La RSI emiliana combatte perfino le mafie del nord

Qui in Emilia-Romagna è così: si respira aria internazionale e provinciale insieme, si sfoggiano modelli di coesione sociale che affondano le radici nel passato e se ne sperimentano di nuovi, ci si infervora in vivaci dialettiche e ci si intorpidisce in confronti sterili. Nella terra dei piccoli paesi e dei grandi distretti dai riflessi cosmopoliti […]

Qui in Emilia-Romagna è così: si respira aria internazionale e provinciale insieme, si sfoggiano modelli di coesione sociale che affondano le radici nel passato e se ne sperimentano di nuovi, ci si infervora in vivaci dialettiche e ci si intorpidisce in confronti sterili. Nella terra dei piccoli paesi e dei grandi distretti dai riflessi cosmopoliti puoi incrociare caratteri risoluti e sorrisi aperti, inciampare in idee geniali e scoprire lo spirito di gente che non molla mai.

Anche qui – nei luoghi in cui tanto è possibile – dinamismo, intraprendenza personale e cultura del fare diffusa fronteggiano, non senza sforzo, i danni provocati dalla crisi economica del 2007-2008. Quel libero flusso di capitali, beni e persone, se da un lato ha aperto a nuove opportunità, dall’altro ha alzato l’asticella della competitività. I dati del terzo trimestre 2018 hanno registrato infatti un ripiegamento dell’export (-2,3%) in controtendenza rispetto alla crescita del totale dei distretti tradizionali (+1,4%) (Direzione Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo). Che le fasi di successo si alternino ad altre di minor fortuna è un dato di fatto, ma sempre difficile da accettare.

 

Il nuovo impegno etico delle imprese

Da tempo è noto che la competitività delle imprese locali si debba giocare su uno scacchiere che comprende innovazione, qualità e personalizzazione di prodotti e servizi, sfruttando dove possibile il “Made in Italy”: quella rendita di posizione costruita nel tempo che si fonda su gusto estetico, stile, raffinatezza, saper fare, ricerca e sviluppo. Una scelta che richiede creatività, abilità nel combinare tecnica ed estetica, reti di sostegno fatte di vecchie volpi e nuovi talenti, contesti disposti a evolversi e sperimentare. Accanto a questa strategia, nella generosa Emilia-Romagna si fanno strada altri piani d’azione che, nel ricercare equilibrio tra obiettivi economici e fini sociali, immaginano la costruzione di una società più coesa e moderna in cui la fiducia può espandersi anziché contrarsi, il capitale umano fiorire, la reputazione trasformarsi in variabile estremamente concreta del profitto.

“Nell’attuale contesto produttivo – spiega Luigi Cremonini del Gruppo Cremonini, Castelvetro di Modena – siamo consapevoli che l’impegno etico di un’impresa è entrato direttamente nella catena del valore, rendendo necessaria l’applicazione di leve competitive coerenti con lo sviluppo sostenibile. L’impresa assolve al suo ruolo innanzitutto perseguendo gli obiettivi economici che garantiscono la crescita e l’occupazione, ma non può trascurare il contesto sociale e lo stretto legame con il territorio all’interno del quale realizza la propria attività”.

Creazione di valore, quindi, ma anche di consenso. Lontano dal concetto di etica di impresa delle teorie elaborate negli Stati Uniti tra gli anni Cinquanta e la fine degli anni Settanta, in aperta antitesi al minimalismo morale sdoganato da Friedman, oggi l’etica d’azienda crea valore non solo per l’impresa stessa, i suoi azionisti e i suoi dipendenti, ma fa uno sforzo in più: crea valore sociale per ogni portatore di interesse, e include nel suo campo d’azione anche chi non influisce direttamente sul risultato economico della gestione. L’azienda è un nuovo soggetto che ascolta, dialoga, si rende credibile presso l’opinione pubblica, è affidabile, è responsabile.

 

L’RSI in Emilia-Romagna

Oggi la RSI è un tema in agenda, grazie anche all’impegno delle amministrazioni pubbliche – a partire dall’Unione Europea, passando per regioni, comuni, Camere di commercio, università – e delle multinazionali, organismi che per primi hanno subito l’impatto della finanza etica e dello sguardo attento di consumatori consapevoli.

Le prime esperienze di RSI si sviluppano come “inconsce”, “sporadiche” e “dipendenti”, un mix di filantropia che prende forma in interventi verso i dipendenti e poi si estende alla comunità. Sono praticate secondo sensibilità e necessità squisitamente individuali, miste a orgoglio e senso di identità con il territorio. Ma a Modena, nel 2009, c’è forte il desiderio di unire le forze e portare avanti un discorso comune in modo strutturato. Nasce così un organismo che ha rappresentato un’esperienza unica, un network informale di imprese per lo scambio di pratiche, approfondimenti tematici e la coprogettazione di iniziative di RSI.

Il Club Imprese modenesi per la Responsabilità Sociale d’Impresa per cinque anni opera come spazio di formazione, confronto, ma soprattutto di sperimentazione per nuove forme di partecipazione e miglioramento del benessere dei dipendenti, degli attori sociali del territorio e dell’ambiente, creando valore condiviso e una nuova cultura d’impresa. Nel 2014 il Club si trasforma in Associazione Aziende Modenesi per la Responsabilità Sociale d’Impresa, una rete di cui fanno parte trentasette operatori economici – microimprese, PMI e multinazionali – che impiegano complessivamente più di trentamila operatori sul territorio nazionale e che nel 2018 hanno realizzato centosette progetti di RSI.

Anche il settore pubblico fa la sua parte, e nel 2013 la Regione Emilia-Romagna sottoscrive un protocollo di cooperazione con il sistema camerale e le Province per sostenere e promuovere la responsabilità sociale delle aziende. Sul territorio vengono attivati nove laboratori provinciali che organizzano incontri periodici tra imprese locali, associazioni imprenditoriali, università, associazioni, sindacati e altri portatori di interesse, che dialogano e si confrontano, scambiano buone pratiche, elaborano e progettano azioni pilota su temi specifici di responsabilità sociale. Con il Premio Innovatori Responsabili, la Carta dei principi di responsabilità sociale d’impresa e le azioni per l’Agenda 2030, la regione promuove una visione integrata delle tre dimensioni della sostenibilità – economica, sociale e ambientale – per qualificare il sistema produttivo e renderlo più competitivo nelle sfide socioeconomiche globali e locali.

 

Il caso Aemilia: infiltrazioni mafiose da combattere con la Responsabilità Sociale d’Impresa

Sembrerebbe un contesto virtuoso, sostenibile, inclusivo. Eppure nella notte tra il 28 e il 29 gennaio 2015 scatta Aemilia, un’operazione dalla portata storica che sfocerà nel più grande maxi-processo per mafia al nord. Dalle indagini emerge il radicamento di una cosca che, infiltrandosi dal settore edilizio, riesce a espandersi a quelli dei trasporti, del movimento terra e dello smaltimento dei rifiuti, integrandosi perfettamente nel tessuto economico del territorio tanto da riuscire a sfruttare i lavori di ricostruzione post-sisma del 2012 per investire e reimpiegare i proventi illeciti.

I capi di imputazione per il caso Aemilia sono circa duecento e vanno dall’estorsione alle minacce, dall’usura all’intestazione fittizia dei beni, dal falso in bilancio alla turbativa d’asta, dalla detenzione illegale di armi al caporalato e sfruttamento di mano d’opera fino al reato più grave: l’associazione a delinquere di stampo mafioso. Un abbraccio mortale, quello tra Emilia-Romagna e mafia, che risale agli anni Settanta-Ottanta con l’arrivo sul territorio di numerosi sorvegliati speciali; nomi come Procopio di Maggio, Tano Badalamenti, Giacomo Riina, Rocco Antonio Baglio, Raffaele Diana, Nicola Femia. 148 gli imputati e 118 le condanne nella sentenza di primo grado del 31 ottobre 2018.

Ecco allora che in un contesto chiaroscuro come quello emiliano-romagnolo, esperienze e pratiche di Responsabilità Sociale di Impresa assumono un valore ancora più rilevante. Strumenti come il bilancio sociale, il rating di legalità, i sistemi di certificazione della qualità, la trasparenza, la condivisione di buone pratiche, l’organizzazione di azioni e interventi per lo sviluppo di un’etica di impresa, operano per la diffusione di una cultura della solidarietà e della responsabilità, che oltre a contrastare il fenomeno dell’illegalità previene le infiltrazioni mafiose e il radicamento della criminalità organizzata. Così aiuta il territorio a migliorare il modello di sviluppo in un’ottica di crescita sostenibile per assicurare benessere e sviluppo collettivi.

Si tratta di un concetto di responsabilità che prende le distanze da quello di vecchio stampo, che impone di “non fare”, e ne abbraccia un altro, che assegna alle aziende il compito di “prendersi cura”, di “farsi carico di qualcosa”. Un ruolo che conferisce nuova dignità al modo di fare impresa e che richiede matrici culturali differenti da quelle che si limitano al solo risultato del tornaconto economico.

 

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