Manager che escono dalla porta e rientrano dalla finestra

Quando vent’anni fa entrai nel favoloso mondo della consulenza e della formazione, una collega senior di fama mi disse: “Col tempo scoprirai che questo mercato è assai simile a quello dei profumi: il consulente di mestiere sa che l’eleganza della confezione e della boccetta è assai importante, a volte più del profumo che vende”. Ho […]

Quando vent’anni fa entrai nel favoloso mondo della consulenza e della formazione, una collega senior di fama mi disse: “Col tempo scoprirai che questo mercato è assai simile a quello dei profumi: il consulente di mestiere sa che l’eleganza della confezione e della boccetta è assai importante, a volte più del profumo che vende”.
Ho la sensazione che in questi vent’anni il mercato dei profumi sia cambiato. La qualità degli ingredienti e l’unicità della fragranza sono oggi più rilevanti.

All’inizio degli anni Duemila ai profumi molte società di servizi hanno unito i balocchi: edutainment, gamification, leggerezza, mentre il mondo contava i mesi che lo avrebbero separato dalla grande crisi finanziaria, divenuta poi crisi economica. Così, quando la situazione si è fatta seria, nuove priorità sono emerse. In primo luogo si è sentita l’esigenza di fare efficienza nelle imprese e alcune hanno deciso di tagliare proprio i servizi di consulenza e di formazione.

Per rendersi accettabili i consulenti hanno promesso di rendere l’azienda sempre più snella sul piano tecnologico e della gestione dei costi. Hanno venduto bene i loro servizi le imprese di consulenza di fama mondiale che hanno scelto, per il loro profumo, un package elegantemente minimalista. Erano consulenti costosi questi, ma capaci di giustificare i loro costi con maggiori risparmi, di solito pagati dai dipendenti delle aziende dove questi consulenti sono intervenuti. In alcuni casi le ristrutturazioni realizzate grazie all’intervento delle società di consulenza hanno prodotto uno scivolo cioè una uscita agevolata di dirigenti dalle aziende.

Si è così prodotto il fenomeno dei boomerang consultants, ovvero i manager storici buttati fuori dalle aziende che sono rientrati nelle medesime in veste di consulenti, in virtù delle loro competenze e della loro capacità di influenza. Così ai consulenti “capaci di tagliare i costi” si sono uniti i consulenti ex dirigenti usciti dall’azienda per tagliare i costi: “the magic circle”.

Oggi bussano alle porte delle aziende italiane le grandi società di consulenza e formazione, alcune realtà di medie-piccole dimensioni (quelle che amano definirsi boutique) e i freelance, tre attori caratterizzati da una unica ossessione: scovare nuovi clienti. Ma quali? Nelle grandi aziende spesso i decisori di acquisto dei servizi di consulenza e formazione si sono trasferiti all’estero, dove hanno sede la casa madre che ha acquisito l’azienda ex italiana o gli uffici centrali dopo l’accorpamento degli uffici presenti in diversi paesi europei. L’HR e l’IT sono le prime funzioni che vengono integrate diventando servizi globali di taglio almeno continentale. Non tutte le società di consulenza riescono però a gestire servizi multinazionali.

I potenziali clienti di medie dimensioni a gestione imprenditoriale spesso diffidano della consulenza, perché pensano che si tratti di profumi e balocchi. Come dare loro torto in un mercato nel quale molti hanno venduto il servizio in questi termini? Per proporre i loro servizi ai potenziali clienti rimasti consulenti e formatori tentano così di seguire le mode del momento. Il digitale tira tantissimo. Un’App non si nega a nessuno e anche i clienti pretendono un servizio coerente con questo mood: “Scusi, ma voi avete il robotino da portare in convention per lanciare il progetto di CRM? ” oppure “Scusi, volevamo far volare dei droni sopra l’azienda il giorno del lancio del progetto, e far vedere l’immagine del drone, per immaginare il futuro del servizio a domicilio. Voi che droni avete?”.

Accanto alla tecnologia resta di moda la questione della valutazione delle performance. Mentre negli Stati Uniti le imprese più innovative si stanno liberando dal sistema delle “pagelle di fine anno” per abbracciare un modello di feedback continuo, basato su una vera relazione tra manager e team, da noi molte imprese stanno ancora lavorando all’introduzione del performance management: “Gli Stati Uniti stanno superando il modello della valutazione della performance perché lo hanno già fatto. Noi ancora non lo abbiamo fatto, quindi prima lo introduciamo e poi in futuro lo aboliremo”. A questa considerazione è spesso inutile rispondere con un: “Chi di noi comprerebbe nell’era dello smart phone un telefono con la ruota?”.

Terza moda del momento: lo smart working. Finalmente si potrà lavorare in azienda in modo flessibile. Senza tecnologia e senza un minimo di cultura della delega lo sforzo tuttavia sarà vano. Ma c’è chi pensa di vendere servizi di consulenza per lo smart working senza andare a toccare in modo profondo la cultura di una impresa. Per cambiare, alle organizzazioni servono visione, competenze, incentivi, risorse e un piano di azione. Se manca uno solo di questi aspetti è impossibile gestire un processo di cambiamento complesso.

In alcuni casi le imprese vorrebbero affrontare il cambiamento senza mettere mano ad almeno uno di questi elementi. A voler essere onesto il consulente raccomanda un lavoro più approfondito e completo e, se l’azienda non intende lavorare su tutti gli elementi necessari per un vero cambiamento, con cortesia si ritira. Ritirandosi tuttavia la nostra consulente o il nostro consulente sanno per certo che passerà di là il giorno dopo un concorrente, di mestiere appunto, disposto a vendere un progetto di cambiamento impossibile, un bellissimo balocco, una nuova fragranza con accenti però decisamente eleganti nella confezione.

 

[Credits photo: unsplash.com/needle50k]

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