Riforme del lavoro: il conflitto della Nuit Debout

Passata quasi in sordina nell’agenda dei media italiani, la Nuit Debout francese appare, ogni giorno di più, come la reazione più acuta, articolata e creativa alle riforme del lavoro recentemente attuate nei Paesi dell’Unione Europea. Un movimento vasto, composito, eterogeneo dove sono confluiti studenti, giovani lavoratori, operai, precari, intellettuali, sindacati, tutti accomunati dalla volontà di […]

Passata quasi in sordina nell’agenda dei media italiani, la Nuit Debout francese appare, ogni giorno di più, come la reazione più acuta, articolata e creativa alle riforme del lavoro recentemente attuate nei Paesi dell’Unione Europea. Un movimento vasto, composito, eterogeneo dove sono confluiti studenti, giovani lavoratori, operai, precari, intellettuali, sindacati, tutti accomunati dalla volontà di stare desti – notte in piedi, appunto – e far sentire la propria voce contro le riforme del lavoro presenti nella Loi Travail, il disegno di legge che porta la firma di Myriam El-Khomri, che rischia di vanificare decenni di conquiste del diritto del lavoro d’Oltralpe e di cancellare quello che è stato visto spesso come un modello all’avanguardia.

Dove vanno le riforme del lavoro europee: la Loi Travail

Caldeggiata dal ministro dell’Economia Macron, soprattutto per soddisfare le richieste del Medef (la Confindustria francese) e paradossalmente presentata come lo strumento che dovrebbe garantire future assunzioni, da quando, il 17 Febbraio scorso, il disegno di legge El-Khomri è stato reso pubblico, si è organizzato spontaneamente un movimento che è arrivato a raccogliere più di un milione di adesioni per una petizione onlineLoi travail, non merci! – che richiede il ritiro immediato della legge.

Un’estrema liberalizzazione dei licenziamenti economici giustificati non solo in caso di crisi aziendale ma anche quando un’impresa sceglie di delocalizzare, l’istituzione (similmente al Jobs Act italiano) di una soglia massima per l’indennità di licenziamento, nel caso in cui questo venga ritenuto illegittimo e una deregolamentazione diffusa del mercato del lavoro, attraverso la scelta di demandare alla contrattazione di secondo livello gran parte delle regole finora inserite nel Code du Travail che, insieme agli accordi nazionali, rimarrà di fatto una scatola vuota, dove saranno adagiati solo i principi fondamentali.

Con quella che è una vera e propria inversione della gerarchia delle norme, gli accordi di settore e, soprattutto, d’impresa, con misure differenti da caso a caso, potranno stabilire e aumentare le ore di lavoro settimanali e le ore massime di lavoro in una giornata; prevedere riduzioni dello stipendio, anche per ragioni non strettamente economiche, un supplemento per le ore di straordinario inferiore rispetto a quello attuale e, in caso di rifiuto, potranno disporre il licenziamento del lavoratore.

Tutte queste riforme del lavoro – le più eclatanti di un pacchetto più corposo che introduce anche novità relative ai congedi e al welfare e il referendum aziendale, previsto per indebolire i sindacati e spianare la strada all’approvazione degli accordi di impresa – si inseriscono perfettamente nel quadro europeo delle recenti riforme del lavoro, segnando un traguardo anche più preoccupante rispetto a provvedimenti come il Jobs Act o il Ddl sul lavoro autonomo italiani.

Le anime della Nuit Debout

Se la flessibilizzazione del mercato lavoro è il tratto di maggiore continuità tra le riforme del lavoro appena varate – il Jobs Act italiano e la Loi Travail francese – sono però le reazioni ai due provvedimenti a segnare le distanze maggiori.

“È stata una protesta attesa, ma inaspettata – spiega Jamila Mascat, docente precaria all’Università Paris I Sorbonne e attivista dell’NPA (Nouveau Parti Anticapitaliste), mobilitata nella contestazione -, in molti speravamo che si sviluppasse una reazione contro le misure del governo Valls, ma il movimento contro la Loi Travail è stato per molti versi una reazione inaspettata. A seguito degli attentati del 13 Novembre, infatti, un clima di unità nazionale aveva reso accettabile lo stato di emergenza, che vige ormai da sei mesi, senza reazioni particolarmente significative. In realtà, in un Paese dove la disoccupazione è in costante aumento e sono all’ordine del giorno licenziamenti e delocalizzazioni, messi in atto da grandi aziende come Goodyear e Citroen, l’elemento scatenante della protesta è stata proprio il disegno di legge El-Khomri che, con un attacco frontale, ambisce a smantellare i pilastri del Code du Travail. In Italia mi sembra che il processo di erosione del diritto del lavoro sia stato più graduale”.

A distanza di dieci anni dalle contestazioni che portarono al ritiro del disegno di legge sul Contratto di primo impiego (CPE) un movimento simile, anche se animato da urgenze diverse, torna a far sentire la propria voce. Gli studenti, universitari ma anche liceali, sono tra i gruppi più mobilitati contro un provvedimento ritenuto anacronistico e paradossale, che cancella decenni di lotte per i diritti dei lavoratori. Dopo il primo sciopero, lo scorso 9 Marzo, gli inviti al tavolo delle trattative che il Premier Manuel Valls ha rivolto per migliorare la legge, con concessioni ad hoc, hanno ottenuto la soddisfazione della Cfdt, il sindacato tradizionalmente più moderato, ma non hanno convinto le altre sigle sindacali, la Cgt, Fo, Fsu e Sud, né l’Unef, il sindacato degli studenti, che hanno continuato a protestare per chiedere il ritiro totale in blocco della legge.

Che gli studenti fossero legati a filo doppio con il movimento operaio e fossero una componente fondamentale nei conflitti sociali francesi, era già chiaro nel 1995, quando scesero in piazza insieme alle sigle dei trasporti pubblici per contestare le riforme del lavoro di Alain Juppé riguardanti le pensioni. Ora quel legame è solo confermato dalle affollate assemblee che animano le università parigine ma anche le piazze di Lione, Marsiglia, Strasburgo, Nantes e Metz. Jamila Mascat nota che

“Gli studenti hanno la piena consapevolezza di essere i lavoratori di domani, per questo si ritrovano davanti ai cancelli di Renault, alle stazioni dei treni o davanti ai MacDonald, per portare solidarietà agli operai licenziati o ai lavoratori in lotta. Che la Loi Travail sia un provvedimento a favore dei grandi gruppi industriali, tanto più pericoloso perché cerca di annullare gli strumenti legali di contestazione, è una certezza condivisa da tutti, per questo la mobilitazione è stata così netta”

État d’urgence e grève générale

Dalle 32 ore, al salario minimo, dai sussidi di disoccupazione all’abolizione del contratto a tempo indeterminato: nelle assemblee studentesche si continua a discutere su quelli che dovrebbero essere gli scenari futuri della normativa del lavoro.
Insieme all’abolizione del disegno di legge El-Khomri l’unica altra certezza riguarda il ritiro dello stato d’emergenza, votato all’unanimità dalle assemblee degli studenti. È proprio questa, infatti, l’altra rivendicazione che accomuna cittadini, militanti, universitari e lavoratori.

“Si tratta di una provvedimento liberticida – commenta Mascat – che ha dato luogo a delle reazioni repressive smisurate e ha visto un dispiegamento di forze dell’ordine senza precedenti, come nella giornata dello scorso 5 aprile quando sono stati fermati 130 studenti, molti dei quali adolescenti. Lo stato d’emergenza, di cui è stata annunciata un’ulteriore proroga sta segnando il momento di maggiore impopolarità di un governo già largamente delegittimato, non solo dalla base del partito Socialista, che ormai stenta riconoscerlo come un partito di sinistra ma anche da alcuni parlamentari, sempre più insofferenti alle decisioni dell’Esecutivo guidato da Valls”.

Dello stesso parere anche Mickael Wamen, delegato della Cgt, licenziato dalla Goodyear di Amiens insieme ad altri 1142 operai, quando l’azienda, nel 2014 ha deciso di delocalizzare, che, in un’assemblea, ha affermato che la Francia di Hollande è precipitata in uno stato di guerra dove si assiste ogni giorno a una criminalizzazione delle proteste, non solo quelle di chi lavora e di chi lavorerà ma anche di chi – come i 317 manifestanti arrestati lo scorso novembre – ha deciso di radunarsi per contestare la Cop21.

Una condizione che, però, non spaventa: il 31 marzo, la giornata che ha segnato l’inizio della Nuit Debout, si è scelto di rimanere in Place de la Répubblique – il luogo dove sono state commemorate le vittime del 13 novembre – e di prolungare in modo indefinito lo sciopero. Lo stesso avviene ogni notte quando una moltitudine molto eterogenea, fatta anche di associazioni di genitori di studenti, sindacalisti, attivisti, militanti, associazioni che sostengono i migranti, gruppi femministi e collettivi lgbt, si riunisce in una manifestazione tacitamente autorizzata e puntualmente sgomberata, nelle prime ore del giorno successivo.

Solo questa piazza dinamica ed effervescente è riuscita a tenere alto il livello della mobilitazione contro le recenti riforme del lavoro nelle ultime settimane, quando alcune festività e la chiusura delle principali sedi universitarie hanno imposto una pausa. Ora che l’arrivo della Loi Travail in Parlamento si fa sempre più vicino – la discussione inizierà il 3 maggio – ci si chiede come continuare la protesta, e in che modo.

Il movimento – ferrovieri, interessati anche da una riforma di settore, in testa – ha l’obiettivo dichiarato di iniziare uno sciopero a oltranza ma è necessario smuovere le direzioni sindacali:

“Se i sindacati continueranno a indire singole giornate di sciopero, a distanza di settimane l’una dall’altra, sarà inevitabile un calo della mobilitazione, come è già avvenuto dopo lo scorso 9 aprile. Si tratta di un pericolo concreto perché finora la mobilitazione ha seguito una strategia discontinua, soprattutto a causa delle divergenze interne ai sindacati. La Cgt, ad esempio, pur avendo rifiutato il disegno di legge, è attraversata da forti tensioni: le direzioni sindacali, più moderate e attendiste, sono contestate da settori interni più radicali che denunciano la mancanza di determinazione e di una strategia realmente combattiva”.

La frammentazione, ora che le contestazioni sono ricominciate, è il pericolo maggiore: il 24 aprile gli intermittenti dello spettacolo hanno occupato il Teatro dell’Odeon, luogo simbolo delle proteste studentesche a cui era toccata la stessa sorte nel ’68, e poi il prestigioso teatro della Comédie française, mentre il 26 aprile uno sciopero massiccio, il terzo in due mesi dell’SNCF, le ferrovie francesi, ha bloccato un treno su due. Segnali importanti, soprattutto di fronte al rischio che qualcuno passi la mano.

“La Cfdt si è sganciata dalla protesta dopo le prime concessioni del Governo. La Fsu il sindacato della funzione pubblica, è relativamente mobilitato nella protesta, perché le norme della legge El-Khomri non si applicano nel settore pubblico, e il governo ha concesso recentemente e inaspettatamente un aumento dell’1,2% degli stipendi dei funzionari pubblici, una misura che dopo anni di richieste inascoltate (gli stipendi pubblici erano bloccati dal 2010) sembra essere stata varata col solo scopo di dividere e indebolire il movimento.
Ma pensare che la Loi El Khomri non riguardi i lavoratori del pubblico impiego sarebbe un grave errore: l’erosione del mercato del lavoro arriverà anche nel settore pubblico dove è già in atto una precarizzazione di tanti settori, come l’insegnamento universitario, lo dimostra bene il caso di Paris I dove oltre il 60% degli insegnamenti dei primi anni dei corsi di laurea in filosofia e sociologia è affidato a docenti precari con contratti a termine”.

Proprio questo è uno dei dati che deve far maggiormente riflettere: se il movimento della Nuit Debout riuscirà a stringersi e a far sentire un’unica voce, come intende fare il 28 aprile, quando è in calendario uno sciopero interprofessionale, la possibilità bloccare il disegno di legge El-Khomri e di porre un argine alla trasformazione del mercato del lavoro europeo diventa concreta. Lo scenario alternativo è quello di una precarizzazione crescente che, col passare del tempo non risparmierà neanche il settore pubblico e, nel contesto comunitario delle riforme del lavoro, creerà un pericoloso precedente che innovatori e rottamatori potrebbero guardare come un modello all’avanguardia.

(Credit Photo: News Week/Reuters)

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