È ormai confermato da più parti quanto le competenze trasversali ( note anche come soft skills) siano determinanti nell’efficacia di un top/middle manager. I “guru” della Leadership Relazionale come Covey, Blanchard, Goleman e Freedman sono concordi nell’affermare che le cosiddette soft skills, che chiameremo competenze relazionali, influenzano per almeno il 55% l’efficacia di un manager, […]
Smart Working: per crederci non serve essere grandi
Il benessere aziendale non è una spa: questo, per fortuna, è un assioma senza bisogno di dimostrazione. La flessibilità oraria facilita la produttività: qui, invece, gli atteggiamenti di molti imprenditori già vacillano di più perché le variabili sono molte e perché la cultura italiana del lavoro non solo si è nutrita di troppa teoria ma […]
Il benessere aziendale non è una spa: questo, per fortuna, è un assioma senza bisogno di dimostrazione.
La flessibilità oraria facilita la produttività: qui, invece, gli atteggiamenti di molti imprenditori già vacillano di più perché le variabili sono molte e perché la cultura italiana del lavoro non solo si è nutrita di troppa teoria ma si è abituata a non lasciare mai un ramo senza essersi prima attaccata ad un altro.
Molte aziende – per lo più nei settori alimentare e tlc – stanno ripartendo dallo smart working, una modalità organizzativa del lavoro che punta sulla elasticità degli orari e delle sedi per incrementare la produttività e ridurre i costi fissi. Il 20 ottobre verrà presentato a Milano l’ultimo Report di Ricerca 2015 a cura dell’Osservatorio Smart Working ma i dati 2014 avevano già quantificato in circa 27 miliardi l’incremento di produttività e in 10 miliardi il risparmio interno. Su questo fronte, per provare a rivoluzionare modelli relazionali e strumenti di lavoro, la grande responsabilità ricade sui due settori chiave dei sistemi informatici e delle risorse umane.
È proprio con Alessandra Stasi, VP Organization and People Development Barilla – marchio italiano capofila per lo smart working – che cerchiamo di capire quanto il modello smart sia davvero fattibile e quando occorra invece tirare il freno a mano.
L’Italia dimostra spesso di essere un Paese con la memoria corta. Anche su questo piano, perché non dare la giusta dignità al telelavoro – di fatto mai adeguatamente regolamentato e supportato – piuttosto che introdurre modelli nuovi o modelli identici ma con nomi diversi?
La differenza principale sta tutta nella mancanza di un obbligo di postazione fissa e nella maggiore flessibilità dei tempi, modi e luoghi di lavoro. Di fatto, tutto vive nell’ambito della volontarietà del lavoratore in accordo con il proprio capo.
Costi e luoghi comuni.
Lo smart working non costa quello che mediamente si pensa, è molto più accessibile.
Si tratta di una grande disciplina che alla base ci permette di pretendere una reperibilità costante del dipendente. Lo scetticismo iniziale c’è stato anche in Barilla ma col tempo abbiamo capito che il segreto era la maggiore responsabilità e autonomia nelle decisioni da prendere. Con lo smart working ci si vede molto meno ed è per questo che la disciplina in capo a chi coordina il lavoro è fondamentale. Bisogna tenere vivi i valori a distanza. Ci vogliono smart manager capaci di coordinare e collaborare in un ambiente virtuale.
Solitamente si pensa che con lo smart working sia il dipendente a guadagnarci di più perché il fattore tempo è oggi essenziale nel valutare la qualità della nostra vita. Che vantaggi ci sono, invece, per le aziende?
Il miglior bilanciamento tra vita privata e lavorativa è emerso come il principale beneficio, con un risparmio medio di 68 minuti al giorno per persona in termini di spostamenti casa-ufficio.
Le aziende ci guadagnano anche in termini relazionali perché un genitore che ha più tempo da trascorrere in famiglia sviluppa e affina sicuramente una leadership che poi riversa nel suo lavoro. La vita privata permette di acquisire competenze fondamentali per le aziende e a Barilla interessa il risultato senza imporre il percorso con cui raggiungerlo. La formazione deve trovare strade sempre più elastiche e lo scambio tra vita e lavoro può solo beneficiare di questo.
Per spingere un collaboratore a produrre meglio e di più, conta certamente anche la motivazione. Un modello di lavoro smart utilizza leve differenti dal comune?
Con questo modello sono stati rilevati maggiore engagement e maggior senso di appartenenza. Se si riconoscono e si rispettano le esigenze di ogni soggetto, valorizzandone le potenzialità, ognuno sarà motivato a dare il meglio di se’. I nostri stessi capi hanno valutato positivamente l’impatto dello smart working sui collaboratori in termini di aumento di produttività e qualità del lavoro addirittura per un 96% dei casi.
Spostare l’attenzione dalle prestazioni alle persone sembra essere la chiave di volta.
Indubbiamente. E ne trae forza anche il percorso di diversità e di inclusione promosso dall’azienda. L’essenza dello smart working e della diversità è di fondo la stessa: vedere i nostri collaboratori come persone, riconoscerne il valore indipendentemente dalle loro differenze, spostare il focus sulla prestazione. Solo così si possono porre le basi di un ambiente lavorativo realmente inclusivo in cui le differenze tra gli individui non sono origine di discriminazione ma fonte di ricchezza, oggetto di ascolto e di cura. Senza tralasciare il fatto che smart working vuol dire anche sostegno a tutte quelle attività propedeutiche all’innovazione.
Il peso della tecnologia sullo smart working.
Per noi la tecnologia avrà sempre un potere fortemente abilitante per la collaborazione avanzata a distanza. La tecnologia è determinante per abilitare nuove forme di lavoro. Senza Lync, senza le videoconference e senza gli smartphone non saremmo qui a parlarne.
E’ fondamentale però affiancarla a comportamenti che sostituiscano la cultura della presenza fisica con la cultura della performance.
Chi monitora il modello smart working dimostra che la produttività e i tassi di assenza al lavoro possono migliorare notevolmente. Dati ed esperienze di Barilla.
A volte visualizzare un grafico accelera di gran lunga la comprensione: questi sono i dati emersi da una ricerca interna fatta su 600 nostri responsabili e collaboratori.
Essere una multinazionale facilita l’adozione di modelli così rivoluzionari?
Lo smart working non è esclusivo delle grandi aziende.
Il concetto smart è molto semplice ma allo stesso tempo estremamente potente. Il lavoro è ciò che si fa, non è una destinazione. Concretamente significa che le persone hanno una maggiore autonomia, connessa a una maggiore responsabilità, su quando, dove e come lavorare, determinando e gestendo le modalità di lavoro in base alle esigenze personali e alle necessità di business. Nello smart working è intrinseco il superamento del concetto taylorista per cui produco valore solo in un determinato posto e momento come in una catena di montaggio. Il lavoro ad alto livello di conoscenza insieme alle nuove tecnologie stanno rivoluzionando il concetto spazio-temporale del nostro lavoro.
In ogni caso anche le piccole aziende possono introdurlo, bilanciandolo internamente con le proprie necessità produttive e relazionali. Non bisogna essere grandi per fare questo salto.
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