Nicola Lamberti: “Il food delivery sostenibile si può fare. Così abbiamo realizzato Planeat”

La differenza la fanno l’organizzazione e un modello di e-commerce ripensato dalle fondamenta per favorire la sostenibilità, non il profitto. Anche per i lavoratori: tutti i corrieri hanno un regolare contratto. Intervistiamo l’imprenditore digitale Nicola Lamberti

15.12.2023
Nicola Lamberti

Quando appare in video, Nicola Lamberti non assomiglia per nulla allo stereotipo dell’imprenditore digitale. Veste un maglione blu a collo largo, senza camicia sotto. Dietro di lui una scala bianca, un soffitto bianco, le finestre alla sua sinistra, uno spazio piccolo. Ma, soprattutto, ha un volto che tradisce il segno delle difficoltà, e forse pure di qualche amarezza passata. Amarezza che ora, però, viene spazzata via in modo risoluto da un sorriso lieve ma sincero, e da una voce serena.

Ex allievo della Harvard Business School, padre di quattro figli, per molti anni sindaco di Borgarello, paesino attiguo alla Certosa di Pavia con precedenti di infiltrazioni mafiose, Lamberti è stato per quattordici anni CEO della 7pixel, azienda che gestiva due dei siti di comparazione prezzi più utilizzati d’Italia. Da meno di quattro anni è a capo di Planeat, azienda che fornisce pasti sostenibili.

“A un certo punto io e altri ci siamo resi conto che l’azienda in cui lavoravamo aveva cambiato la sua natura valoriale: si era del tutto perso lo spirito originario e dominava la logica del profitto. Così abbiamo pensato di costruire qualcosa di nuovo”.

 

 

Ma perché proprio in un settore così complicato e competitivo come il food delivery?

La nostra scelta non è partita da un’analisi di mercato, ma da due fattori che per noi erano fondamentali: le competenze delle persone e la voglia di agganciare l’impresa a un valore, a un “perché”. Il primo fattore era un mix tra un eccellente team di informatici e un bravissimo ristoratore che conoscevamo già dalla precedente esperienza. Il secondo era la voglia di fare qualcosa per abbattere gli sprechi, alimentari ma non solo, che caratterizzano questa industria; dimostrare che il food delivery può davvero essere fatto in maniera sostenibile ed equa.

Come funziona esattamente il servizio?

Come suggerisce anche il nome “Planeat”, il segreto è la pianificazione. Forniamo a domicilio ad aziende e privati pasti completi, sia da cucinare che già pronti, con ingredienti freschi e genuini e a prezzi molto competitivi. Lo facciamo investendo tantissimo sul rapporto col cliente, dalla qualità del cibo alla consegna: tutti i nostri corrieri sono dipendenti e sono sempre gli stessi per i clienti, così si crea anche un rapporto di fiducia. Ma puntiamo anche sulla personalizzazione: ogni nostro pasto è curato nel dettaglio, nel peso, nelle quantità, negli ingredienti. E, ovviamente, anche il packaging è all’insegna della sostenibilità.

Tutto questo avrà dei costi importanti, eppure i vostri pasti hanno prezzi molto competitivi: come fate a stare in piedi economicamente?

Grazie alla pianificazione e all’organizzazione. Noi veniamo da una grande esperienza nell’e-commerce, e sapevamo degli enormi sprechi e disorganizzazioni che caratterizzano il settore. Insomma, sapevamo che c’era un sacco di spazio per ottimizzare i processi, e quindi ridurre i costi, se si ripensava il modello dalle fondamenta. Per esempio, praticamente tutte le aziende di e-commerce oggi sono guidate da due criteri: far mettere alle persone il maggior numero di prodotti nel carrello e tagliare il più possibile i costi delle consegne. Noi invece abbiamo una logica opposta.

In che modo?

Sul nostro sito non si trova un’infinita serie di piatti, ma una buona varietà da cui però puoi scegliere solo una quantità finita di prodotti. Non c’è un carrello, ma una tabella con i giorni della settimana e colazione, pranzo e cena. Per cui c’è un numero di celle finito, oltre cui non solo è inutile, ma proprio impossibile comprare. Anzi, noi incoraggiamo persino i clienti e fare acquisti bisettimanali, quindi per tre-quattro giorni. A quel punto tu decidi che cosa vuoi mangiare e noi possiamo calcolare gli ingredienti al grammo, quasi azzerando gli sprechi. Questo è anche possibile grazie all’utilizzo intensivo dell’informatica per ottimizzare il processo in cucina e nel confezionamento, per cui il costo della personalizzazione diventa lo stesso della standardizzazione. Tutto questo abbatte i costi per noi, e quindi per il cliente.

E per quanto riguarda la consegna a domicilio?

Se sai in anticipo quanto e quando devi consegnare puoi abbattere moltissimo i costi e permetterti di assumere chi fa le consegne. Per esempio: per i beni deperibili come il cibo di solito si richiede di indicare una fascia oraria di consegna. Ma questo produce sprechi, perché spesso hai picchi di consegne e quindi ti servono più corrieri e più viaggi. Noi invece diamo la fascia oraria più ampia possibile e chiediamo al cliente di togliere tutte le fasce in cui è indisponibile, ma a un piccolo costo. Se non dai alcuna indisponibilità invece il costo della spedizione è pressoché gratuito, proprio perché così possiamo ottimizzare le consegne e abbattere i costi. Non solo: il giorno prima possiamo anche dirti il minuto esatto in cui arriveremo e chiamarti pure cinque minuti prima per avvisarti, così che se c’è un imprevisto possiamo trovare una soluzione.

Insomma, l’unico vero “costo” in più è quello di scegliere prima, di pianificare.

Esatto. Questo cambia del tutto lo scenario, perché abbatte un modello davvero deleterio, che è quello del tutto e subito; della scelta pressoché infinita per avere qualcosa nello spazio di pochi minuti o poche ore. Un modello insostenibile, ma di cui molti sembrano ora prigionieri sia tra gli utenti che tra le aziende. E non parlo solo dei vari Deliveroo, UberEats o Glovo. Pensiamo ai ristoranti dove si fanno le pause pranzo, che non sanno mai esattamente quanti clienti arriveranno e che cosa ordineranno. Pensiamo alle mense aziendali, in cui spesso si vedono anche decine di corrieri che arrivano in contemporanea per consegnare gli ingredienti alle cucine, che poi preparano tanto cibo che non verrà mangiato. Uno spreco enorme, e in fondo un modello che non funziona.

Ma perché allora è così diffuso?

Nella ristorazione il costo di un pasto è al 30% materia prima; se è fresca come nel nostro caso è circa il 40%. Il costo più grande tra gli altri è il lavoro: è quindi normale pensare di tagliare lì, tipicamente subappaltando a tanti indipendenti, parlando di auto-imprenditorialità quando in realtà sono i nuovi schiavi. Ma in questo modo si crea una concorrenza sleale tra imprenditori, che fanno sempre più fatica a stare sul mercato e sono sempre più tentati da trovare soluzioni ai limiti o persino fuori dalla legalità. Tutto perché si pensa che, se si toglieranno scelte o la possibilità per il cliente di avere un pasto in un quarto d’ora, si perderanno quote di mercato.

Secondo lei invece si possono abbattere i costi migliorando l’organizzazione?

Sì, e dall’avere una forza lavoro coinvolta e motivata. Partire dal “perché” e non dal “cosa” ti dà due enormi vantaggi: il primo è la motivazione delle persone, che si traduce in una produttività eccellente e nella capacità di attrarre e trattenere talenti; il secondo è la capacità di essere flessibili, perché appunto non è più così importante cosa fai ma perché lo fai. Tutto questo produce anche innovazione, in particolare se lavori nell’intersezione di mondi molto diversi fra di loro. Noi per esempio siamo un’azienda informatica che vende del cibo: questo è il nostro posizionamento strategico. Ed è nato non da un’opportunità di mercato, ma da nient’altro che da quello che sapevamo e volevamo fare assieme.

Ma oltre che sostenibile è un modello scalabile?

Per ora copriamo solo le zone di Milano, Monza e Pavia. Siamo un centinaio di persone che servono circa 2.000 clienti regolari e 10.000 iscritti. Non siamo ancora a break-even ma dovremmo arrivarci l’anno prossimo. Abbiamo margini bassissimi per pasto venduto, ma questo perché vogliamo essere sostenibili solo nei grandi numeri. Non vogliamo essere un servizio d’élite, ma di massa, perché è lì che avviene il cambiamento. Certo, abbiamo bisogno di partner di investimento pazienti. E dobbiamo anche stare attenti a non voler crescere troppo in fretta. Una cosa che voglio assolutamente evitare è diventare un polo di massificazione d’acquisti, di produzione, di marketing: perché inevitabilmente a quel punto l’unica logica diventerà il profitto. So cosa succede quando si è lì: ci sono già stato, e non voglio capitarci più.

 

 

 

Photo credits: planeat.eco

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