La capacità di comunicare con efficacia è una componente basilare del comportamento organizzativo del manager. Essa esercita una diretta influenza sulla credibilità del ruolo professionale e sull’espressione dell’autorevolezza.
La figura del manager è, sempre più, quella di uno specialista nei rapporti interpersonali, capace di iniettare significati ed energia nelle persone. Tutto ciò è impossibile senza la padronanza dei processi di comunicazione.
Da sempre e soprattutto nell’attuale realtà socio-economica, fatta di rapidità, sfide e carenza di risorse, è irrinunciabile possedere la capacità concreta di chiarire e condividere obiettivi, strategie, valori, regole, responsabilità, progetti, idee, problemi, soluzioni, priorità. È facile osservare che un manager trascorre ben oltre la metà del proprio tempo ad ascoltare, parlare, scrivere e convincere: cioè a comunicare.
Essere abili nella comunicazione non significa semplicemente essere affabili.
Significa saper impiegare le risorse del linguaggio verbale e non verbale, consapevolmente e in modo adeguato al contesto.
Più in dettaglio, dato un certo linguaggio, comunicare significa:
- prestare attenzione/far prestare attenzione
- ascoltare/farsi ascoltare
- capire/farsi capire
- ricordare/farsi ricordare
- agire/far agire.
Compito del manager è coltivare incessantemente questi cinque passaggi, senza mai dare nulla per scontato. Solo così aumenta la probabilità di chiarire, condividere e coinvolgere.
Sembrerebbero passaggi ovvi e automaticamente conquistabili.
Ma attenzione: una cosa è innescare, con una certa intenzione, un processo di trasmissione di un messaggio (atto di comunicazione tentato), altra cosa è l’effetto della trasmissione e la sua corrispondenza con l’intenzione (atto di comunicazione riuscito).
Per cui intendersi e collaborare è tutt’altro che scontato, specialmente quando si è stanchi e si va di fretta (cioè praticamente sempre). Segue una rapida panoramica sui principali fattori di efficacia della comunicazione che il manager dovrebbe padroneggiare con consapevolezza e sistematicità.
Non si tratta di “ingredienti manageriali” che “se ci sono bene, altrimenti fa lo stesso”, si tratta di veri e propri strumenti di lavoro quotidiano, pregiudiziali per l’espressione dell’autorevolezza.
1. La qualità verbale
Consiste nel saper formulare discorsi chiari e convincenti.
Ecco le indicazioni fondamentali:
- preannunciare il tema e lo scopo del messaggio nel suo insieme
- esporre in modo ordinato, andando per punti e seguendo un filo logico
- concentrare la conversazione su punti chiave e collegarli fra loro
- usare la costruzione paratattica del discorso (assenza o ridotto numero di frasi subordinate)
- privilegiare la semplicità e la brevità
- non andare fuori tema
- essere specifici senza diventare prolissi
- fare esempi, analogie e metafore per offrire concretezza e favorire il ricordo
- spiegare il linguaggio tecnico
- incoraggiare l’interlocutore a fare domande
- evitare i marcatori di discorso (quello che è, come dire, diciamo, diciamo così, piuttosto che, comunque, praticamente, cioè, per così dire, in un qualche modo, appunto, di fatto, etc.) poiché rendono il discorso noioso e frammentato
- riepilogare i punti salienti del proprio messaggio
- esplicitare le conclusioni.
2. La qualità vocale
Riguarda l’impiego corretto e mirato della voce. La voce è uno strumento di comunicazione portentoso e straordinariamente versatile. È una leva fondamentale di espressività che crea importanti effetti sull’attenzione e sull’emotività.
Chi impara a governare la propria voce ha decisamente una marcia in più: la marcia della fascinazione retorica, fattore fondante della credibilità e della persuasività.
Le variabili operative del canale vocale sono: tono, volume, ritmo e ponti sonori (Ehmmm … Ahmmm … Uhmmm … e simili; una vera piaga della comunicazione orale: devastano l’attenzione, trasmettono la sensazione di un oratore poco preparato e demotivato).
3. La qualità visiva
Concerne il linguaggio del corpo (mimica, sguardo, gesti, posture).
Solo se ci esprimiamo congruentemente con le parole e con il corpo, possiamo passare il nostro messaggio in maniera incisiva e credibile.
4. Il carisma linguistico
Un doveroso approfondimento sulla comunicazione verbale. Le parole possono essere carezze o schiaffi, ordini o proposte. Le parole possono emozionare e convincere oppure scatenare un netto rifiuto. Mettere insieme le parole giuste è un’arte sottile e potente troppo spesso ignorata.
Ecco alcuni spunti operativi a uso del manager: è preferibile impiegare i messaggi-io (in prima persona) al posto dei messaggi in seconda persona. Esempi di messaggi in seconda persona: “”Non mi date nessuna sicurezza”, “Fammi avere la documentazione”, “Cerca di capire”, “Siete nuovamente in ritardo”, “Telefona al fornitore”, “Chiamami sul cellulare dopo le 16”.
In tutti questi esempi, il soggetto è il pronome “tu” (seconda persona singolare) oppure il pronome “voi” (seconda persona plurale): la frasi vengono percepite dall’interlocutore come fastidiose prescrizioni di comportamento o critiche predisponenti al rifiuto e al conflitto. Molto meglio volgerle in prima persona: “Non mi sento sicuro”, “Attendo la documentazione”, “Ho bisogno che siate in orario”, “Ti chiedo di telefonare al fornitore”, “Aspetto la tua chiamata sul cellulare dopo le 16”.
Il messaggio in prima persona veicola rispetto reciproco, dona autorevolezza al parlante, responsabilizza l’interlocutore e previene il battibecco.
Attenzione all’effetto psicologico delle congiunzioni avversative (ma, però, tuttavia). Dire “Il tuo progetto è molto valido ma è di difficile realizzazione” e dire “Il tuo progetto è di difficile realizzazione ma è molto valido” non è la medesima cosa. La congiunzione avversativa “cancella” ciò che la precede enfatizzando ciò che la segue. Quindi molto meglio la seconda forma della prima.
Il “tuttavia” è assai più vellutato del “ma” e del “però” e quindi da preferire.
Effetto positivo si ottiene sostituendo le congiunzioni avversative con quelle copulative (ove possibile): sostituire i “ma/però” con “e”. Esempio: “La tua proposta è interessante e onerosa” invece di “La tua proposta è interessante ma è onerosa”.
- Evitare le parole e i verbi del dubbio e dell’approssimazione (magari, casomai, eventualmente, forse, attimino, momentino, minutino, cosina, pochino, problemino, domandina, cosuccia, etc.): trasmettono inaffidabilità e banalizzano il discorso.
- Usare parole e verbi che evocano collaborazione (ascoltare, essere utile, imparare, offrire, aiutare, cooperare, insieme, sinergia, assistere, gruppo, consigliare, costruire, suggerire, consultarsi).
- Usare verbi che evocano controllo ed efficacia (analizzare, rispondere, gestire, risolvere, produrre, affrontare, verificare, valutare, pianificare, formulare, ripensare, rivedere, affrontare, riassumere, risparmiare, facilità).
Per concludere, ricordo la comunicazione di cortesia: abbondare con l’impiego di “per favore, per cortesia, grazie, prego”. Non costano nulla e hanno sempre un ottimo effetto. Per di più distinguono le persone dotate di buona educazione, importante tratto distintivo in un’era di imperversante cialtroneria. Nessuno ama relazionarsi con manager rudi e sbrigativi. E nessuno li rispetta.