Pensionati che non riescono a smettere

Pensione: ci si va per continuare a lavorare? Sono ben 442 mila i pensionati che, secondo i dati ISTAT pubblicati il 15 dicembre 2016 risultano occupati nel 2015. Secondo i sociologi, non è tanto la necessità economica che porta i pensionati a proseguire con un’attività lavorativa o a impegnarsi nel volontariato; a prevalere è il bisogno di mantenere […]

Pensione: ci si va per continuare a lavorare? Sono ben 442 mila i pensionati che, secondo i dati ISTAT pubblicati il 15 dicembre 2016 risultano occupati nel 2015. Secondo i sociologi, non è tanto la necessità economica che porta i pensionati a proseguire con un’attività lavorativa o a impegnarsi nel volontariato; a prevalere è il bisogno di mantenere un ruolo attivo nella società.

I rischi post pensione

Perdita di autostima, noia, frustrazione, in alcuni casi depressione. Sono questi i rischi nei quali si può incappare dopo la pensione. Per evitarli, il pensionato reagisce ricollocandosi in un contesto sociale, attraverso la prosecuzione di un’attività lavorativa o il volontariato. «L’uomo desidera un ruolo sociale attivo e ha l’esigenza di mantenere viva la progettualità del futuro», spiega Massimiliano Gianotti, Presidente della sezione lombarda dell’Associazione Nazionale Sociologi, psicologo e giornalista. «L’insofferenza nasce dall’esclusione dai processi produttivi della società. A un certo punto ci si trova di fronte a un vero proprio crac degli equilibri, sia nel contesto sociale sia in ambito familiare. L’uomo moderno non è capace di vivere serenamente la pensione. Di conseguenza, l’individuo cerca di riattivare il suo ruolo sociale».

Secondo il sociologo: «La percezione economica passa di solito in secondo piano. La progettualità del futuro mantiene viva e attiva la persona». E per sentirsi vivi ci sono due modi. Il primo è il trasferimento in altre zone fuori dall’Italia: «Molti anziani sopra i 65 anni si sono trasferiti alle Canarie o in Bulgaria alla ricerca di un tenore di vita più sostenibile» prosegue il dottor Gianotti. «Anche il fatto di spostarsi è indice di progettualità. Il secondo modo per sentirsi attivi dopo la pensione consiste appunto nella volontà  di reintegrarsi nel processo di un contesto sociale. Ecco allora che si continua a lavorare, magari come consulenti e liberi professionisti oppure in forma gratuita, dedicandosi a varie forme di volontariato. «Dopo che gli equilibri si riassestano, riparte un nuovo progetto», conclude Gianotti. Ma la società è pronta a questi cambiamenti?

Ripensare l’impostazione tradizionale del modello sociale

Il modello economico sociale della società moderna è ancora legato a schemi rigidi. Oggi però questo sistema non funziona più. Ne parliamo con Flaminio Squazzoni, docente in Sociologia economica del dipartimento di Economia e Management dell’Università degli Studi di Brescia: «Le aspettative di vita si sono significativamente allungate in tutti i Paesi. Si vive di più, si vive più attivi, si invecchia con tempi più lunghi, si familiarizza a lungo con varie malattie croniche e si ha bisogno di cure. Così il welfare state a cui siamo abituati, con la sua definizione rigida e socialmente determinata di educazione-lavoro-pensione, non regge più. Credo che ci sia bisogno di ripensare l’impostazione tradizionale».

Torna in gioco il concetto di avere un ruolo attivo nella società: «Ci sono regole nate in un periodo storico in cui c’era alta natalità (tanti bimbi oggi e quindi tanti lavoratori domani, che pagano contributi a sostegno degli anziani) e mortalità medio alta (pochi anziani da mantenere in pensione per un numero relativo di anni rispetto a oggi). C’erano lavori stabili, mercati nazionali relativamente protetti e domanda di prodotti in crescita. Oggi questo mondo è cambiato e abbiamo bisogno di nuove regole e istituzioni, che ancora non abbiamo scoperto. Da qui i conflitti tra generazioni, le riforme del lavoro e dei sistemi socio-assistenziali. Da qui anche la necessità di anziani attivi che contribuiscano in qualche modo nel lavoro, nelle attività di cura, nel volontariato, nella comunità. In alcuni casi, questi anziani in pensione che lavorano sono segnali di un futuro di trasformazione del legame tra lavoro e riposo, tra vita attiva e vita passiva e, quindi, anche dell’identità dell’anziano. Non è detto che questo sia necessariamente un male ma un determinismo sociale ed economico in questi processi: non possiamo far finta che non esista».

Le storie degli italiani, tra lavoro e volontariato

Sono tante le storie dei pensionati che scelgono di proseguire un’attività lavorativa, che sia un’occupazione o il volontariato. Il fatto di continuare a sentirsi vivo nella società anima l’attività di Renzo Ricchi. Fiorentino d’adozione, ex giornalista Rai, continua a lavorare come critico letterario, saggista, poeta, narratore e drammaturgo: «Dopo il lavoro, spesso ci si trova in balìa di se stessi. Può subentrare la noia, la solitudine, la sensazione di non avere un ruolo e di sentirsi inutili. Se io dovessi stare senza far nulla, impazzirei. Che farei tutto il giorno? In Rai si è abituati a una vita fantastica: viaggi continuamente, i telefoni squillano sempre. Poi, all’improvviso, ci si ritrova a casa. Mi sono mantenuto vivo e attivo. C’è bisogno di una politica sociale idonea, di strutture adeguate. Sono tante le persone mentalmente vive e che possono offrire ancora molto alla società».

Ne è un esempio Franco Simontacchi. Ex tecnico delle telecomunicazioni, ogni tanto fa ancora qualche consulenza per la società in cui lavorava. Franco fa parte della Croce Azzurra di Vanzaghello, un piccolo paese nel milanese. Di buon grado, racconta: «Ho lavorato per 47 anni come tecnico delle telecomunicazioni. Ho girato tutto il mondo. Dopo la pensione, dovevo dare una motivazione a cosa fare; mettere a disposizione le mie capacità  per chi ne ha bisogno, mi piace e mi motiva. Ho imparato a conoscere le problematiche delle persone. Faccio ancora consulenze ma mi sembra di essere utile anche nel volontariato. È un’esperienza che mi aiuta anche a vivere». Stessa cosa per Lino Martinelli, anche lui volontario della Croce Azzurra. Lino faceva il litografo. «I primi mesi dopo la pensione non sono stati facili. Facevo qualche lavoretto per la parrocchia ma mi chiedevo cosa avrei fatto dopo. Il volontariato, non solo in Croce azzurra, mi permette di impiegare il mio tempo in modo utile per gli altri e di non sentirmi isolato». Insomma, che sia lavoro o volontariato, i pensionati di oggi hanno il bisogno di sentirsi vivi e attivi nella società.

E l’Istat cosa dice?

L’analisi ISTAT offre un ritratto dei lavoratori che percepiscono una pensione. Sono 442mila i pensionati occupati nel 2015, 331 mila sono di sesso maschile. Ben 382mila (l’86,4%) svolgono un lavoro autonomo, mentre solo 60mila pensionati risultano dipendenti. Dal punto di vista anagrafico, circa il 74% dei pensionati occupati ha almeno 65 anni. Sono ben 166mila i pensionati occupati nella fascia d’età compresa tra i 65 e i 69 anni; e 161mila i pensionati lavoratori di oltre 70 anni. Per quanto riguarda il settore di professione, il 63,6% dei pensionati che continuano a essere occupati lavora nell’ambito dei servizi. In particolare, 93mila pensionati lavorano nel commercio, mentre 66mila svolgono servizi alle imprese. Se si guarda l’occupazione indipendente, il 58,6% è rappresentato da lavoratori autonomi, il 20,2% è costituito da liberi professionisti e il 6,6% è formato da imprenditori. Il 63,5% dei pensionati lavoratori risiede nelle regioni settentrionali.

 

(Photo credits: http://i.dailymail.co.uk)

 

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