Siamo schiavi o schiavisti? Chi è chi nel nuovo sfruttamento

Non solo fattorini: tra gli schiavi moderni rientrano anche professionisti della sanità, addetti alle pulizie e alla ristorazione. E la lista continua. Vediamo perché in “Noi schiavisti”, di Valentina Furlanetto, che recensiamo.

“Non sarebbe poi tanto male se ci fosse qualcosa per distinguere i buoni dai cattivi”.

Louis-Ferdinand Céline, Viaggio al termine della notte, 1932

Uscito a maggio del 2021, nel mese tradizionalmente dedicato al lavoro, Noi schiavisti. Come siamo diventati complici dello sfruttamento di massa di Valentina Furlanetto (Editori Laterza) è un libro che non fa sconti a nessuno. Proprio come scrisse Céline, tracciare una linea netta tra “buoni” e “cattivi”, nel mondo del lavoro, non è poi così semplice. Il tema intorno al quale è costruita l’opera, frutto di interviste, ricerche ed esami di statistiche, è quello dello sfruttamento.

Chi sono gli sfruttatori e chi gli sfruttati? Esistono compartimenti stagni? Pagina dopo pagina il lavoro della giornalista Furlanetto, che da anni si occupa di flussi migratori, temi sociali ed esteri, mira a dimostrare come, in modo più o meno consapevole, siamo entrati tutti in questo meccanismo e ormai ne facciamo parte. Ognuno di noi ha le sue responsabilità. In questo gioco di ruolo entriamo sia dalla porta sia dalla finestra, in qualità di datori di lavoro e imprenditori, ma anche quando compriamo la carne a prezzi stracciati, o facciamo ordini di libri, oggetti di varia natura o cibo, aspettando una corsa contro il tempo da parte dei fattorini.

È un circuito che si autoalimenta, un meccanismo ormai consolidato, che è difficile interrompere. È vero, non si possono mettere sullo stesso piano sfruttatori, schiavisti, persone che consapevolmente violano i diritti umani di lavoratori svantaggiati e “ricattabili” e semplici cittadini che, in cerca di un risparmio di soldi e tempo, si affidano a questi sistemi ormai consolidati, che l’autrice definisce una trappola.

Gli “eroi” del lavoro senza diritti, prima e dopo la pandemia

Suddiviso in nove capitoli, che trattano nove tematiche diverse, il volume mette in evidenza le contraddizioni anche dal punto normativo e politico, le mancanze delle organizzazioni sindacali, la connivenza di certi lavoratori che a loro volta si abituano a sfruttare altri lavoratori, che si trovano in condizioni di maggiore vulnerabilità.

La giornalista Furlanetto scoperchia anche il vaso di Pandora dei licenziamenti che avvengono a seguito di denunce su negligenze e mancato rispetto di protocolli di sicurezza. Sarebbe impensabile, eppure questo è avvenuto anche durante la pandemia, quando la parola sicurezza doveva diventare un imperativo per il bene di tutti, mentre spesso faceva a gomitate con gli interessi economici dei datori di lavoro e la loro corsa al risparmio di tempo e denaro.

Molte delle persone che sono state definite “eroi” durante i momenti in cui la crisi pandemica si faceva più dura sono stati presto dimenticati. Non solo medici e infermieri, ma anche OSS, fattorini, personale addetto alle pulizie e alla ristorazione, dentro e fuori dagli ospedali. Tutte categorie lavorative ignorate, quasi fossero fantasmi, come emerge dalle pagine di questo libro-inchiesta, che riporta testimonianze reali. Figure chiave per il funzionamento di quella “catena di montaggio” che è il mondo del lavoro, ma che spesso, complici anche cooperative che operano in modo non corretto, non hanno tutele né voce.

Un altro aspetto importante che emerge dalle interviste dell’autrice è quello della mancata consapevolezza dei diritti. Troppo spesso le lavoratrici e i lavoratori, soprattutto se stranieri, non sono a conoscenza dei loro diritti, e capita che chi dovrebbe aiutarli cerca purtroppo di tenerli col cappio al collo. Molti sono ridotti alla condizione di moderni schiavi, senza esserne pienamente consapevoli, tanto da arrivare ad assumere regolarmente antidolorifici e capsule di oppio per resistere a ritmi stressanti e disumani.

“Il punto non è togliergli anche quel lavoro – a lui e a tutti gli altri, italiani e stranieri, rider o OSS, addetti alle pulizie o badanti, ma che loro abbiano diritti e una giusta paga”.

Perché leggere Noi schiavisti?

Noi schiavisti è un libro che, senza falsi moralismi, richiama ognuno di noi alle sue responsabilità, a una presa di coscienza collettiva che permetta di impegnarsi per non essere più “complici dello sfruttamento di massa”.

“Nonostante sia ormai chiaro dove bisognerebbe scardinare il meccanismo, nessuno ha la voglia o la forza politica per farlo”. E invece l’impegno va assunto, non bisogna più rimandare. È necessario trovare il coraggio di farsi domande quando si compra qualcosa, quando si ordina online, quando ci si confronta con i professionisti della cura che spesso si occupano dei nostri affetti, costretti dalle circostanze a trascurare i loro. È il caso dei cosiddetti genitori di “orfani bianchi”, soprattutto OSS e badanti che lasciano i figli nei Paesi d’origine e che in Italia si occupano degli anziani, che rappresentano ormai la maggior parte della popolazione. Siamo un Paese che invecchia, senza aver pensato a come farlo. Un Paese che corre sempre, ma che forse ogni tanto dovrebbe fermarsi per chiedersi dove va con tanta fretta.

“La scena che apre questo capitolo illumina anche un paradosso, che ha poco valore nell’inchiesta, ma mi è rimasto conficcato in testa. Esiste una fascia della popolazione, per lo più straniera, che ha pochi diritti e pochi soldi, che accetta lavori mal pagati e faticosi perché non ha altra scelta, che pedala e consuma calorie e non sa se riuscirà a mangiare a sufficienza. Esiste poi una fascia della popolazione, italiana e benestante, che vuole fare sport e perdere calorie, ma non esce di casa per prendere la cena e la ordina a domicilio. Se ci pensate è assurdo. Non so puntando il dito contro di voi, la donna della cyclette sono io”.

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