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Mauro Del Barba, AssoBenefit: “Non siamo una associazione di categoria vecchio stile, siamo un’avanguardia”
Il lavoro di un giornalista è fatto di intraprendenza e reti fitte di contatti. L’ideale è quando, sapendo che stai lavorando a un tema, fonti fidate ti consigliano spontaneamente di intervistare qualcuno perché ha spessore e contenuto che farebbe bene ridistribuire in giro. Mi è successo con Natale Brescianini alcune settimane fa: il ponte suggerito era con […]
Il lavoro di un giornalista è fatto di intraprendenza e reti fitte di contatti. L’ideale è quando, sapendo che stai lavorando a un tema, fonti fidate ti consigliano spontaneamente di intervistare qualcuno perché ha spessore e contenuto che farebbe bene ridistribuire in giro.
Mi è successo con Natale Brescianini alcune settimane fa: il ponte suggerito era con Mauro del Barba, Presidente di AssoBenefit. Io non sapevo nemmeno che esistesse una associazione simile e, quando mi ritrovo a parlare con lui, parto inevitabilmente da lì dopo avermi ricordato che la “Legge di Stabilità 2016 ha reso il nostro Paese il primo stato sovrano al mondo ad introdurre la società di tipo benefit”. Profitto e beneficio comune, per dirla in breve. Nel frattempo ci eravamo scambiati alcuni messaggi e una telefonata velocissima ma sintomatica del suo stile fatto di pochi fronzoli, di un tu offerto senza sembrare indiscreto e di tanta concretezza nel parlato.
C’era bisogno di una ennesima associazione di categoria, dopo la crisi a cui stiamo tuttora assistendo in Italia di fronte ai troppi soggetti che hanno finto di disintermediare pur di ipotecare fette di potere?
Noi non siamo nati ispirandoci al 100% alle associazioni di categoria. Già nel nome lo dimostriamo: non siamo l’Associazione nazionale delle società benefit ma per le società benefit, che quindi vuole riunire intorno a sé tutte le realtà che lavorano per pervenire ad una condizione di impresa sana dove, ovviamente, non mi riferisco solo ad una salute di bilanci. Prima ancora che alle società benefit, ci rivolgiamo al tessuto eterogeneo che ruota loro intorno a cui chiediamo di indicare il modello benefit come stile a cui ciascuno può guardare per ridarsi una vocazione nuova, più completa, più sostenibile in ogni senso.
Tornando all’associazione di categoria per eccellenza, Confindustria, crediamo che anche lei debba al più presto porsi la domanda di come il modello benefit possa orientare le scelte dei propri associati.
Ora è chiaro. AssoBenefit non nasce come casa politica che accentra e immobilizza, tutt’altro.
Uno dei pilastri con cui costruiamo le nostre attività è quello delle partnership. Noi chiediamo ai nostri soci di darci potere di rappresentanza per intessere legami e alimentare la cultura diffusa di uno stile benefit. Soci vuol dire non solo società benefit ma anche tutti i soggetti che operano nel mercato a loro supporto: banche, organizzazioni, fondazioni, liberi professionisti, ingegneri di processo, consulenti del lavoro, chiunque lavori con una simile attitudine.
Questo vuol dire anche che nessuno si può sentire minacciato o esautorato nel momento in cui proponiamo una simile evoluzione societaria: molti di loro lo erano già, ma non lo sapevano. In questo modo conservano lo specifico e lo valorizzano inserendosi in un trend mondiale; certamente anche AssoBenefit cresce di pari passo mentre fa crescere loro.
Vi siete dati un obiettivo concreto da raggiungere? Numeri, soglie, tetti da superare.
L’articolo 3 del nostro Statuto spiega che lo scopo è cambiare il modello di sviluppo economico italiano rendendolo sostenibile. Chi ritiene sia troppo alto, o persino scollato dallo scopo di una associazione, non ha ancora colto la potenza di una tale trasformazione.
Potremmo persino dire che non siamo l’associazione di categoria delle società benefit intesa alla vecchia maniera, siamo un’avanguardia, siamo persino il sindacato, siamo la forza pubblica e il messaggio pubblico delle società. Stiamo organizzando la prima giornata italiana delle società Benefit: il 29 novembre, a Firenze, ragioneremo a lungo sull’identità e sulla misurazione dell’aderire o meno a questa filosofia che si è fatta modello.
Allora ragioniamo su uno scopo più profondo. Perché diventare Benefit?
Il nostro scopo è fare in modo che queste società siano finalmente comprese per quello che sono.
Qual è stata la miccia che ha ispirato l’evoluzione? Chiedo a te, visto che la firma apposta nero su bianco sul documento diventato legge è stata proprio la tua.
Ho semplicemente voluto ridare forma allo spirito che originariamente permeava la tradizione delle piccole e medie imprese italiane, di certo non orientato al solo profitto. Mi sono prima chiesto se fosse possibile recuperare quella attitudine e poi mi sono risposto di sì, raccogliendo sia il pensiero dell’economia civile dal confronto con Stefano Zamagni, sia il pensiero di Adriano Olivetti che più di tutti incarnava tutto questo. Non a caso sulla home page del nostro sito trovate le parole di quest’ultimo (ndr; Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è, aldilà del ritmo apparente, qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?)
I presupposti culturali c’erano già e la forza delle trasformazioni è spesso insita nelle cose.
Le nostre non sono mai state imprese ingorde e da lì si è mossa la mia valutazione – inizialmente in solitaria e con qualche resistenza inevitabile – che ha poi trovato nel territorio italiano moltissimi soggetti che lavoravano già sulla mia condizione ideale di partenza.
AssoBenefit nasce quindi dopo la costituzione di società benefit. Comprendere bene la temporalità non è dettaglio da poco.
AssoBenefit nasce infatti il 14 Dicembre 2018. Il passo associativo è stato il tassello successivo naturale, a conferma che ci siamo costituiti per dare valore e forza a un tessuto già esistente, coerente, connaturato all’Italia industriale.
La tua definizione personale di benefit, la tua interpretazione.
La legge parla di benificio comune e chi volesse averne una spiegazione più tecnica può approfondire già quella. Se invece mi chiedi di rispondere in modo più evocativo, io lo vivo come un ritorno alla inclinazione primaria dell’imprenditore che non è mai stata solo quella di fare soldi ma di realizzare qualcosa di buono per sé e per gli altri. Ogni impresa nasce per raggiugnere un benefit e non per fare un profitto ma negli anni questo scopo lo ha perso purtroppo per strada. Il mercato e il valore economico dilagante su tutto hanno fatto disperdere l’origine: torniamo lì guardando però avanti.
Un consiglio: in un mercato che si propone a parole sempre più etico, diffidare da chi?
Il consiglio è una conseguenza di quanto detto finora. Le società benefit sono forti e riconoscibili perché oggi, finalmente, i sogni hanno un valore di mercato di cui non vergognarsi.
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