Risorse straniere in classe

Mettersi nei panni degli altri è diventata la regola per i docenti della scuola italiana, che si trovano inseriti in una società sempre più multietnica. Agli insegnanti è chiesto un impegno maggiore affinché la scuola diventi il luogo di integrazione e dialogo per eccellenza. La parola d’ordine è intercultura. Aumenta il numero degli alunni stranieri. […]

Mettersi nei panni degli altri è diventata la regola per i docenti della scuola italiana, che si trovano inseriti in una società sempre più multietnica. Agli insegnanti è chiesto un impegno maggiore affinché la scuola diventi il luogo di integrazione e dialogo per eccellenza. La parola d’ordine è intercultura.

Aumenta il numero degli alunni stranieri. Primato in Lombardia

Gli alunni di origine straniera sono aumentati negli ultimi anni. Secondo i dati forniti nel Rapporto Miur Ismu (Istituto per lo studio della multietnicità) pubblicato nel 2016 e relativo all’anno scolastico 2014/2015, rispetto al 2009/2010 gli iscritti stranieri sono cresciuti del 20,9% mentre quelli italiani sono diminuiti del 2,7%. Le scuole con il 30% e oltre di studenti non italiani sono ben 2.855, per lo più concentrate nel Nord.

La Lombardia ha il primato: oltre 200 mila alunni con cittadinanza non italiana e 789 scuole con oltre il 30% di studenti stranieri. A seguire ci sono l’Emilia Romagna – con 95.241 alunni stranieri – e il Veneto, che registra oltre 92 mila alunni stranieri.  Numeri alti anche in Lazio e Piemonte, con oltre 70 mila studenti non italiani. I numeri più bassi di alunni stranieri si registrano in Molise (1.503) e in Valle D’Aosta (1.533).

Romania (19,5%), Albania (13,4%) e Marocco (12,6%) sono le nazionalità più rappresentate nelle scuole italiane, ma ci sono percentuali anche di altre nazionalità, creando una varietà di provenienze e culture.

La presenza di alunni stranieri, neo arrivati o di seconda generazione, richiede da parte dell’insegnante elasticità e disponibilità. Secondo i risultati di un questionario somministrato a 13.615 docenti di italiano e matematica, la presenza degli alunni stranieri in classe è percepita come un fenomeno positivo dal 74,4% degli insegnanti. Gli effetti positivi della presenza in classe di alunni stranieri maggiormente sottolineati sono l’empatia e lo sviluppo di un atteggiamento di mediazione dei rapporti con gli altri. La scuola italiana mostra dunque una notevole apertura. Tuttavia, per creare un’integrazione completa bisogna risolvere alcune problematiche.

Tra popolare e specialistica, la lingua resta lo scoglio più grande

La conoscenza della lingua rappresenta la principale difficoltà con la quale i docenti si scontrano. Per ben l’84% degli insegnanti intervistati spesso o in alcuni casi si riscontrano lacune linguistiche persistenti. C’è differenza tra gli studenti stranieri neo arrivati e i nati in Italia, che ormai rappresentano il 55,3% del totale degli iscritti stranieri. Se per i primi lo scoglio da superare consiste nell’apprendimento delle basi della lingua italiana, per gli altri l’ostacolo è spesso rappresentato dall’italiano specialistico.

Non a caso si registra ancora un alto tasso di ripetenze fra gli alunni di origine straniera, in particolare alle scuole medie (7,5% di studenti stranieri ripetenti contro il 2,7% degli italiani) e superiori (12,8% di alunni stranieri contro il 7,1% degli italiani). Ci sono molti fattori che possono portare alla bocciatura, ma la questione linguistica non è da sottovalutare. Nelle scuole dove sono presenti progetti specifici, oltre la metà degli interventi è dedicata proprio al sostegno linguistico.

Fiorella Farinelli, membro dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’intercultura del Miur e docente alla Rete scuole migranti di Roma, spiega: “Con la specializzazione siamo molto indietro e questo è grave. Una volta insegnato l’italiano corretto, bisognerebbe insegnare l’italiano per lo studio”. Senza dimenticare la questione del bilinguismo. Andrea Ravecca, ricercatore del Centro Studi Medi e docente di scuola superiore, sottolinea: “Spesso l’apprendimento della lingua madre non è completa perché magari in casa si parla la lingua di origine popolare. Sarebbe bello coltivare sia la lingua italiana sia quella di origine, valorizzandola come risorsa”.

50 milioni di euro per una scuola che sappia integrare

Altro nodo importante è la percezione della lontananza delle Istituzioni. Secondo il rapporto sopracitato, oltre l’80% dei docenti si sente per niente o poco sostenuto dalle istituzioni scolastiche sia a livello centrale sia da quelle comunali e provinciali. C’è da dire che a fine gennaio di quest’anno il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Valeria Fedeli, ha presentato al Miur un piano specifico per la scuola, mettendo complessivamente a disposizione 830 milioni di euro nel quadro degli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Di questi, 180 milioni di euro sono destinati al potenziamento delle competenze in lingua madre e straniere (oltre che ad altre discipline) e 50 milioni di euro sono riservati allo sviluppo di un modello scolastico che sappia promuovere l’integrazione e il dialogo interculturale.

Tuttavia, ancora molto – forse troppo – dipende dalla buona volontà di scuole e insegnanti. Il 70% dei docenti intervistati dichiara di aver in parte cambiato le modalità di didattica per andare incontro alle esigenze degli alunni stranieri e in moltissime scuole sono attivati progetti di integrazione. Solo il 34% degli insegnanti però sembra aver partecipato a corsi di aggiornamento sulla didattica interculturale o a corsi di formazione specifici. Le esigenze segnalate sono molte, dal potenziamento della lingua italiana alla riduzione del numero complessivo di alunni per classe fino al potenziamento di misure di intervento specifico. “Non abbiamo un sistema – commenta Fiorella Farinelli – Per i ragazzi stranieri la scuola è fondamentale. Bisognerebbe curarla con il massimo dell’attenzione perché è decisiva sia per gli studenti sia per gli equilibri sociali”.

Donne straniere: divise tra amore per lo studio e conservatorismo familiare

Nonostante le problematicità, il livello di integrazione è ritenuto positivo sia fra gli studenti, sia nel rapporto tra docenti e famiglie. Restano difficoltà in merito all’inserimento degli alunni provenienti da Pakistan e Bangladesh. Rilevante è la questione femminile. Le donne straniere mostrano di avere una forte propensione agli studi. È ancora bassa la percentuale delle studentesse straniere che frequentano i licei (34,2% contro il 60,8% delle alunne italiane) e tante sono le giovani non italiane che frequentano istituti tecnici e professionali (oltre il 65%), ma il dato di fatto è che alle donne piace studiare.

Il rapporto tra docenti e famiglie diventa ancora più importante, soprattutto per le studentesse provenienti da quelle parti del mondo basate su una visione conservatrice e sul ruolo gerarchico dei ruoli. “Fra gli studenti stranieri ho trovato un’educazione e un rispetto che spesso agli studenti italiani manca. Gli studenti che proseguono con gli studi sono davvero bravi. Il nodo vero che noi insegnanti dobbiamo sciogliere riguarda alcune famiglie che gli alunni hanno alle spalle e che hanno ancora una visione molto conservatrice rispetto all’emancipazione femminile, facendo fatica a integrarsi”. A parlare è Annamaria Talia, docente di diritto in un istituto superiore del milanese. “Mi è capitato di avere in classe una ragazza straniera piena di idee e di inventiva; però ha alle spalle una famiglia molto chiusa. Qualche anno fa, invece, durante un esame di maturità da esterna mi è capitato di ascoltare una studentessa bravissima. Tutti abbiamo dato per scontato che proseguisse gli studi e invece ci ha confidato che avrebbe dovuto andare in Pakistan a sposarsi. Dispiace vedere che alcuni alunni, anche se bravi, non andranno all’università perché la famiglia si oppone”.  Insomma, i docenti in tutti gli ordini e i gradi sono alle prese con la varietà delle culture del mondo.

Parola d’ordine, intercultura. Il caso di Biella

A conti fatti per far sì che tutti riescano a mettersi nei panni degli altri, la parola d’ordine sembra essere una sola: intercultura. “Nella mia prospettiva è avvicinare tra loro le culture e valorizzare i tratti migliori della cultura di origine e di quella di destinazione”. Questa è la soluzione auspicata da Andrea Ravecca e condivisa dalla scrittrice Giovanna Ceriotti. Il suo coniglietto azzurro Sugar è diventato l’emblema per molti bambini (ma anche per gli adulti) dell’integrazione. “È importante diffondere la cultura dell’integrazione fin da piccoli, cercando di non eliminare la diversità e la propria dimensione di cultura ma di valorizzarla, poiché costituisce un arricchimento. E vale sia per gli italiani sia per gli stranieri. Se questa impostazione non viene dalle famiglie, deve venire dalla scuola”.

Diventa allora fondamentale l’educazione interculturale. La conoscenza dell’altro deve diventare insomma il nuovo modello scolastico. Buon esempio sotto questo aspetto è il corso di formazione per insegnanti di ogni ordine e grado ‘Abitare i margini’ organizzato a Biella e promosso dall’Istituto di istruzione superiore Gae Aulenti, Caritas, Libera e Cisv. Il corso prevede un ciclo di incontri (i primi due si sono già svolti) tenuti da sociologhi, ricercatori e docenti che affrontano i temi legati proprio ai cambiamenti da mettere in atto per fare in modo che si possa raggiungere un’integrazione sempre maggiore in una società che ormai è diventata multietnica.

Del resto, per citare una frase di Tahar Ben Jelloun “Siamo sempre lo straniero di qualcun altro”.

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