Si è rotta l’Italia, chiamate un medico

“La realtà vera è che l’Italia non produce più di quanto produceva quindici anni fa; la disoccupazione, e non solo quella dei cosiddetti giovani, è alta; il lavoro malpagato, precario; la povertà si estende, l’evasione fiscale impazza, il debito pubblico spaventa i mercati; la questione meridionale si è incrudita; la produttività delle imprese ristagna; la […]

“La realtà vera è che l’Italia non produce più di quanto produceva quindici anni fa; la disoccupazione, e non solo quella dei cosiddetti giovani, è alta; il lavoro malpagato, precario; la povertà si estende, l’evasione fiscale impazza, il debito pubblico spaventa i mercati; la questione meridionale si è incrudita; la produttività delle imprese ristagna; la cultura, le istituzioni, la politica, la società civile stentano a scuotersi e a fare fronte”. L’autore di questo verdetto assai severo è Pierluigi Ciocca, intellettuale, economista, ex Vicedirettore di Bankitalia. Sono parole che si ritrovano all’inizio del suo ultimo libro Tornare alla crescita. Perché l’economia italiana è in crisi e cosa fare per rifondarla.

Vi chiederete perché pubblicare un commento a un libro su Controluce, la nostra rubrica che si dovrebbe occupare di attualità della settimana. La scelta è dettata ancora una volta dai fatti: due giorni fa Confindustria ha tenuto una conferenza stampa di fuoco nella quale ha deciso di prendere a cannonate la politica economica del governo Lega-M5S, colpevole secondo i confindustriali di non far nulla per azzerare l’enorme debito pubblico italiano e responsabile di una politica che non farà crescere l’Italia ma la condannerà a quota zero. Nello stesso giorno in cui Confindustria dichiarava guerra al governo giallo-verde, nella lussuosa sede milanese della Banca d’Italia un gruppo di economisti e banchieri, tra cui il presidente di UniCredit Fabrizio Saccomanni, in parziale sintonia con i confindustriali, discuteva della durissima analisi e delle proposte che Pierluigi Ciocca ha proposto nel suo libro per curare il malato Italia. Malato che secondo gli esperti è ben più grave di quello che sembra. Tanto che per la sua malattia non si parla più di semplice crisi ma di declino o decadenza. Siamo andati a dare un occhiata in Bankitalia.

 

Da Tangentopoli ad oggi: la lunga malattia italiana

Ciocca, nel suo studio, se la prende anche con i media: “Ancora oggi in molti, e non solo governanti ansiosi di consenso elettorale di corto respiro punito alle successive elezioni, dipingono la condizione economica come meno preoccupante di quanto essa non sia. Si parla addirittura di ripresa. E sempre meno i giornali e i media ospitano i pensieri di persone competenti, disinteressate, preoccupate e quindi bollate come eccessivamente pessimiste”.

Ma torniamo al declino da lui descritto. La prima domanda che si fa è sulle origini della crisi che sembra non finire mai. Lo spartiacque è il 1992 quando l’Italia fu costretta alla svalutazione della lira. “Anno terribile, oltre l’economia, per gli scandali e il suicidio dei partiti, (il riferimento è a Tangentopoli, ndr), gli attentati mafiosi”. L’altro annus horribilis è il 2008, l’inizio della crisi ancora in corso. “La crisi internazionale del 2008-2009 che nel 2009 vide il commercio mondiale contrarsi in volume dell’11% colpì duramente l’economia italiana indebolita. Caddero le esportazioni del 20% trascinando investimenti e consumi, occupazione e reddito”.

Ciocca prova anche a dare un giudizio politico sull’oggi. “Le risposte della politica al problema della crescita sono state insufficienti, anche dopo la seconda delle recessioni. Per questo, oltre che per la questione degli immigrati, i partiti progressisti al governo per un quinquennio sino alla primavera del 2018 sono stati duramente battuti da movimenti di reazione demagogica alle elezioni del 4 marzo. È la più grave sconfitta della sinistra dopo il 1922 e il 1948. Ma il principale errore compiuto dai governi Letta, Renzi e Gentiloni è consistito nel volgere le scarse risorse della Pubblica amministrazione alle famiglie e ai sussidi e sgravi fiscali alle imprese anziché a investimenti in valide infrastrutture”.

L’economista, oltre a bacchettare le esperienze di centro sinistra, picchia duro anche sul governo nato dalle elezioni politiche dello scorso anno, frutto dell’anomala alleanza tra Lega e M5S. “Il cosiddetto contratto stipulato dalla coalizione delle forze politiche che da giugno 2018 sono al governo del paese, con ampia maggioranza parlamentare, collide con le indicazioni caldeggiate in queste pagine, non solo sul fronte del riequilibrio delle finanze. Con questa primaria finalità il ‘contratto’ è in palese, stridente contraddizione: tassazione proporzionale, reddito minimo, pensioni più favorevoli gonfierebbero in diversi punti il Pil di disavanzo e il debito della Pubblica amministrazione. Un disastro!”.

 

Il libro che disturba i liberisti

Pierluigi Ciocca nel suo libro propone un diverso paradigma teorico della politica economica che probabilmente infastidirà i liberisti. Il nome di John Maynard Keynes, l’economista che ispirò il welfare state e che con le sue teorie contribuì a risolvere la grande crisi del 1229 negli Stati Uniti, viene fatto nel nono capitolo del libro ed è evidente che Pierluigi Ciocca proponga di ripercorrere quella strada dell’investimento pubblico come unico volano per un moltiplicatore che porterebbe un beneficio al reddito e all’occupazione. “Data la psicologia del pubblico – scrive Ciocca, citando Keynes – il livello della produzione e dell’occupazione nel loro complesso dipende dall’ammontare dell’investimento che ha maggiore propensione a fluttuazioni estese e improvvise. La socializzazione di un’ampia parte dell’investimento è l’unico mezzo per avvicinare la piena occupazione”.

Professor Ciocca, chi sono i responsabili di questo disastro? Alla fine della presentazione milanese del suo libro l’economista risponde a bruciapelo: “I responsabili? La politica, come ho già argomentato, la Germania che in questi anni ha fatto una politica sadomasochista e le imprese che, negli anni passati, si erano cullate nella facile svalutazione competitiva della lira”.

 

I 7 punti per guarire

Nelle ultime pagine, l’economista propone 7 punti per tornare alla crescita: il riequilibrio del bilancio, gli investimenti pubblici, un nuovo diritto dell’economia, una crescita del profitto da produttività, una perequazione distributiva, una strategia per il sud e una diversa politica europea.

”Mi rendo conto che alcuni di quei punti richiedono tempi lunghi ma due cose si potrebbero fare subito: abbassare drasticamente il debito pubblico e mettere in atto investimenti pubblici. Se si risparmiassero due punti di Pil in spesa corrente e si investissero in opere pubbliche gli effetti si vedrebbero. Se tali condizioni si realizzassero, l’economia italiana potrebbe ritrovare un sentiero di crescita di lungo periodo dell’ordine del 2,5%”.

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