Paolo Giulierini: anche Napoli ha il suo SuperMANN

Cosa ci fanno Darth Vader e i cimeli della squadra del Napoli in un museo? Simboleggiano il percorso compiuto dal MANN – Museo Archeologico Nazionale di svecchiamento e cambiamento, di passo e di visione. Grazie alla progettualità messa in campo da Paolo Giulierini, che dal 2015 dirige il tempio dell’archeologia classica partenopea, il MANN è […]

Cosa ci fanno Darth Vader e i cimeli della squadra del Napoli in un museo? Simboleggiano il percorso compiuto dal MANN – Museo Archeologico Nazionale di svecchiamento e cambiamento, di passo e di visione.

Grazie alla progettualità messa in campo da Paolo Giulierini, che dal 2015 dirige il tempio dell’archeologia classica partenopea, il MANN è sempre più un modello virtuoso di istituzione capace di accrescere i suoi numeri, ma soprattutto di farsi soggetto culturale ampio in una dimensione locale. Proiettato a livello internazionale – la mostra itinerante in Cina Pompei. The infinite life ha registrato nei primi sei mesi oltre due milioni di visitatori –, il Museo archeologico in questi anni è tornato inoltre a essere punto di riferimento e di aggregazione per la città metropolitana, diversificando la propria offerta culturale e promuovendola in maniera più efficace e capillare. Ne sono un esempio la mostra MANN@HERO – Gli eroi del mito dall’antichità a Star Wars, terminata a luglio, o la prima edizione del Festival internazionale ArcheocineMann, in programma a ottobre, dedicata al dialogo tra cinema e archeologia.

C’è chi ha storto un po’ il naso di fronte a queste proposte, parlando di rischio di perdita di identità per il museo archeologico. Ma l’obiettivo di Giulierini è chiaro: prendere l’antico e farne elemento di riflessione e congiunzione con la contemporaneità, utilizzando gli strumenti oggi a disposizione; senza naturalmente trascurare le attività scientifiche e di ricerca che competono al MANN. Dietro al recupero e alla nuova immagine dell’istituzione napoletana ci sono quindi pianificazione delle azioni e un lavoro capillare sulla comunicazione, che ha introdotto anche digital innovation e gamification. Approfondiamo allora con il direttore Paolo Giulierini le strategie che stanno permettendo al Museo archeologico di fare da apripista in Italia in termini di gestione e comunicazione museale.

 

 

Il piano 2016-2019 definiva strategie e obiettivi per rilanciare il MANN, dall’incremento del numero di visitatori alla valorizzazione del grande patrimonio conservato nel museo. Quali direttrici, nello specifico, hanno guidato questa operazione di rilancio?

Il senso profondo dell’operazione è stato restituire un enorme patrimonio celato da decenni ai cittadini. Così si è deciso di riaprire ogni anno una sezione: quella Egizia nel 2016, l’Epigrafica nel 2017, Magna Grecia e Preistoria nel 2018 e Statuaria Campana a cavallo tra il 2019 e il 2020. Il Museo tornerà così ai fasti di un tempo, ma con un sistema completamente aggiornato di didattica, servizi e comunicazione. Puntando al milione di visitatori – siamo passati da 280.000 a oltre 600.000 alla fine di quest’anno – aggiungeremo caffetterie, ristoranti, giardini e grandi spazi didattici.

Qual è il bilancio che può trarre fino a questo momento? Che cosa è stato fatto e che cosa resta da attuare?

Il bilancio è lusinghiero: triplicazione del pubblico, riapertura totale alla città, museo più innovativo d’Italia secondo Artribune nel 2017. Per il futuro è prevista l’apertura dell’ala nuova dotata di ristorante, caffetteria, auditorium e un grande store sotterraneo collegato alla metropolitana sul modello Louvre.

La programmazione interdisciplinare del MANN e – ad esempio – la collaborazione con il Napoli calcio per la mostra Napoli nel mito potenziano il già forte rapporto identitario tra il museo e la città. È questa apertura al pop ad aver fatto riavvicinare il pubblico dei visitatori?

Occorre chiarire un concetto di fondo. Siamo noi a sacralizzare spesso il passato che, invece, aveva società multiculturali piene di interessi e contraddizioni: da quello agonistico a quello musicale, dall’espressione di picchi del pensiero filosofico a una visione che riteneva “normale” la schiavitù. Tutto quello che oggi noi facciamo e come lo facciamo deriva da lì. È dunque naturale mettere a confronto, tra antico e presente, ogni ambito, non solo quello strettamente artistico. Capiremo meglio noi stessi.

Riuscire a riconnettere il dialogo tra il museo e i napoletani ha richiesto mosse “coraggiose” dal punto di vista dell’offerta culturale.

Abbiamo attratto i cittadini di Napoli con iniziative specifiche, ad esempio i “Giovedì sera del MANN”, e con la terza domenica del mese dedicata ai laboratori per bambini. Non solo: tutti i giovedì pomeriggio abbiamo un nutrito cartellone di conferenze e dal 1 dicembre il lancio dell’abbonamento. Inoltre, tanti sono stati i festival proposti: il Festival MANN, Fuoriclassico, l’ArcheocineMANN. Per noi avere i cittadini significa vederli tornare come se il museo fosse un luogo di incontro consueto.

Su quali strategie – prima di tutto comunicative – avete puntato invece per intercettare in maniera sempre più efficace i flussi turistici della città?

Abbiamo puntato su strategie comunicative nuove: cartoon, clip divertenti, videogame diffusi viralmente nelle principali infrastrutture cittadine, sui canali social e sulla rete mondiale. Il videogame Father and Son è stato scaricato in tutto il mondo da oltre 4.000.000 di utenti. Ma anche le nostre mostre all’estero annue – oltre trenta – contribuiscono a intercettare un pubblico a cui solleticare un appetito, quello di tornare al MANN.

Che immagine di Napoli e del museo consegnano all’estero il progetto MANN nel Mondo e la costituzione di protocolli di intesa con grandi musei come l’Ermitage, il Louvre e il Getty?

I grandi protocolli con il Getty o l’Ermitage collocano il MANN tra i grandi del pianeta; per l’archeologia non temo di dire il più grande. Naturalmente a noi interessano anche i programmi scientifici che nascono in parallelo con le mostre, e siamo molto attenti a recepire novità e punti di approccio diversi, guardando con molta attenzione anche all’Oriente, come Cina o Giappone.

L’aspetto umano è stato fondamentale nel rilancio della “macchina” museo. In che modo ha impostato un rapporto fiduciario con il personale?

Lo scatto che abbiamo realizzato è consistito nel condurre il personale a considerarsi protagonista di una grande avventura, facendolo sentire orgoglioso di rappresentare un soggetto in grande ripresa. Il primo annual report indicava solo i ritratti dello staff al completo. Come dire, il MANN siamo tutti noi.

Napoli sta vivendo una nuova fase di dinamismo a livello culturale. Come ha contribuito il MANN a questo fermento, e in generale quale ritiene debba essere il ruolo del museo, in sinergia con gli altri attori istituzionali, per lo sviluppo culturale ma anche economico della città?

Il MANN ha contribuito alla rinascita di Napoli con un grande apporto metodologico: programmazione al posto di improvvisazione; rigore e spessore al posto di situazioni clientelari; dialogo con ambiti universitari, aziendali e apertura e sostegno alle idee dei giovani archeologi e professionisti. Abbiamo da subito rigettato il cliché del piangersi addosso o della città o del museo tradito. Per noi non contano le trame altrui, ma ciò che noi riusciamo a mettere in piedi. Con trasparenza, senza scusanti, ammettendo i propri errori. Sappiamo cadere, ma sappiamo anche arrivare alla meta.

Alla luce dell’esperienza del museo archeologico, come definirebbe un modello vincente di gestione museale sia sotto il profilo manageriale che dei contenuti e della ricerca?

Il modello di un museo vincente oggi è quello di un istituto che offre strumenti culturali utili a creare cittadini consapevoli. Allo stesso tempo, la cultura e la conoscenza devono essere fornite attingendo allo stupore, alla piacevolezza, al diletto. Insomma, al Museo si deve apprendere divertendosi, si deve star bene e si devono porre le condizioni perché a tutti sia fornita un’occasione di crescita. Altrimenti, bastano le polverose accademie.

CONDIVIDI

Leggi anche

Il brand di Expo è migliore della sua comunicazione

Esiste una grande teoria negli assetti strategici che si chiama “the golden circle” alla base della quale ci sono tre grandi cerchi, tre domande che dovrebbero essere alla base di ogni strategia: Cosa (fai), Come (lo fai), Perché (lo fai). Nella comunicazione dell’Expo, se alla prima delle due domande si è provato a dare una risposta, la […]

Se emergenza fa rima con fantascienza

In questi strani giorni di quarantena sto leggendo un libro di fantascienza. Mi ha sempre appassionato, la fantascienza, per la sua capacità di immaginare futuri; capacità che improvvisamente si rivela in questo periodo particolarmente utile e necessaria, ma che i grandi scrittori di genere – uno fra tutti Philip Dick – praticano da sempre senza […]