Mara Maionchi: “Dovessi iniziare oggi a lavorare nella musica, non saprei cosa fare”

La conferma per l’intervista a Mara Maionchi mi raggiunge in macchina mentre vado a Bologna. “Puoi chiamarla oggi alle quattro, ti aspetta. Tanto il numero ce l’hai già”. Oggi alle quattro. Con la sua assistente – intrepida e di parola – ci eravamo scritte due anni fa, poi avevo chiamato Mara al cellulare senza sapere […]

La conferma per l’intervista a Mara Maionchi mi raggiunge in macchina mentre vado a Bologna.

“Puoi chiamarla oggi alle quattro, ti aspetta. Tanto il numero ce l’hai già”.

Oggi alle quattro.

Con la sua assistente – intrepida e di parola – ci eravamo scritte due anni fa, poi avevo chiamato Mara al cellulare senza sapere che fosse diventata nonna da pochi giorni e mi fece sentire di casa, seppure fossi una sconosciuta, raccontandomi sentimenti e dettagli. Avevo riprovato a sentirla l’anno scorso per un invito e avevo infine ritentato l’intervista poche settimane fa mandando una mail.

Oggi alle quattro era piombato come un regalo senza preavviso: non sai come sarà ma corri a prenderlo.

La parola talento non l’ho nemmeno sfiorata.

“Devo dirti che è difficile parlare oggi di cultura del lavoro perché il lavoro nel mondo musicale è completamente cambiato. Una volta c’erano le grandi case discografiche in cui si entrava a lavorare e ognuno faceva la sua parte, non mancavano rapporti con persone esterne che potevano essere arrangiatori, tecnici delle sale discografiche, produttori. Oggi i gruppi di lavoro si sono trasformati perché adesso trovi il produttore che lavora in proprio, coi suoi artisti in proprio i quali a loro volta rischiano anche in proprio. Il lavoro viene condotto secondo logiche completamente diverse: se la guardavi dal lato dei mestieri, prima la musica veniva sezionata e ognuno faceva la sua piccola parte. Sono cambiati proprio i rapporti: c’era la casa discografica, sotto c’era il direttore artistico e a cascata tante professioni anche libere e autonome ma spesso sganciate dagli altri”.

Alcuni mestieri musicali sono scomparsi o sono stati assorbiti da altri?

Scomparsi no, assorbiti nemmeno. Sono cambiati.

Te lo spiego descrivendo il lavoro del produttore: era una figura che produceva per un grande gruppo, adesso produce per se stesso o direttamente per l’artista o per piccoli gruppi di lavoro che, insieme, coprono tutte le attività che vanno dal disco alla promozione alle serate nei locali.

Chiamiamoli anche manager; comunque sono un po’ i proprietari dell’artista che oggi può essere molto più autonomo rispetto al passato se pensiamo alla tecnologia, al digitale, alla fruizione.

Quando hai visto cambiare pelle alla musica?

Tutto si è accelerato una decina di anni fa, prima si riusciva ancora a riconoscere una fisionomia del passato.

Il cambio di passo sui metodi di lavoro ha inciso sui contenuti e sulla qualità della musica?

Direi di no, lo spero.

Qualche anello della filiera musicale avrà sofferto più di altri.

Senza dubbio le multinazionali rispetto ai piccoli gruppi.

Il disco in sé è svanito, è difficile vendere la parte registrata, si scarica tutto dal web. La musica si è fatta liquida, fisicamente non la maneggiamo più e per i prossimi anni credo continuerà ad essere immateriale.

Guardiamo a chi lavora, invisibile, dentro il sistema musicale. Esiste la parola carriera? Partiamo da te.

Io ho iniziato a lavorare nel ’59 per un’azienda di spedizioni internazionali, figuriamoci. Nella musica sono arrivata nel ’67 ma facendo tutt’altro, entrai nella segreteria di un ufficio stampa e lavoravo sugli artisti come sul prodotto disco come su qualsiasi altro tassello della filiera. Oggi sarebbe impensabile quello che facevo se non immaginandolo al seguito di un solo artista o di un solo genere che fa capo ad un gruppo di produzione. Dovessi iniziare oggi a lavorare nella musica, non saprei cosa fare.

Come ti hanno assunta?

Avevo risposto ad un annuncio sul Corriere della Sera, cercavano appunto una segretaria per l’ufficio stampa della Ariston, casa discografica nata a metà anni ’60 che gestiva nomi famosi come la Vanoni e Mino Reitano.

Incontrai il proprietario che mi fece qualche domanda, mi chiese se avessi esperienza e onestamente gli risposi che venivo da tutt’altro settore ma che avrei imparato in fretta. Ammetto che l’intraprendenza non mi è mai mancata, di attitudini ne avevo meno ma la curiosità mi ha salvata sempre. Carpivo ogni giorno il mestiere da chi lo faceva da tempo e lo faceva bene, sono cresciuta con quelli che facevano il mio lavoro prima di me.

A cavallo degli anni ’70 avrai vissuto trasformazioni epocali, anche nella musica.

Di sicuro. In quegli anni iniziava a cambiare tutto, ad ottobre del ’69 andai alla Numero Uno, per capirci era la casa di Battisti e Mogol e stava segnando il passo non solo per il modo di produrre ma proprio di cantare. Lucio aprì indubbiamente una porta nuova nel linguaggio musicale.

Fu il mio inizio nel mondo delle edizioni, secondo me la parte primaria nella vita degli artisti perché edizioni vuol dire canzoni, ricerca del testo, parole. Spesso si trattava di ascoltare l’artista e dare le tue impressioni, costruire insieme il valore del brano e il suo possibile mercato. Io non ho mai fatto arrangiamenti ma di certo quando arrivai da Battisti e Mogol avevo già iniziato ad affinare il gusto e l’intuizione verso ciò che un disco sarebbero potuto diventare; non a caso mi presero con loro perché avevo già portato a casa buoni risultati con la casa discografica di prima.

E poi ai miei tempi una casa discografica lavorava con artisti eterogenei e faceva uscire anche generi diversissimi tra loro, il produttore moderno lavora invece su un gusto e determina un genere, uno stile. Molto più complicato.

La sensazione è che la musica vada ormai di fretta, a caccia di successi veloci, bruciando.

Questa sì che è una grande differenza col passato: una volta si insisteva sull’artista; adesso, se ti bruci la prima possibilità, difficilmente ne avrai una seconda.

Il mercato ha meno pazienza – che peccato – e non si può ritentare un disco. In questo Ennio Melis alla RCA fece scuola, grandi successi arrivati dopo il secondo o persino terzo disco. Lo stesso Battisti era partito come autore e finì per diventare un cantautore con Mogol che gli curava i testi.

C’erano più mezzi o meno paura di rischiare?

Indubbiamente più mezzi economici, fai conto che quando Melis partì coi cantautori aveva già avuto Morandi, la Pavone e tutti i cantanti della scuola romana di successo. Insomma poteva reinvestire, poteva permettersi di aspettare.

La musica data in pasto alla televisione ha ancora meno pazienza.

Nei programmi televisivi è quasi impossibile aspettare che il potenziale artista si esprima, sei tu a dover tener la barra dritta ogni tre o quattro giorni per portarlo ad esprimersi nella sua totalità. Difficilissimo stare dietro ai ritmi dello spettacolo senza sacrificare qualcosa o qualcuno.

A te comunque l’istinto non è mai mancato e professionalmente ci sei saputa crescere.

Giovani o meno giovani, classici o contemporanei, io mi diverto sempre quando c’è da tirar fuori un artista. Mi fa piacere che quest’anno vadano a Sanremo due ragazzi così diversi che ho tirato su io: Anastasio, rapper particolarissimo dalla grande raffinatezza nei testi, ed Enrico Nigiotti, più tradizionale ma dal grande spessore. Mi piace anche non perdere i contatti coi ragazzi che incrocio senza però interferire nel loro percorso musicale dato che sono seguiti da altri. Loro mi fanno sentire quello che realizzano, io rompo un po’ le scatole da lontano ma soprattutto li ascolto: ascoltare è la cosa che so fare meglio di questo mestiere da quando ho iniziato.

Impari certamente anche da loro.

Io ho continuamente bisogno di imparare, mi incuriosisce il modo di fare musica di oggi. Pensa che tempo fa feci un programma per Sky che si chiamava Mara impara, proprio perché c’era da prendere. Il prodotto musicale alla fine è uno solo, come ci si arriva non è più importante; il prodotto disco si è svuotato ma la canzone è tuttora la parte centrale del nostro mondo.

Potrei dire che la musica è cambiata gerarchicamente ma la canzone per fortuna è rimasta.

Quanto è cambiata la vendita di un disco?

Una volta ti bastava produrre, vendere un disco e potevi quasi stare a casa. Adesso la musica viene dall’aria, non la tocchi più, e ha bisogno di essere supportata dai concerti, dai contatti.

Scaricare con tanta facilità la musica, la svaluta?

No, lo dico con convinzione.

Il mestiere più sottovalutato e meno conosciuto.

Quello dell’autore, assolutamente. Un mestiere oscuro, messo poco in evidenza, anche perché chi canta finisce per impossessarsi del brano e farlo suo. A meno che non si tratti di un cantautore, l’interprete finisce per coprire l’autore ma anche questo fa parte del gioco della musica. Solo in un caso c’è da diffidare: quando l’artista copre l’autore ed espone se stesso magari coi gesti o con un certo modo di vestire o con uno stile. La canzone è tutto e lo sarà sempre, la canzone chiede coerenza e la chiederà sempre.

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