Settore del legno: parlare alla Brianza perché il Friuli Venezia Giulia intenda

Ricordo molto bene cos’è stata la crisi del 2009 per il settore del legno: le fabbriche chiudevano una dopo l’altra, i capannoni andavano all’asta, marchi conosciuti che avevano dominato il mercato fino a qualche anno prima scomparivano fagocitati dall’onda che arrivava da oltreoceano. E le persone. Dio, le persone: per loro fu anche peggio. Ho […]

Ricordo molto bene cos’è stata la crisi del 2009 per il settore del legno: le fabbriche chiudevano una dopo l’altra, i capannoni andavano all’asta, marchi conosciuti che avevano dominato il mercato fino a qualche anno prima scomparivano fagocitati dall’onda che arrivava da oltreoceano. E le persone. Dio, le persone: per loro fu anche peggio. Ho ancora il vivido ricordo della gente in fila fuori dal Centro per l’Impiego di Pordenone, tante che una dietro l’altra facevano il giro dell’edificio, tutti con la lettera di licenziamento in mano, ancora certi che la crisi sarebbe passata da lì a poco e avrebbero potuto riprendere il lavoro e la vita di prima. Senza rendersi conto che la marea economica aveva spazzato via tutto e che il mondo di prima non c’era più.

Per il settore legno arredo quegli anni furono devastanti, e sembrava che le aziende non avessero alcun modo per risollevarsi. Il simbolo di questo declino era rappresentato dalla grande sedia di legno che troneggiava all’entrata del distretto di Manzano in provincia di Udine, demolita nel 2016 dopo che per vent’anni era stato il simbolo della fortuna della città. Sembrava tutto perduto. Invece, come l’albero che rinasce da una gemma, il settore legno arredo sembra aver trovato una nuova strada da percorrere. E ora, anche se molte imprese sono fallite, quelle sopravvissute si stanno rialzando.

Studentessa del polo formativo LegnoArredo

Partendo da un articolo pubblicato su MB News, intitolato Nasce nel cuore della Brianza l’Università del LegnoArredo intitolata a Rosario Messina, intraprendo una ricerca che dal Nord Est mi porta verso ovest.

L’ovest per un friulano significa la FIAT di Torino, significa Milano, la città degli yuppies e del noio voulevan savuar, la trafficata metropoli dove le aziende sono più grandi e si dialoga a tu per tu con il mondo. Voglio sfatare il mito che a ovest si faccia tutto meglio e più in grande. Scelgo quindi di chiamare la scuola che per noi è sinonimo di qualità e solida preparazione tecnica: l’I.S.I.S. Arturo Malignani. Riesco a parlare con il professor Massimo Vuerich, che della formazione nel settore del legno ha fatto la sua professione.

 

 

Professore, il settore del legno è stato falcidiato dalla crisi del 2009. Qual è ora lo stato dell’arte nel Nord Est?

È vero, gli anni che hanno seguito il 2009 sono stati tremendi, molte imprese hanno chiuso; ma questo non significa che il settore sia in ginocchio, tutt’altro. Il nostro problema oggi è quello di non avere un sufficiente numero di allievi per dare una risposta alle imprese della nostra regione, che chiedono sempre più manodopera formata. Le scuole di Udine e Tolmezzo hanno il problema di trattenere i ragazzi che ben prima del diploma si vedono offrire un lavoro e uno stipendio. Fortunatamente molti di loro hanno compreso fin dalle prime classi che il settore necessita di formazione approfondita e di un titolo accademico che sia sinonimo di competenza e capacità tecniche. Il secondo problema è quello di attrarre gli studenti, un problema che nelle scuole del legno di Brugnera sentono di meno perché hanno un appeal superiore dato dall’offerta formativa più accattivante e maggiormente diversificata rispetto ai percorsi tradizionali, corrispondente alle necessità di quel territorio.

Si pensa al settore del legno come esausto.

È il contrario. A Manzano, nel distretto della sedia, dove la crisi degli ultimi 10 anni ha falcidiato le aziende meno solide o che meno di altre avevano investito in formazione e sviluppo, si registra un crescente bisogno di nuove leve, testimonianza del fatto che il settore è tutt’altro che morto. Le competenze richieste sono quelle tecniche: parliamo di operatori di macchine CNC, che i giovani imparano a utilizzare meglio e più velocemente. Non si pensi però che le imprese vogliano un operatore puro: si va sempre di più verso la richiesta non di tecnici che conoscono il settore, ma di professionisti che abbiano capacità trasversali che non si limitano all’utilizzo delle macchine CNC. Parlo di persone con una solida padronanza delle soft skill necessarie per inserirsi in maniera attiva e proattiva nel lavoro in team. Oggi come oggi non basta conoscere l’inglese, servono capacità a tutto tondo che caratterizzino le persone piuttosto che gli operai.

Che tipo di apporto può dare la scuola?

Anche se nella nostra regione ci sono aziende molto piccole rispetto a quelle della Brianza e le esigenze sono inferiori, questo non significa che dobbiamo trascurare la preparazione dei nostri ragazzi. Anzi. Il nostro lavoro si basa sulla richiesta del territorio, fatto di piccole e piccolissime imprese che ci contattano per conoscere i ragazzi, un primo contatto che avviene con lo strumento dell’alternanza scuola lavoro e che permette agli allievi di inserirsi e distinguersi in azienda. Praticamente hanno il lavoro assicurato ben prima del diploma. Tuttavia, al fine di avere uno scambio più proficuo con il territorio, sarebbe importante avere uno scambio decisamente più forte con le aziende, che non dovrebbero limitarsi a chiedere manodopera, ma dovrebbero esternare maggiormente le esigenze che il mercato richiede. Un dialogo sempre più necessario affinché la scuola si avvicini di più al mercato e al mondo dell’imprenditoria.

 

 

Come sarà il falegname del futuro?

La domanda non è corretta. Come ho precedentemente affermato, il mondo del legno arredo richiede un tecnico; il falegname è solo una parte del processo, assimilabile, come ruolo, a quello dell’artigiano. Nei prossimi cinque o dieci anni la figura che sarà maggiormente spendibile è quella del tecnico a tutto tondo. È vero che il tessuto economico locale attualmente richiede operatori CNC e programmatori; è vero anche che nel prossimo futuro servirà personale formato che sappia essere un intermediario tra l’architetto, il designer e il realizzatore. Insomma, una figura eclettica con una solida e profonda conoscenza informatica e di programmazione CAD/CAM. Noi come scuola cerchiamo di introdurre queste tecnologie perché è giusto che i ragazzi le conoscano e siano preparati al lavoro che hanno scelto.

L’immagine che viene restituita è quella di un settore in ripresa affamato di tecnici, ma che trova i suoi limiti nelle dimensioni delle imprese, decisamente più ridotte rispetto a quelle della Brianza. È questo che impedisce alle aziende familiari, che spesso hanno un numero di dipendenti che non va oltre a quello degli stretti componenti della famiglia dell’imprenditore, di competere a livello internazionale – e spesso neppure nazionale. Il limite dimensionale diventa palese percorrendo la A4 verso il tramonto: balza chiaramente agli occhi che più ci si avvicina alla capitale economica italiana più le dimensioni crescono, e con esse anche la possibilità di esprimere competenze diverse in contesti più strutturati.

Di questo mi rendo conto mentre parlo con il direttore dell’Università del LegnoArredo, il signor Angelo Candiani, che ci tiene a dirmi subito: “La definizione di università che ha trovato su qualche articolo è una delle liceità che si prendono i titolisti dei giornali. In realtà si tratta di formazione terziaria non universitaria erogata attraverso il Sistema delle Fondazioni ITS per rispondere alle necessità delle imprese che stanno sotto il cappello di FederLegno. Parliamo di circa 3000 imprese”, precisa Candiani, “che in numeri fanno un’importante fetta del PIL nazionale”.

 

Per quale motivo avete pensato a questo percorso?

Abbiamo iniziato questo percorso pensando alle esigenze delle imprese di tutti i settori del sistema del legno arredo: per questo abbiamo perseguito il progetto di un polo formativo che potesse tenere dentro una filiera tutte le professioni che il settore richiede. Un percorso di formazione professionale che ha valore di specializzazione post diploma, con la finalità di avvicinare i giovani al mondo del legno e dell’arredo. Il motivo che soggiace alla nascita di questo percorso è duplice. Il primo è che per fare questo mestiere oggi è necessario possedere competenze più evolute. Il secondo aspetto vuole dare risposta a un problema di mercato: pensi che l’85% del Made in Italy in termini qualitativi trova scarsa concorrenza fuori dall’Italia. I Paesi con il maggior trend di sviluppo, come ad esempio la Russia, la Cina, l’Iran, il Qatar, i Paesi Arabi in genere, il Brasile, gli USA, assorbono singolarmente una quota di mercato che da sola vale quanto il fatturato italiano. Significa che ci sono mercati che offrono grandi occasioni di sviluppo del nostro prodotto. Non a caso il nostro percorso formativo inizia con un corso di marketing internazionale che tiene conto dei processi di mercato e della preferenza di un certo stile di arredo piuttosto che di un altro.

Come avete pensato di colmare il divario tra teoria e pratica?

Le caratteristiche che le persone devono avere per entrare nell’azienda del legno oggi devono spaziare dal 4.0 al marketing, alla digitalizzazione, alla conoscenza dei territori. Non stiamo più parlando di falegnami che usano una macchina a controllo numerico, ma di tecnici con un’ampia cassetta degli attrezzi che possano operare a livello internazionale. Significa che oltre alla componente teorica abbiamo quella pratica, che per noi è molto importante. Su due anni di formazione i ragazzi svolgono più di 1800 ore di formazione, il 30% delle quali come tirocinio in azienda. Parliamo di 600 ore circa di esperienza pratica diretta, necessaria affinché si impregnino della cultura d’impresa. Un’azione che non termina alla fine del tirocinio, ma continua in aula a opera dei nostri docenti, che sono o sono stati uomini d’azienda. Non a caso l’85% dei nostri studenti trova lavoro entro il primo anno in mansioni coerenti con quello che hanno studiato.

 

Non più pialle e trucioli, niente sgorbie e matite tenute in equilibrio dietro l’orecchio, ma laser e controllo numerico, marketing, studi di mercato, e soprattutto tanta formazione di qualità per gli operatori del settore. Tra macchine di ultima generazione e la conoscenza del mercato globale si gioca la scommessa che unisce le grandi aziende della Brianza a quelle familiari del Friuli, sparse tra il distretto della sedia di Manzano e Brugnera, patria dei mobilifici made in FVG. Dimensioni diverse, ma stessa voglia di riemergere per mostrare al mondo che cosa sappiamo fare.

 

Foto di copertina: https://www.bordiga.it/

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