Pandemia: calo dell’inquinamento e paradosso delle vite salvate

Qual è l’altra faccia dell’emergenza COVID-19? Prima di rispondere, facciamo una riflessione preliminare. Ormai lo slogan “Nulla sarà più che prima” è diventato – ironia della sorte – virale. Ci si dilunga sul futuro della nostra vita e dei rapporti interpersonali, sui modi in cui lavoreremo, sui nuovi mestieri che nasceranno e su quelli vecchi […]

Qual è l’altra faccia dell’emergenza COVID-19? Prima di rispondere, facciamo una riflessione preliminare. Ormai lo slogan “Nulla sarà più che prima” è diventato – ironia della sorte – virale. Ci si dilunga sul futuro della nostra vita e dei rapporti interpersonali, sui modi in cui lavoreremo, sui nuovi mestieri che nasceranno e su quelli vecchi che scompariranno o cambieranno, sul destino dell’informazione o del turismo e su tanti altri aspetti della vecchia routine (per lo meno, quella in voga nel mondo più o meno benestante).

Tuttavia questa situazione può essere vista anche attraverso i cambiamenti indotti in quel ritmo che l’“antica” pubblicità del Cynar già 50 anni fa chiamava il “logorio della vita moderna”. Si vedeva il grande attore fiorentino Ernesto Calindri (1909-1999) sorseggiare l’aperitivo, seduto tranquillamente in mezzo alla strada e circondato dal traffico “clacsonante” degli anni Sessanta. Quel logorio non ha mai smesso di logorarci, anzi; se non altro perché nel 1969 circolavano in Italia poco più di 9 milioni di auto, nel 1992 erano quasi 30 milioni, e a fine 2018 – svela l’Istat – 39 milioni (includendo gli altri veicoli a motore, 51,7 milioni).

Oggi – nonostante la preoccupazione per le conseguenze, anche lungo termine, dell’epidemia – è il caso di chiederci quanto il logoramento sia stato temporaneamente fermato dal COVID-19; o, meglio, dalle misure di contenimento dell’epidemia. Per esempio: ci sono vite “messe in salvo” dal virus? Ci sono. Un paradosso? No.

 

Diminuisce il traffico: incidenti ridotti a un decimo

Da quando sono in vigore le misure per contrastare la pandemia – che includono il blocco degli spostamenti non indispensabili – il traffico sulle strade e sulle autostrade italiane è diminuito di oltre tre quarti: intorno all’80%. Già nella settimana tra il 9 e il 15 marzo sulla rete di Autostrade per l’Italia si era ridotto del 56,3% rispetto allo stesso periodo del 2019. Sull’autostrada del Brennero era crollato, con punte oltre il 70%. Sull’A24, tra Roma e Teramo, nel fine settimana del 14 e 15 marzo era sceso del 90%. Capita anche nelle strade fuori dalle città: domenica 15 marzo lungo l’Appia le telecamere hanno rilevato, intorno ad Avellino, 1.600 veicoli invece dei soliti 16.000: 90% in meno. Pure nelle città sono spariti almeno i due terzi delle auto.

Ebbene, dato che, secondo l’Istat, in Italia ci sono in media ogni giorno 10 vittime di incidenti automobilistici e quasi 700 feriti, in questo periodo, considerando un calo del traffico dell’80%, ogni 24 ore sopravvivono 8 persone e 560 restano incolumi (meno corse di ambulanze, meno invalidi, meno tragedie). In un mese si salvano circa 240 vite (quasi 2.900 l’anno, se si andasse avanti così) e si evitano 16.800 ricoveri in ospedale.

Il 4 aprile la Polizia Stradale ha diffuso i dati ufficiali sugli incidenti stradali nell’era del coronavirus durante le nottate delle cosiddette “stragi del sabato sera”, tra venerdì e domenica: nelle notti del primo week-end con traffico limitato – 13/15 marzo – 3 decessi rispetto ai 12 della stessa settimana del 2019. In quello successivo – 20/22 marzo – 3 vittime rispetto alle 26 dell’anno precedente. Tra 27 e 29 marzo, ancora 3 deceduti rispetto ai 19 del 2019. Non è una consolazione rispetto ai numeri dell’epidemia, ma è un dato che si ripete in altri Paesi iper-trafficati. Questa esperienza ci farà capire – in Italia e altrove – che bisogna ripensare al modo in cui ci spostiamo? Vedremo.

 

Il calo dell’inquinamento dopo il COVID-19

La grande decrescita del traffico ha frenato anche l’inquinamento. I satelliti mostrano immagini in cui si vede che si sta dissolvendo la nube di smog prima sempre presente sul Nord Italia. Il 25 marzo i dati dell’EEA (European Environment Agency) mostravano che nelle ultime settimane le concentrazioni di biossido di azoto (NO2), emesso principalmente dal trasporto su strada, sono diminuite in molte città italiane.

Per esempio, a Milano – nonostante gli impianti di riscaldamento ancora accesi – le concentrazioni medie nelle prime quattro settimane di blocco del traffico sono state inferiori di almeno il 24% rispetto alle quattro settimane precedenti. A Bergamo c’è stato un costante declino: la concentrazione durante la settimana del 16-22 marzo è stata del 47% inferiore rispetto alla stessa settimana del 2019; a Roma le concentrazioni di NO2 sono state inferiori del 26-35%. Inoltre a Milano non era mai successo dall’inizio di quest’anno che le polveri sottili (PM10) restassero sotto la soglia di 50 microgrammi (considerata quella massima tollerabile) per metro cubo di aria durante più di 10 giorni consecutivi. Basti pensare, per esempio, che il 16 marzo sono stati registrati tra 16 e 25 microgrammi per metro cubo, mentre il 16 gennaio ne risultavano tra i 79 e i 96. Il 31 marzo erano a quota 12, il 5 aprile a 32. Un calo di due terzi, con occasionali rialzi (comunque sotto i 50) dovuti a fenomeni meteorologici avversi, ma non all’emissione artificiale.

Il dato relativo al calo dell’inquinamento urbano è molto importante perché – secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica European Heart Journal nel marzo 2019 – l’Italia è il secondo Stato dell’Unione europea (dopo la Germania) per le vite perdute a causa delle polveri sottili e di altre sostanze inquinanti provocate dal traffico, con la perdita precoce di 81.000 vite ogni anno: 222 ogni 24 ore. Forse in queste giornate se ne stanno salvando almeno la metà, circa 110? Il calcolo è puramente teorico, al contrario di quello sugli incidenti (oggettivamente diminuiti), perché questa condizione di “salubrità” dovrebbe protrarsi a lungo. Tuttavia di sicuro d’ora in poi sarà arduo negare l’efficacia delle limitazioni del traffico e della conversione ecologica dei trasporti.

 

L’inquinamento favorisce il coronavirus. I pericoli dell’effetto-rimbalzo

Anche considerando solo gli effetti a breve termine del calo del PM10, non può sfuggire che l’inquinamento urbano indebolisce i polmoni e le difese immunitarie, favorendo le pericolosissime polmoniti, proprio quelle che il COVID-19 contribuisce a innescare.

Non solo: la presenza di polveri sottili nell’aria e la virulenza del coronavirus hanno un legame. Lo afferma la Relazione circa l’effetto dell’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione di virus nella popolazione, diffusa nei giorni scorsi dalle università di Bari e Bologna e dalla Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA). C’è scritto: “I virus si ‘attaccano’ (…) al particolato atmosferico, costituito da particelle solide e/o liquide in grado di rimanere in atmosfera anche per ore, giorni o settimane, e che possono diffondersi ed essere trasportate anche per lunghe distanze”. Poi: “In particolare si evidenzia una relazione tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di PM10 registrati nel periodo 10 febbraio-29 febbraio e il numero di casi infetti da COVID-19 aggiornati al 3 marzo (considerando un ritardo temporale intermedio relativo al periodo 10-29 febbraio di 14 gg approssimativamente pari al tempo di incubazione del virus fino alla identificazione della infezione contratta)”. Le conclusioni: “Si suggerisce di tenere conto di questo contributo sollecitando misure restrittive di contenimento dell’inquinamento”.

Insomma, i provvedimenti di “distanziamento sociale”, e il conseguente calo del traffico e dell’inquinamento, hanno già contribuito a salvare – direttamente o indirettamente – molte persone che sarebbero state minacciate dall’ordinaria pericolosità del nostro stile di vita. Non ci si deve consolare con queste considerazioni, determinate da un evento che nessuno aveva previsto. Di certo, però, la pandemia rappresenta una grande svolta storica, che – come è successo con altre – ci procura molti pericoli ma anche tante opportunità, di cui bisogna saper approfittare.

Per riuscirci le istituzioni – locali, nazionali e internazionali – e gli stessi cittadini devono ragionare sulla sensatezza di quella che prima consideravano “normalità”. Perché non è detto che si voglia far tesoro della lezione. “Gli effetti positivi rischiano di essere solo temporanei. Quando l’attività economica e la mobilità torneranno a livelli pre-crisi, si rischia un effetto-rimbalzo. (…) C’è il pericolo che la sostenibilità vada in secondo piano rispetto ai bisogni urgenti dell’economia”, ha ammonito il professor Luca Franza, responsabile del Programma Energia, Clima e Risorse dell’Istituto Affari Internazionali (IAI).

Non resta che augurarci e darci tutti da fare affinché la tragedia determinata da COVID-19 possa servire a qualcosa: contro il virus e anche contro il “logorio della vita moderna”. Nella speranza che non ritorni “come prima” anche tutto quello che, grazie (si fa per dire…) a noi esseri umani, ha devastato l’ambiente, contribuendo ad aprire la strada alla pandemia.

 

 

Foto di copertina by Barthelemy de Mazenod on Unsplash

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