Reggia di Caserta: il direttore è scaduto per età

Ho letto la notizia nella quale Mauro Felicori, Direttore della Reggia di Caserta, ha annunciato su Facebook che avrebbe lasciato il suo incarico all’età di 66 anni per sopraggiunti limiti di età,  in conformità con il Decreto legge sul Pubblico impiego (DL 101/2013) e con quello sulla Pubblica Amministrazione (DL 90/2014). “In ragione della legge […]

Ho letto la notizia nella quale Mauro Felicori, Direttore della Reggia di Caserta, ha annunciato su Facebook che avrebbe lasciato il suo incarico all’età di 66 anni per sopraggiunti limiti di età,  in conformità con il Decreto legge sul Pubblico impiego (DL 101/2013) e con quello sulla Pubblica Amministrazione (DL 90/2014).

In ragione della legge sulla quiescenza obbligatoria per limiti di età dei dipendenti pubblici, il mio contratto con lo Stato come direttore della Reggia di Caserta cesserà con il prossimo ottobre, in anticipo di un anno rispetto alla scadenza indicata. Peccato“.

Peccato, on conosco il Direttore Felicori e non ho competenza per valutarne l’operato ma certo vale la pena interrogarsi sull’efficacia del pensionamento d’ufficio obbligatorio per i dipendenti pubblici al compimento dei 66 anni e 7 mesi. Sono sicuro che ognuno di noi conosce settantenni brillanti e pieni di motivazione e quarantenni svuotati senza passione ed energia, certo vale molto più spesso il contrario ed è proprio per questo motivo che non si comprende perché l’anagrafe debba sostituirsi a criteri oggettivi di valutazione come il merito e l’attitudine; non si capisce inoltre sulla base di quali criteri nello stesso decreto questo limite si sposta fino al compimento dei 70 anni per professioni come il Professore universitario. Fatico a comprendere perché il legislatore abbia ritenuto che un direttore di museo avesse un’idoneità anagrafica di 4 anni inferiore rispetto ad un Professore universitario.

Il pubblico, il privato, il paradosso

Abbiamo esempi evidenti nella scienza, nell’arte e nella cultura di persone che, ben oltre i supposti limiti di idoneità anagrafica stabiliti dal decreto, hanno contribuito con il loro lavoro in modo significativo al bene collettivo- Penso a scienziati del calibro di Umberto Veronesi, Silvio Garattini, Edoardo Boncinelli per arrivare a Rita Levi Montalcini e la lista potrebbe davvero essere infinita.

Vale la pena interrogarsi su quanto avremmo perso come collettività se il privato avesse adottato le stesse regole del settore pubblico, quel privato che certo trae un evidente vantaggio da queste regole che, per forza di cose, spingono i pensionati di ufficio, quelli di valore, a ricollocarsi a termine mandato in quelle aziende e organizzazioni che hanno ancora la sensibilità e la lungimiranza di comprendere lo straordinario valore che possono esprimere.

Viviamo immersi in un totale paradosso: da un lato il nostro Paese vive una disoccupazione giovanile drammatica, cronica e sistemica, che non è certo stata mitigata dal pensionamento d’ufficio obbligatorio: secondo le ultime stime Ocse, a luglio 2018 la percentuale di giovani disoccupati in Italia era pari al 30,8%, quasi il doppio rispetto al 16,6% della media in area euro; dall’altro lato, il mondo digitale ci proietta in un diffuso e a volte estremo ed ingiustificato “giovanilismo” aziendale, dove molte aziende e manager in sneakers pensano che il processo di innovazione e quello creativo passi esclusivamente attraverso l’innesto di nativi digitali privilegiando le competenze tecnologiche degli under 30 svilendo così il valore dell’esperienza se considerano gli over 50 un costo d un relativo problema prossimo da gestire. È chiaro, quindi, che anche nel privato esiste un silente e non esplicito pensionamento d’ufficio per limiti di età persino piu’ estremo anche se non regolato da un decreto legge, come conferma una ricerca di Associazione Lavoro sugli over 40: i disoccupati over 40 sono il 30% in più dei giovani disoccupati e, più si va avanti, più la situazione è critica.

Chi ha perso il lavoro tra i 46 e i 55 anni, nel 60% dei casi è disoccupato da più di due anni.

L’età è una risorsa, mai un conflitto

Nel 2016 Clint Eastwood, all’età di 84 anni, dirige American Sniper candidato a 7 premi Oscar e due anni dopo dirige Sully, la storia del Capitano Sullenberger che aveva 58 anni quando fece atterrare il volo 1549 della US Airways sul fiume Hudson a Manhattan.

Molte aziende non comprendono che il valore nasce dalla somma delle due componenti: esperienza e competenza, senior e giovani. Ormai sottovalutati e forse troppo costosi i primi, sopravvalutati e a basso prezzo i secondi, dovremmo avere generazioni a supporto e non a confronto e in conflitto come sempre piu frequentemente accade in molte realtà-

Delegare all’anagrafe è ingiusto e troppo semplice, vale per il settore pubblico come per quello privato. Bisogna invece impegnarsi per creare criteri di merito oggettivo che vadano oltre la carta d’identità e che tengano invece conto di esperienza, competenza, motivazione, aderenza ai valori, passione e impegno. Dobbiamo aprire le porte ai giovani creando modelli culturali nuovi e ambienti di lavoro inclusivi che favoriscano l’integrazione e la contaminazione generazionale ma per farlo servono manager e leader orientati alle persone, con capacità e voglia di andare a fondo.

Se nel lavoro ci fermiamo all’analisi razionale delle curve demografiche, non riusciremo mai a fare atterraggi sicuri.

Nella foto: Mauro Felicori, Direttore della Reggia di Caserta

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