SenzaFiltro intervista il teorico del design Ezio Manzini, ideatore del concetto di “città di prossimità”: “Socializzare è un’azione fondamentale. Si possono progettare ambienti favorevoli alla nascita di nuove comunità”.
“Milano, il bosco, i vuoti e i pieni”
Milano capitale morale d’Italia, Milano centro nevralgico della classe operaia e del grande capitale, Milano fucina di arti e mestieri. Dall’inizio del ‘900 fino alla fine degli anni ‘80, molte anime diverse hanno segnato quasi come stigmate l’identità della metropoli lombarda. Breda, Ercole Marelli, Pirelli, Falk, Alfa Romeo, Innocenti, tanto per citare alcuni giganti della […]
Milano capitale morale d’Italia, Milano centro nevralgico della classe operaia e del grande capitale, Milano fucina di arti e mestieri. Dall’inizio del ‘900 fino alla fine degli anni ‘80, molte anime diverse hanno segnato quasi come stigmate l’identità della metropoli lombarda.
Breda, Ercole Marelli, Pirelli, Falk, Alfa Romeo, Innocenti, tanto per citare alcuni giganti della grande industria italiana, tutti situati alle porte di Milano: Sesto San Giovanni, la cosiddetta Stalingrado d’Italia. Ma non c’erano soltanto i grandi della siderurgia, della gomma e dell’auto. L’indotto dei colossi industriali connetteva alla sua rete migliaia di piccole e medie imprese, che costituivano il tessuto produttivo fondamentale della cintura del capoluogo. Su questo centro di gravità si strutturava il mosaico della città, la sua architettura, con gerarchie, infrastrutture, servizi. La stessa grande distribuzione, lì presente in modo massiccio, territorialmente parlando ha tenuto conto della presenza dei “dinosauri” dell’industria.
Questo l’identikit di Milano fino alla fine degli anni ‘80. Poi due terremoti hanno mutato e stravolto l’identità centenaria della città, la sua geografia del potere economico e politico, la sua struttura sociale. Alla fine degli anni ‘80 è iniziato un lento ma inesorabile processo di deindustrializzazione che nel giro di un decennio, come una meteora, ha fatto scomparire la gran parte dei dinosauri dell’industria. Poi, negli anni ’90, il terremoto di Tangentopoli ha tolto definitivamente a Milano la patente di capitale morale d’Italia.
Abbiamo parlato di questa complessa metamorfosi con Stefano Boeri, architetto di fama internazionale, docente al Politecnico di Milano, ex assessore alla Cultura nella giunta Pisapia e autore, tra gli altri, del pluripremiato progetto che ha dato vita al Bosco Verticale.
La pagina di Wikipedia dedicata alla struttura architettonica, composta da due grattacieli, recita: “Peculiarità di queste costruzioni, ambedue inaugurate nel 2014, è la presenza di più di duemila essenze arboree, tra arbusti e alberi ad alto fusto, distribuite sui prospetti. Si tratta di un ambizioso progetto di riforestazione metropolitana che, attraverso la densificazione verticale del verde, si propone di incrementare la biodiversità vegetale e animale del capoluogo lombardo, riducendone l’espansione urbana”. Bosco Verticale ha vinto importanti competizioni: oltre all’International Highrise Award, di cui è stato insignito nel 2014, nel 2015 il Bosco Verticale si è aggiudicato il premio come “grattacielo più bello e innovativo del mondo”, secondo una classificazione del Council on Tall Buildings and Urban Habitat.
Che cosa è successo a Milano negli ultimi tre decenni? Dove c’era la Pirelli ora c’è un’università, e dove c’era un enorme Luna Park, sul terreno delle ex ferrovie Varesine, ora c’è un centro direzionale con grattacieli e palazzi di vetro, che ospitano grandi banche e grandi imprese internazionali.
Devi sapere che c’è qualcuno che quel processo lo ha osservato da vicino e lo ha immortalato in immagini. Mi riferisco a Gabriele Basilico, fotografo di grande acume, che alla fine degli anni ‘70 ha pubblicato un libro importante: Ritratti di fabbrica. Basilico, riconosciuto a livello internazionale come uno dei maestri della fotografia contemporanea, inizia a fotografare le metropoli, la loro trasformazione proprio all’inizio della grande metamorfosi. L’obiettivo di Basilico spazia nei meandri della città e della periferia, e a un certo punto si sofferma sui muri delle fabbriche. La forza di questo sguardo sta nel fatto che dietro quei muri cominciava a non esserci più vita, ma soltanto vuoto. Come ho scritto in Cronache dell’abitare, un libro su Milano pubblicato assieme ad altri autori nel 2007, a quell’epoca inizia un processo di liquidificazione del capitale immobiliare delle grandi industrie come Pirelli e Alfa Romeo, delle grandi società del parastato come Aem, e delle grandi infrastrutture sociali, come le Poste, le Ferrovie e l’Ortomercato. Quelle immagini di Basilico, come puoi ben capire, registrano un passaggio epocale di Milano: chiudono le grandi fabbriche e con esse si chiude una storia iniziata nell’800. In termini sociali l’effetto è prevedibile, ma non per questo meno sconvolgente: il processo di deindustrializzazione distrugge la classe operaia e modifica radicalmente la classe dirigente imprenditoriale. La classe operaia si trasforma lentamente in ceto medio basso e le grandi imprese diventano vuoti urbani. Nel frattempo, sul piano sociale ed economico, il territorio cambia. Diciamo, tanto per darti un’immagine, che la trasformazione della città e dell’hinterland avviene attraverso piccoli movimenti: sorgono i centri commerciali, nascono palazzine di piccole dimensioni che plasmano il territorio in modo individualista. Nasce la città diffusa, fatta di sottotetti e sopralzi. Questo trend lo definirei di “energia molecolare”. Si passa dall’oligarchia dei tempi in cui Milano era dominata da poche grandi famiglie di industriali alla poligarchia. Ho raccontato tutto ciò in un libro del 1992, che si chiama Il territorio che cambia. E in effetti tutto cambia. Lo spazio è una metafora imperfetta, riflette la composizione sociale. Quel vuoto che si è creato con la deindustralizzazione tarda a colmarsi: mentre a Barcellona si fanno le Olimpiadi, a Milano l’unico progetto forte è quello della Bicocca, dove oggi si è insediato uno dei centri universitari più importanti del nostro paese. Per il resto, fino all’anno duemila vi è una forte frammentazione politica e sociale.
È da questa frammentazione che nascono personaggi come Bossi e Berlusconi?
Direi di sì. Mentre i partiti che governavano Milano, Pci e Psi, verranno travolti da Tangentopoli, nasce alle porte di Milano una nuova forma di protagonismo politico esterno alla città: Silvio Berlusconi e la Lega. Berlusconi emerge dalle ceneri della vecchia classe imprenditoriale e politica di cui lui non faceva parte. Anche nell’immagine simbolica l’uomo rappresenta l’illusione del benessere: Milano 2 e Milano 3, villaggi costruiti fuori città con laghetti artificiali e piazzette finte, pensati come isole felici per la piccola borghesia. In quegli anni anche la Lega nasce lungo la valle dell’est, e rappresenta fette di piccola borghesia di provincia frustrata dalla crisi finanziaria. Se la Milano da bere di Craxi era monocentrica, la Milano di Berlusconi e Lega era eccentrica. Dal 1995 al 2000 però c’è una prima svolta: è un sindaco della Lega, Gabriele Albertini, imprenditore ed ex presidente di Federmeccanica, a mettere in moto i grandi progetti realizzati oggi: mi riferisco a City Life, il complesso abitativo, direzionale e culturale che nasce sulla vecchia Fiera Campionaria, e al complesso di grattacieli ed edifici commerciali che è nato a Porta Nuova. Dopo l’intervallo di Letizia Moratti, la svolta si consolida con la giunta guidata da Giuliano Pisapia, che punta molto in alto: attraverso la gestione di questi progetti architettonici e culturali si pone l’ambizioso obiettivo di riportare in vita la centralità di Milano. Da questo punto di vista l’Expo ha avuto un ruolo determinante; è stato un collettore di energie che ha supportato la ripresa economica e il ritorno della Grande Milano. Oggi Milano, dopo un lungo periodo di frammentazione e opacità, è diventata una metropoli internazionale. Una piccola metropoli, è vero, ma piena di eccellenze, se pensi che ci sono otto atenei, la moda, l’editoria, la comunicazione, il Teatro alla Scala. Non c’è nessun’altra città al mondo che in uno spazio così piccolo ha questa intensità di presenze illustri.
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