Ristorazione, più regole che clienti: Milano non si siede a tavola

Il mondo della ristorazione è profondamente cambiato in soli due mesi e, con volontà e ostinazione, cerca di ripartire. Non senza difficoltà, ma soprattutto con nuove regole: prenotazione gradita ma non obbligatoria, rilevazione della temperatura corporea all’ingresso, richiesta nominativo e contatto telefonico da conservare per 15 giorni, posizionamento dei tavoli predisposti a scacchiera distanziati di […]

Il mondo della ristorazione è profondamente cambiato in soli due mesi e, con volontà e ostinazione, cerca di ripartire. Non senza difficoltà, ma soprattutto con nuove regole: prenotazione gradita ma non obbligatoria, rilevazione della temperatura corporea all’ingresso, richiesta nominativo e contatto telefonico da conservare per 15 giorni, posizionamento dei tavoli predisposti a scacchiera distanziati di almeno due metri da un tavolo all’altro, con i clienti separati da un metro gli uni dagli altri, utilizzo obbligatorio delle mascherine, mentre non c’è l’obbligo di indossare i guanti neanche per gli operatori, ma quello di lavare frequentemente le mani con gel idroalcolico.

E ancora: addio ai menù cartacei e utilizzo dei QR code con lettura attraverso il proprio smartphone del servizio offerto dal ristorante; oppure, per chi non avesse smartphone e avesse ancora un telefonino di vecchia generazione, sono stati predisposti menù plastificati che, una volta utilizzati dal cliente, vengono nuovamente sanificati dal personale; in alternativa vengono utilizzati quelli di carta usa e getta. E i protocolli cambiano da regione a regione.

Il 22 maggio scorso FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) e Afidamp (Associazione Fornitori Italiani Di Attrezzature Macchine Prodotti e servizi per la pulizia) hanno elaborato le linee guida per la sanificazione per COVID-19 per bar-ristoranti, dove si spiega in maniera dettagliata come affrontare la pulizia dei locali prima della riapertura al pubblico alla fine dell’emergenza. Il documento conclude così: “Avvalendosi della consulenza di un esperto di pulizia professionale è possibile ottimizzare tutte le operazioni di pulizia, anche attraverso sistemi alternativi e/o innovativi”.

 

Ristorazione, nuovi criteri di pulizia. L’esperto Viero Negri: “Nessuno ha parlato delle stoviglie”

Abbiamo contattato un esperto di pulizia professionale: Viero Negri è titolare, insieme ad altri soci di Amedea servizi, di una società che si occupa di tre macro-attività: pulizie in ambito civile, sanitario e industriale, ristorazione in ambito civile industriale e sanitario.

 

Che cosa è cambiato nei protocolli inviati ai ristoratori per la riapertura dopo il COVID-19?

“Si parla di punti di contatto, di menù che molti ristoranti stanno creando nella versione digitale con il QR code. Ci sono tante attenzioni; invece la mia attenzione si rivolge alle stoviglie, perché piatti, posate e bicchieri vengono messi in bocca. È un punto di criticità alto, la mia perplessità si basa proprio su questo poiché non è stato attuato nessun tipo di protocollo, nessuno ne ha parlato. La criticità riguarda le lavastoviglie dei ristoranti. La mia perplessità rimane su un fattore fondamentale, secondo il mio punto di vista: le stoviglie. Almeno nel periodo COVID-19 occorrerebbe utilizzare un detergente sanificante per lavastoviglie a base cloro, perché sanifica in maniera migliore rispetto a un detergente normale. Voglio fare un’opera di sensibilizzazione in modo tale che il ristoratore abbia una tabella, come noi nelle nostre mense, in cui dice: ‘La nostra cucina pone una grandissima attenzione nel lavaggio delle stoviglie dato che ogni giorno eseguiamo queste operazioni’. Con banalissime azioni correttive che possono essere attuate senza stravolgere l’organizzazione di un ristorante, visto quello che hanno già dovuto affrontare a causa del COVID-19.”

 

Le difficoltà dei ristoratori però erano già presenti prima del lockdown: secondo il Rapporto sulla Ristorazione 2019 elaborato da FIPE, nel 2018 hanno avviato l’attività 13.629 imprese, mentre oltre 25.900 l’hanno cessata. Il saldo è negativo per oltre 12.000 unità. Nel terzo trimestre 2019 il clima di fiducia era in netto peggioramento rispetto a un anno prima, a conferma di un quadro caratterizzato da forte incertezza.

I danni della pandemia su un settore già in difficoltà

Nel 2018 la spesa delle famiglie in servizi di ristorazione è stata di 84.291 milioni di euro, con un incremento reale sull’anno precedente pari al 1,7%.

Se in condizioni “normali” di mercato la situazione delle attività legate alla ristorazione nel 2018 e nel 2019 non era delle più rosee, possiamo solo immaginare quanti danni possano provocare non solo la chiusura dovuta al lockdown, ma anche le nuove modalità di apertura che sono state rese obbligatorie a causa del coronavirus: meno coperti (spesso nell’ordine del 40-50% in meno, meno clienti predisposti a uscire, o psicologicamente non ancora pronti a vivere una situazione di svago e piacevolezza con modalità completamente stravolte), investimenti in sicurezza e ristoranti desolatamente vuoti alla riapertura anche in una città come Milano.

Sempre secondo i dati FIPE, nel 2018 in Italia risultavano attivi 184.587 tra ristoranti e attività di ristorazione mobile, dove il picco percentuale a due cifre viene raggiunto dalla Lombardia con il 14% e dal Lazio con l’11,6%, con la Campania che ci si avvicina con il suo 9,5%.

 

Ristoranti riaperti troppo presto. L’opinione dello chef Zampa: “Preavviso di neanche 48 ore”

Luca Leone Zampa, chef e titolare del ristorante Immorale di Milano, afferma: “Noi abbiamo seguito tutte le regole di sanificazione che ci sono state indicate; è il presupposto fondamentale per fare un buon lavoro. Il ristorante viene sanificato tutti i giorni, quattro volte al giorno. Noi cuciniamo e somministriamo su stoviglie che passano a 92°, pulite con detergenti specifici, e le nostre tovaglie vengono lavate a 92° con detergenti igienizzanti. In tutti i ristoranti che seguono criteri di HACCP vengono rispettate già al 90% delle indicazioni igieniche relative al COVID-19. I DPI come la mascherina e l’igienizzazione delle mani sono la regola, così come la disponibilità del disinfettante all’ingresso del ristorante. Sono tutte buone pratiche che vengono attuate”.

 

Ma le persone dopo la riapertura del 18 maggio sono tornate al ristorante?

“Le persone qui a Milano non ci sono. Magari vanno a fare un aperitivo, ma non vanno al ristorante. Parliamo del 10-15% del fatturato mensile. Occorre parlare del presente, per cui è ora di tornare a vivere e lavorare nella maniera più normale possibile – con le dovute cautele – considerando il fatto che stiamo seguendo tutte le regole che ci sono state indicate. Abbiamo seguito tutto quello che c’era da fare per riaprire in sicurezza e anche di più: ho adeguato le dimensioni dei miei tavoli, sono passato dai tavoli quadrati ai tavoli rotondi, rispettando così il distanziamento di almeno un metro.”

L’utilizzo gratuito del suolo pubblico?

“Le norme di occupazione del suolo pubblico sono più stringenti di quelle a pagamento. Stiamo elaborando la pratica: invece di avere 8 metri quadri di superficie ne ho a disposizione 2,5 con i costi di ripristino della segnaletica orizzontale e verticale.”

Che cosa non ha funzionato?

“Riaprire così presto con un preavviso di neanche 48 ore. C’è stato un vuoto di comunicazione che parte dagli uffici pubblici per arrivare fino alla banca: la pratica per la richiesta di occupazione del suolo pubblico a pagamento al comune, per esempio, l’ho presentata durante il lockdown, ma nessuno dell’ufficio mi ha risposto, senza parlare della mia banca, con cui non riesco neppure a fissare un appuntamento.”

 

L’idea di ripartire segue un andamento lento (anche) per i ristoratori.

 

Ristorazione in Lombardia, il Consigliere regionale: “Poche regole chiare. Gli standard sanitari erano già eccellenti”

“I ristoratori in questo momento hanno soprattutto bisogno di clienti”, afferma Gianmarco Senna, Consigliere regionale della Lombardia e presidente della Commissione Attività produttive al Pirellone.

Senna arriva dal mondo della ristorazione ed è un imprenditore affermato a Milano, titolare di diversi locali: “Norme e buonsenso. Riaprire ha dei costi, e se non apri tutto il resto che gravita attorno – come gli uffici, che per la maggior parte sono ancora in smart working – saranno pochi i ristoranti che potranno permettersi di ricominciare senza perdere soldi, figuriamoci guadagnarne. Meglio riaprire una settimana dopo, insieme all’apertura degli uffici: in questi giorni sono al Pirellone, e gli uffici tutti intorno sono chiusi. Senza contare l’aspetto psicologico, che ha fatto e continua a fare danni: anche se tieni la giusta distanza, se indossi la mascherina, se ti lavi sempre le mani, il rischio zero non esiste, ma sono situazioni con cui dobbiamo imparare a convivere”.

 

Che cosa ne pensa se ci fosse una sorta di bollino, da parte della Regione Lombardia per i ristoranti, che possa certificare che tutte le operazioni di sanificazione sono state effettuate, al fine di rassicurare i clienti?

“Non sono per niente d’accordo. I clienti vanno in un locale per determinati motivi: la qualità del cibo, il livello di servizio, il rapporto qualità prezzo, e perché le condizioni igienico-sanitarie già prima del COVID-19 in Lombardia avevano standard di eccellenza, e sono nel mondo tra i migliori in termini assoluti. In Lombardia i ristoratori seguono standard normativi e di sicurezza HACCP già molto stringenti. No a bollini e certificazioni; sono per poche regole, chiare e fattibili.”

E con l’arrivo dei turisti in Lombardia?

“Per il sistema Italia il governo deve mandare un segnale chiaro: in Lombardia e in Italia si può entrare in sicurezza. Tutto il Paese rimanga unito, perché il bene della Lombardia è il bene per tutto il Paese.”

 

Le ripartenze – specie se in salita – non sono mai facili, ma Milano e la Lombardia hanno voglia di ricominciare. In sicurezza, seguendo le regole. E i ristoratori, dopo averlo fatto, aspettano i clienti. Quei clienti che possono finalmente tornare ad animare i locali e a far rivivere una socialità che, seppur cambiata, va ridefinita, ma non dispersa.

 

 

Photo credits: www.milanosud.it

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