Pensavano davvero di salvare Alitalia con una sfilata?

La storia di Alitalia, lastricata di disastri finanziari a opera dei governi degli ultimi vent’anni, dilaniata da clamorosi fallimenti di manager usciti di scena con liquidazioni miliardarie e avvisi di garanzia per bancarotta, ricorda il celebre racconto di Agatha Christie Assassinio sull’Orient Express, dove in apparenza nessuno è colpevole dell’omicidio ma poi si scopre che […]

La storia di Alitalia, lastricata di disastri finanziari a opera dei governi degli ultimi vent’anni, dilaniata da clamorosi fallimenti di manager usciti di scena con liquidazioni miliardarie e avvisi di garanzia per bancarotta, ricorda il celebre racconto di Agatha Christie Assassinio sull’Orient Express, dove in apparenza nessuno è colpevole dell’omicidio ma poi si scopre che l’assassinio è avvenuto grazie alla collaborazione di tutti i viaggiatori del treno. Da noi non c’è bisogno dell’acuto Hercule Poirot per scoprire la verità: basta guardare i fatti drammatici che hanno costellato la storia di Alitalia nel terzo millennio per sapere dove stanno i colpevoli.

Ma, a differenza dell’indagine di mister Poirot sull’Orient Express, il caso Alitalia non è affatto chiuso: il futuro della compagnia di bandiera è assai incerto; è ancora una volta in balia della politica, e la sua sopravvivenza è ancora all’ordine del giorno. Ne parliamo in Controluce, dunque, non perché vogliamo rispolverare una vicenda del passato, ma perché proprio in questi giorni i destini di Alitalia sono tornati di stretta attualità.

 

Il caso del salvataggio Alitalia: un governo, due proposte diverse

A fronte dei piani per ridare vita alla compagnia di bandiera, per uscire dalla stagnazione in cui vive Alitalia, due esponenti del governo Lega-M5S hanno proposto due modelli tra loro antitetici. Già, sembra incredibile ma è così: stesso esecutivo, proposte antitetiche. È un paradosso che il governo si presenti in pubblico, e sui tavoli internazionali della trattativa, con due proposte che sono agli antipodi. E che, come è avvenuto in passato, potrebbero portare soltanto o alla paralisi o a scelte sbagliate e assai costose per le casse dello Stato. Anche agli occhi dell’Europa, che comunque dovrà fornire il suo consenso all’ipotesi di nazionalizzazione della compagnia, l’Italia non fa una bella figura se propone due soluzioni così differenti per la questione.

Il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio, in linea con l’orientamento del suo movimento sul futuro delle aziende strategiche come Tim e Autostrade, propone la linea della nazionalizzazione; il Ministro del Tesoro, Giovanni Tria, vorrebbe invece una soluzione di mercato. Su questo argomento la polemica è stata aspra, e quando Di Maio ha messo in campo la nazionalizzazione, così gli ha risposto Giovanni Tria: “L’argomento di una rinazionalizzazione di Alitalia non è sul tavolo, la soluzione non può essere altro che quella del mercato”. Ovvero Delta Airlines e EasyJet, come possibili partner per un rilancio di Alitalia.

Qual è l’ipotesi del vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio e del M5S? Molti osservatori hanno notato che è simile al modello Air France. Lo Stato tornerebbe a essere azionista di riferimento della compagnia, e verrebbe affiancato da partner industriali come l’americana Delta Airlines e Easy Jet. I privati gestirebbero la società, e attingerebbero risorse da un prestito erogato forse dalla Cassa Depositi e Prestiti. La mano pubblica sarebbe costituita dal Tesoro e dalle Poste Italiane, che hanno già espresso parere favorevole a un loro ingresso nell’azionariato di Alitalia.

È credibile un’ipotesi di questo tipo, si chiedono gli operatori del settore e l’intera comunità degli affari? C’è molto scetticismo sulla nazionalizzazione, ma a quanto pare è l’unica in campo. E il M5S, azionista di maggioranza del governo, avverte i suoi partner di governo che comunque vadano le cose Alitalia tornerà a essere pubblica, pena la strada di un altro fallimento.

E le obiezioni del Ministro del Tesoro e il suo vago riferimento al mercato? Per ora non si sono tradotte in un progetto alternativo a quello proposto da Di Maio. Anche perché se si guarda al passato i privati che tentarono un salvataggio si sono lasciati alle spalle soltanto macerie e fallimenti.

 

Quanto è costato salvare Alitalia, e di chi è la colpa

Come si è arrivati a questa situazione da ultima spiaggia? Quanto ci è costata finora questa brutta avventura nei cieli del pianeta?

Partiamo da questa seconda domanda. La nostra compagnia di bandiera si porta alle spalle due fallimenti, uno nel 2008 e uno nel 2017 con l’amministrazione controllata. Secondo alcuni studi, Alitalia continua a perdere ogni anno circa 400 milioni. Il costo dei salvataggi degli ultimi dieci anni, secondo uno studio dell’Università milanese Bicocca, supera i 9 miliardi di euro, mentre secondo uno studio di Mediobanca dal 1974 al 2014 sono 7,4 miliardi di euro i soldi spesi dallo Stato per tenere in vita la compagnia.

La crisi inizia alla fine degli anni Novanta, quando anche Alitalia è costretta ad abbandonare il guscio dorato del monopolio, con tariffe proibitive per gran parte della popolazione, e a confrontarsi con la globalizzazione e la competizione delle compagnie low cost. È la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova era, segnata nel 2000 dal fallimento della fusione con Klm.

Ma è il 2008 l’anno della vera debacle. E questa volta il colpevole ha un nome e cognome: Silvio Berlusconi. Tre anni prima di essere travolto dalla crisi finanziaria del 2011, l’allora premier prese una decisione “irrevocabile”: rifiutò l’appetitosa e vantaggiosa offerta di acquisto di Air France e, nel disperato tentativo affermare il principio dell’italianità, lanciò l’operazione Fenice, mise assieme la famigerata cordata di sedici “capitani coraggiosi” formata da nomi altisonanti del capitalismo italiano guidati da Roberto Colaninno. Nacque così la Cai: Compagnia Aerea Italiana. L’operazione negli anni successivi si è rivelata un disastro finanziario enorme che si è trascinato fino ai nostri giorni.

Oggi Alitalia è ancora sull’orlo del fallimento, le promesse per un risanamento sono sui tavoli del governo. Ma neppure Hercule Poirot ci saprebbe dire se ci sarà un nuovo assassino.

CONDIVIDI

Leggi anche

È in Russia la nuova Silicon Valley

Un pomeriggio di primavera, a Parigi, dalle parti dei Giardini del Lussemburgo, Ernest Hemingway rampognava l’amico scrittore Francis Scott Fitzgerald: “Devi leggere subito Gogol e Tolstoj solo così imparerai a dare un carattere al tuo Gatsby”. Veloce aneddoto per dire che la Russia, grande scuola della letteratura del passato, merita un ruolo di primo piano […]