paradigmi nel mondo del lavoro.
Arriva infatti da Londra la notizia che la Gran Bretagna ha deciso di estendere fino a 7 anni la possibilità di annullare le gratifiche assegnate per i cosiddetti “material risk takers” – i traders – e soprattutto per la prima linea del management, Ceo compreso. Se emergeranno ipotesi di cattiva gestione (misconduct), il bonus assegnato ai top executives sarà congelato per altri 3 anni così da consentire gli eventuali accertamenti.
Questo evento di per sé marginale come effetto reale nell’economia reale, in realtà mette in discussione un modello manageriale che valuta il manager in funzione del risultato immediato delle sue scelte nel conto economico della sua impresa.
A mettere in discussione il modello sono, da un lato, i rischi eccessivi fatti correre agli investitori e agli altri stakeholder e, dall’altro, evidentemente una presa di coscienza che nel modello caotico del mondo finanziario non è applicabile l’approccio deterministico causa – effetto, frutto di secoli di pensiero illuministico: tutto ciò sembra invece dirci che è meglio lavorare sulla stabilità del sistema per ottenere benefici a lungo termine, evitando, in sintesi, il cosiddetto “butterfly effect” teorizzato da E. Lorenz nella teoria del caos.

La vera notizia è dunque che istituzioni e banche incominciano a ragionare in modo diverso, noi più in ottica di espansione ma in ottica di stabilità del sistema macroeconomico.
Quanto può incidere questo sul nostro mondo reale e quanto ci si può spingere oltre su questo nuovo sentiero sono le domande utili che dovremmo porci.
Questa notizia permette di prendere spunto e citare altri paradigmi che credo vadano messi in discussione nel mondo del lavoro proprio in virtù di un nuovo cammino da percorrere.
La rivalutazione della rendita da lavoro a favore della rendita da capitale. E’ un concetto elementare che emerge a più riprese nel dibattito sociale: ma come non riflettere sul fatto che oggi le tasse sul capitale sono molte più basse rispetto alla tassazione del lavoro?

In questo cammino, soprattutto in Italia, vediamo che gli oneri sociali a protezione dei lavoratori sono tutti a carico dell’impresa, o meglio del costo del lavoro. Anche se “scaricare” questi oneri dalle aziende allo stato o al singolo è contrario alle politiche ferree di bilancio degli ultimi decenni, in realtà sarebbero il primo e naturale segnale per favorire il lavoro di impresa. Certo il percorso maldestro compiuto dalla Grecia in questo senso non incoraggia in questa direzione.
Un altro paradigma, tanto più forte da superare quanto più ignoto è il suo significato economico, è la finanziabilità del lavoro. In pratica, ad oggi sono finanziabili solo dei beni, gli unici finanziamenti in realtà realizzati e/o realizzabili nel finanziare il lavoro sono effettuati dalle venture capital che “scommettono” sui risultati di impresa, comprendendo nella valutazione gli asset intangibili del personale che compongono l’impresa. Per il resto, provate ad andare in banca a chiedere il finanziamento di un progetto, che preveda come investimento ad esempio la sola assunzione di personale per sviluppare la rete commerciale.

Una declinazione in questo senso di una politica finanziaria a favore delle aziende in crisi potrebbe essere creare un fondo di garanzia che sostituisca definitivamente la cassa integrazione assicurando il pagamento dello stipendio ai lavoratori se l’azienda non può pagare. Questo potrebbe sembrare utopistico, ma rivalutare i “non lavoratori” in cassa integrazione offrendo loro una copertura finanziaria, anche se parziale, dello stipendio, sarebbe molto più utile e moralmente accettabile.
Il punto sopra ci apre però una riflessione ulteriore sui benefici che questo tipo di sostegno del lavoro darebbero alla remunerazione di impresa. Il favorire la rendita da lavoro a favore della rendita da capitale di fatto darebbe un bell’aiuto ai proprietari di impresa e potrebbe avere al contrario un effetto di rendita contrario al principio di competitività. In un modello di prospettiva occorrerebbe bilanciare questo aspetto favorendo un ricambio continuo della classe imprenditoriale portando ad una trasformazione da padroni ad imprenditori.

Un tema ricco di risvolti che soprattutto in Italia è diventato un reale limite alla sopravvivenza dell’impresa. Che il capitale delle imprese venga aperto a nuovi imprenditori, manager e non, è il vero paradigma da sfatare se si vuole che il ricambio avvenga. Si tratta di un cambio culturale da un lato, ma anche di strumenti finanziari dall’altro. I paradigmi di cui abbiamo parlato (e non sono i soli) possono infatti dare frutto solo se il cambiamento arriva da più direzioni, dagli imprenditori, dai lavoratori e dalla politica. E per far questo occorrerà trovare una leadership nuova, non legata dunque ai vecchi modelli. La Gran Bretagna ci sta provando partendo dal mondo della finanza che senza dubbio le appartiene, anche per noi italiani è tempo di riconsiderare certi sistemi ormai troppo radicati.

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