Marina Mastromauro, la pasta non basta

Da Foggia alla Basilicata quella distesa di grano è ormai nella memoria storica di tutti noi. Impossibile dimenticare il giallo catturato dalle foto di Franco Fontana. Oppure il fruscio delle spighe provocato dal piccolo Michele di Io non ho paura, che corre a perdifiato tra quei campi fingendo di essere un aeroplano. Eppure quelle immagini […]

Da Foggia alla Basilicata quella distesa di grano è ormai nella memoria storica di tutti noi. Impossibile dimenticare il giallo catturato dalle foto di Franco Fontana. Oppure il fruscio delle spighe provocato dal piccolo Michele di Io non ho paura, che corre a perdifiato tra quei campi fingendo di essere un aeroplano. Eppure quelle immagini forti erano lo specchio di un equilibrio fragilissimo: quel patrimonio giallo fino a qualche anno fa rischiava infatti di perdere tutta la sua attrattiva.

Per alcuni agricoltori non era più conveniente neppure provare a produrre grano di qualità, perché dovevano combattere non solo contro le bizze della natura, ma anche contro tutte le incognite messe in campo dall’uomo. Al momento della semina era praticamente impossibile sapere quale sarebbe stata la resa, chi avrebbe comprato il prodotto e soprattutto a quale prezzo. Oggi, grazie a importanti accordi di filiera che risalgono al 2010, la situazione è migliorata, soprattutto per i piccoli produttori, “ma la strada per restituire valore a tutto il territorio è ancora molto lunga”. È Marina Mastromauro, alla guida insieme alla sorella Daniela dello storico pastificio Granoro, a spiegare perché le Puglie a volte sembrano dirigersi verso direzioni opposte. Il turismo procede, mentre le attività produttive rallentano sotto il peso di infrastrutture arretrate e sistemi burocratici farraginosi. Nelle sue parole c’è una visione di impresa illuminata, legata indissolubilmente al suo territorio e alle persone che lo vivono, ma anche la denuncia lucida e caparbia di quel “disamore” da parte di chi dovrebbe agevolare il lavoro e invece sta a guardare.

Quali sono i maggiori ostacoli che gli imprenditori pugliesi trovano sul loro cammino?

Le difficoltà non sono legate alla Puglia, ma all’Italia. La legislazione mai chiara, la lentezza nell’ottenere i permessi, la poca chiarezza e la poca efficienza ci rallentano tutti i giorni. Per ottenere alcuni permessi servono dai quattro ai cinque anni, ma i mercati non hanno questi tempi, non ci aspettano. E così rischiamo di perdere importanti sfide mondiali.

Quali occasioni avete perso finora?

Il fatto che la situazione dei trasporti sia ferma e stagnante da almeno trent’anni ci mette ko a livello di concorrenza sui mercati internazionali. Siamo circondati dal mare e non abbiamo nemmeno un porto a cui fare riferimento. Noi esportiamo in 180 Paesi, e per portare i nostri prodotti all’estero dobbiamo arrivare a Napoli o a Salerno. Da decenni in Confindustria Bari si parla di questo problema, ma nulla è stato fatto e tutto è rimasto com’era. A questo si aggiunga che su prodotti “poveri” come la pasta la guerra non si fa sugli euro, ma sui sui centesimi, quindi il costo di un Fob (porto d’imbarco convenuto, N.d.R.) è fondamentale nella contrattazione internazionale.

E come se ne esce?

Per fortuna, anche se i pastifici stanno sorgendo ovunque, nel mondo il Made in Italy esercita ancora un certo fascino, perché ci viene riconosciuta la capacità di usare il grano duro con sapienza. E poi il fatto che alcune materie prime si possono coltivare solo nel nostro territorio e non in altre parti del mondo ci aiuta molto. Ad esempio, l’olio Dop Monocultivar Coratina si trova solo nel triangolo Andria, Canosa, Corato.

E questo rafforza molto il legame impresa-territorio.

Si, ma mancano comunque gli incentivi. La regione dovrebbe essere più vicina alle aziende che vogliono valorizzare il territorio, fare filiera ed esportare. Anche perché a quel punto le nostre esportazioni non avrebbero uguali al mondo.

Che cosa dovrebbe fare la Regione Puglia?

Nel 2012 l’Assessore Regionale alle Risorse Agroalimentari Dario Stefano ha istituito un marchio ombrello “Prodotti di qualità Puglia”, che dava identità ai prodotti. Si è iniziato con il grano duro, ma questa iniziativa era importante per l’olio, per la frutta, per le conserve, per i pomodori. Però il progetto, dopo che è cambiata la giunta, ha perso ogni coinvolgimento, e la regione non arriva con forza all’estero. C’è poca attenzione e anche un po’ di disamore. Non ci si rende conto dell’apporto che queste iniziative possono dare al Pil regionale. Io continuo a usare questo marchio e cerco di dargli forza, ad esempio con la linea “Dedicato”, ma non è semplice, e neanche le fiere ci sostengono perché non sono per niente curate dal punto di vista dell’immagine. Sembra assurdo, ma noi che siamo famosi in tutto il mondo per creare stile, moda e fascino non siamo poi capaci di trasmetterli nelle fiere internazionali. Al Sial di Parigi (la fiera internazionale dell’alimentazione) o alla Anuga di Colonia, la più grande fiera al mondo dedicata al settore del Food & Beverage, potremmo comunicare il paesaggio, l’arte, le chiese. Potremmo far capire che un viaggio nel cibo italiano è un viaggio nel territorio e un viaggio nel territorio è un viaggio nel cibo. E invece ci ritroviamo semplicemente tra questi box con la scritta “Padiglione Italia”, mentre se ci si sposta nel padiglione del Marocco o della Tunisia c’è da perdere la testa, ci sono colori e profumi che si sprigionano ovunque.

In sintesi la cultura alimentare pugliese è forte, ma comunicata male.

Non c’è una regia, non c’è qualcuno che trasporti l’idea comune del territorio Puglia in giro per il mondo, e lo stesso vale per il territorio Italia. Viene lasciato all’iniziativa della singola azienda il fatto di raccontare la sua storia, ma non c’è un filo conduttore comune. Noi dobbiamo cercare il profumo da soli.

Visto che le istituzioni non aiutano, riuscite almeno ad aiutarvi tra voi? C’è una concorrenza pulita con le altre aziende del settore e la possibilità di lavorare assieme, oppure ognuno va per conto suo?

Una volta sul mercato siamo tutti concorrenti. Però a livello associativo come settore pastario e agroalimentare condividiamo tanti problemi e cerchiamo insieme di trovare soluzioni che possono agevolare tutti. In Confindustria Bari si fa sintesi, poi ognuno sul mercato fa il suo mestiere.

Quindi si lavora insieme per far crescere il brand pugliese della pasta?

Ci si prova, però il marchio “Prodotti di qualità Puglia” andrebbe sostenuto. I vecchi pastifici industriali di Lecce e Brindisi non ci sono più, su Foggia ne è rimasto uno. Sulle altre province sono rimasti solo i pastifici artigianali. I pastifici industriali sono ormai tutti raccolti su Bari, e inevitabilmente ci conosciamo e facciamo fronte comune.

Lei mi ha raccontato delle tante difficoltà del fare impresa, però io non posso fare a meno di notare che, nonostante tutto, l’immagine della Puglia nel mondo è cambiata molto in questi anni.

Di Puglia nel mondo si è cominciato a parlare durante il mandato di Nichi Vendola. In quel periodo l’immagine della regione è cambiata radicalmente. Ad esempio, oggi i turisti non vengono più solo d’estate: arrivano per la raccolta dell’uva o delle olive, per visitare le cattedrali. Mentre fino a vent’anni fa per trovare un albergo decente tra Brindisi e Lecce si doveva girare con il lanternino, oggi ci sono relais meravigliosi, masserie e agriturismi da favola. E soprattutto c’è un movimento importante anche nei mesi invernali, perché è in crescita il turismo legato all’alta cucina. C’è da dire che la regione con il turismo ha avuto un atteggiamento di sostegno più costante e ha offerto buone opportunità di finanziamento: ha capito abbastanza in fretta che era un filone da sostenere. Con noi industriali c’è più lentezza perché bisogna coinvolgere più soggetti, da chi produce a chi trasforma, e c’è un lavoro molto più ampio da fare.

 

Prima mi diceva che nonostante la poca attenzione istituzionale lei continua a promuovere il marchio “Prodotti di qualità Puglia” attraverso la linea “Dedicato”.

“Dedicato” è una pasta di filiera nata da un accordo meraviglioso con la cooperativa Apricena, e in questo momento le soddisfazioni più belle arrivano proprio da chi coltiva il grano. Quando ci siamo incontrati i membri della cooperativa non erano abituati a essere guidati nella scelta delle sementi, cosa invece necessaria perché l’obiettivo non era solo “produrre locale”, ma produrre un grano di qualità che ci desse modo di pastificare bene. Altrimenti saremmo stati di nuovo costretti a ricorrere al grano canadese, che ha delle qualità eccezionali, ma non è il nostro. Quindi per anni c’è stato un lavoro molto serrato, soprattutto con gli agronomi. Non è stato semplice. Quest’anno però durante la festa che facciamo a giugno per celebrare il momento della raccolta mi si è avvicinato un agricoltore e mi ha detto: “Io quest’anno ho fatto delle proteine che non avrei mai immaginato di fare”.

Che cosa significa?

Aveva fatto 17 e mezzo di proteine su grano, che è un punteggio buonissimo, ed era felice perché non aveva avuto come riscontro negativo la bassa produttività. Anche perché tutte le migliorie qualitative sono giuste e necessarie, ma non dobbiamo dimenticare che gli agricoltori non ci devono rimettere in produttività. La sua gioia è stata per me la soddisfazione più importante, perché dimostra che la scelta di andare a braccetto, e non l’uno contro l’altro, paga.

Insieme si lavora meglio.

La cooperativa Apricena è formata da 800 agricoltori, e circa 250 di loro hanno aderito al progetto “Dedicato”. Sono piccoli agricoltori, e da oggi ci sono anche i loro figlioli. I giovani oggi riescono a lavorare più serenamente dei loro padri, perché sanno già dove andrà il loro raccolto e chi lo acquisterà. Poi, essendo in filiera, hanno diritto agli aiuti ministeriali, e questo li rende ancora più sicuri. Anche perché già devono sottostare ai capricci della natura incerta: non possiamo permetterci anche noi di alimentare la loro incertezza. Fino a pochi anni fa dovevamo ricorrere al grano estero, perché i contadini pugliesi non avevano vantaggio a produrre un grano di qualità; oggi per la linea “Dedicato” tutto il grano è pugliese. Questa è la strada per valorizzare il territorio.

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