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Movimento Agile è un metodo per migliorare i processi di sviluppo di software, ma può servire ad applicare pratiche HR che migliorino l’ambiente di lavoro
La scena: siamo a Bologna, al Nobìlita Festival, per parlare di “Agile, talento e carriere”. Chiediamo ai presenti se conoscono questi temi e, in particolare, quanti sanno qualcosa sul Manifesto Agile e sulle origini del Movimento Agile. Della quarantina di persone in sala, solo tre alzano la mano.
Evidentemente la risposta è scontata per chi si occupa di sviluppo software e prodotti con metodologie agili, da almeno un decennio. Ma non è così per la gran parte delle persone che lavorano in aziende che stanno avendo i primi incontri con i concetti e le pratiche Agile.
Occorre dunque ricordare che cosa Agile non è: non significa smart working o telelavoro. Non significa orari differenziati e flessibili all’interno dell’azienda. E non significa neanche togliere tutte le gerarchie e “far decidere i team”.
Agile è una mentalità, un approccio al lavoro che nasce da rigorose metodologie messe a punto — dalla metà degli anni Novanta — per migliorare i processi di sviluppo software: documentazione essenziale, rilascio di versioni funzionanti a scadenze brevi, comunicazione chiara con tutti gli attori coinvolti, feedback molto frequente e valutazione collaborativa di quanto si sta facendo. Miglioramento continuo con un modello iterativo e incrementale.
Agile è uscito dalla cerchia degli sviluppatori software e ora è in grado di fornire un contributo in termini di evoluzione organizzativa. Ma esiste un’“azienda agile”, quindi? Secondo noi è una domanda sbagliata: le aziende possono adottare principi e pratiche agili, ma sono fatte di persone che a questi principi possono aderire o meno.
In questo scenario cambia il ruolo di chi “gestisce il personale”: la missione di HR ora è dare sostegno alle persone nell’evoluzione dei ruoli che svolgono, nella loro crescita, nella collaborazione, e nella capacità di decidere meglio e più velocemente.
Quando si inizia una trasformazione agile si parte di solito dalle pratiche, dai team e dagli spazi di lavoro. Ma tutto questo ha conseguenze importanti anche sulle persone coinvolte e sui temi HR, perché riguarda la loro carriera, il loro sviluppo e la valorizzazione del loro talento. La partita si gioca principalmente su questi tre concetti, e su chi ha la responsabilità di decidere al riguardo.
Sembra che in molti siano scontenti della carriera in azienda: chi preferisce una crescita verticale nell’organigramma ha qualche possibilità in meno rispetto al passato, e chi vorrebbe fare meglio quello che fa non trova sufficiente apertura. Tradizionalmente, fare carriera è un processo “di accumulo”: aggiungere qualcosa in più (persone da gestire, benefit, privilegi). A noi piace promuovere l’idea che la carriera possa intendersi come un viaggio di sviluppo.
Lo sviluppo si concretizza intorno a quattro elementi qualitativi e contestuali, difficilmente misurabili, ma che la persona può percepire, e che chi lavora con lei può testimoniare:
Il concetto di employability riassume tutto un insieme di competenze, conoscenza, comprensione e attributi che una persona sviluppa nel tempo e che le permettono di lavorare dove può ottenere e offrire risultati migliori, con migliore soddisfazione. L’employability impone di ripensare il significato di talento, in modo che si integri il vecchio approccio esclusivo (chi non ha talento va escluso) con il più moderno approccio inclusivo (riconosciamo e valorizziamo il talento di tutti). Il talento non è una dote innata, bensì una combinazione di elementi di un sistema di relazioni tra individui e azienda:
Un HR ha oggi la responsabilità di tutto questo: favorire sempre più occasioni per uno sviluppo degli individui autonomo, ma concertato con le necessità di business e la sostenibilità del lavoro, in cui il “talento” possa essere identificato, riconosciuto e trasformato per dare più valore.
È dunque davvero importante parlare di Agile in HR? Oggi più che mai: il modo tradizionale con cui le Risorse Umane sviluppano le proprie iniziative assomiglia molto al metodo “waterfall”, con cui si è sviluppato il software nel passato: tanta documentazione all’inizio, molte ipotesi e, soprattutto, nessun coinvolgimento dell’utente, nessun feedback, nessuna riduzione del rischio. È invece possibile utilizzare pratiche agili per sviluppare iniziative HR: team più cross-funzionali, approccio incrementale, miglioramento continuo e centralità del valore per l’utente.
All’esterno delle HR vi è inoltre la necessità che molti processi vengano aggiornati, perché progettati per modalità di lavoro e tipologie di azienda molto diverse da quelle attuali: performance management, modalità di retribuzione e percorso di carriera sono solo alcuni dei temi più scottanti.
Nel 2001 alcuni esperti di sviluppo software, insoddisfatti per i fallimenti dei progetti, si riunirono e misero a punto un “Manifesto per lo sviluppo agile di software”.
La prima frase di quel manifesto recita: “Stiamo scoprendo modi migliori di creare software, sviluppandolo e aiutando gli altri a fare lo stesso”. Non una serie di ricette preconfezionate, valide per ogni situazione, ma un approccio basato sulla ricerca, sulla sperimentazione, sui riscontri, sull’adattamento.
Circa venti anni dopo, la chiave di Agile resta quel “stiamo scoprendo”.
Sarà un bel viaggio.
L’articolo è stato realizzato in collaborazione con Luca Bergero: appassionato di collaborazione, ascolto attivo e relazione, promuove il cambiamento attraverso il giusto equilibrio tra creatività e pragmatismo. È co-fondatore di Nobilita e collaboratore di Agile Reloaded. Tramite Agile HR aiuta le organizzazioni nel supportare le persone per far evolvere il loro ruolo, il loro contributo e il loro percorso di sviluppo professionale.
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