Uno smartphone: potremmo permettercelo se conoscessimo il vero costo?

Dietro ogni cellulare c’è un mondo fatto di figure professionali diverse, spesso pagate pochi dollari al giorno. Dall’estrazione dei materiali alla logistica, ripercorriamo le tappe di un viaggio che ci connette con il mondo, ma che spesso nasconde storie di sfruttamento

La realizzazione di uno smartphone

Se state per acquistarne uno o l’avete appena fatto, vi sarete chiesti se scegliere un modello con sistema operativo iOS (iPhone) o Android, se puntare su una fotocamera con minimo 13 megapixel o su una batteria che duri un giorno intero. O magari avrete considerato quanto sia capiente la memoria per conservare tutte le foto dell’estate e dell’ultimo viaggio.

In fondo, se lo smartphone è ormai un’estensione del nostro corpo, tanto vale che sia più accessoriato possibile. Se poi riusciamo a spuntarla a un buon prezzo, tanto meglio.

Ma pensiamo mai a cosa c’è dietro un cellulare? A quale forza lavoro oggi serva per realizzarlo, e a quanto costi un’ora di lavoro delle figure coinvolte? A quanti e quali materiali vengano estratti per costruirlo? E poi: il prezzo finale corrisponde davvero alla realtà, oppure non potremmo permettercelo? Sono domande importanti, quando si parla di quell’aggeggio così piccolo da nascondersi in tasca, ma allo stesso tempo così grande da permetterci, con un paio di ditate, di connetterci con il mondo interno.

Quanto costa un’ora di lavoro per creare uno smartphone? Il costo orario totale ponderato per la produzione di un singolo dispositivo, ottenuto addizionando i compensi orari lordi di tutti i professionisti coinvolti (ingegneria, produzione componenti, assemblaggio, logistica ed estrazione), è di circa 86 euro lordi all’ora.

Un dispositivo composto da numerose parti: batteria agli ioni di litio, display, scheda madre e chip, memoria flash e RAM, connettori e saldature, moduli di connettività, fotocamera, scocca e telaio, microfoni e altoparlanti, motori di vibrazione, sensori vari e non solo. Componenti che richiedono svariati materiali, come rame, cobalto, silicio, oro, stagno, vetro, acciaio, alluminio e tanti altri. Una catena di approvvigionamento assai complessa e articolata, tanto che ricostruirla in ogni dettaglio risulta impossibile.

Per provare a comprendere il lavoro che si cela dietro ogni dispositivo ci soffermiamo quindi su tre aree principali: l’estrazione delle materie prime, la produzione dei componenti e l’assemblaggio finale. È attraverso queste fasi che si intrecciano ore di lavoro e figure professionali spesso invisibili.

L’estrazione delle materie prime: una giornata di lavoro è pagata 8 dollari

Per provare a capire quanto costi uno smartphone non possiamo che partire dalle basi, ossia dall’estrazione dei materiali che servono per le varie componenti – come le batterie in litio, realizzate in cobalto, nickel e grafite.

La maggioranza del cobalto si trova nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) che, secondo il China Cobalt Market Report del 2024, detiene il 54,5% delle riserve globali, seguito dall’Australia con il 15,45%.

Secondo Siddharth Kara, autore del libro Cobalt Red – How the Blood of the Congo Powers Our Lives, pubblicato nel 2023 e finalista al Premio Pulitzer l’anno successivo, i giacimenti si estendono lungo una mezzaluna di 400 chilometri da Kolwezi, per l’appunto in Congo, allo Zambia settentrionale. Nonostante il viaggio dello smartphone prenda il via proprio dal centro dell’Africa, questo non rende certo il Paese un posto migliore o più ricco. Tutt’altro: la filiera non è affatto lineare, népulita”.

Buona parte del cobalto viene infatti estratto da minatori non contrattualizzati che lavorano in maniera artigianale, utilizzando picconi, pale e tondini di ferro per scavare. Spesso, come osserva Kara, si tratta di 10.000 persone stipate all’interno di fosse molto strette. Secondo il report Forced Labor in Cobalt Mining in the Democratic Republic of the Congo, pubblicato dal Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti nel 2023, ci sarebbero tra i 67.000 e gli 80.000 lavoratori intrappolati in condizioni riconducibili al lavoro forzato, pari a circa il 78% dei minatori attivi nell’estrazione del cobalto. Tra loro ci sono uomini, donne e molto spesso bambini: l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), nelle sole province di Haut-Katanga e Lualaba, ne ha contati più di 6.200.

Non va meglio neanche per quanto riguarda gli orari di lavoro: la media settimanale è di 51 ore con di 59 ore nei siti industriali e 49 ore nei siti artigianali. La paga resta molto bassa: circa 8 dollari al giorno. Anche le condizioni di lavoro sono molto pericolose: non solo per gli spazi ristretti ma perché la maggioranza dei lavoratori è esposta a polveri e fumi senza protezioni adeguate, e utilizza strumenti pericolosi senza dispositivi di sicurezza, oltre a trasportare carichi pesanti. La situazione, secondo il report, è peggiore per i minatori costretti al lavoro forzato, che hanno riportato ferite o malattie in misura doppia rispetto a chi non era costretto (45% contro 21%).

A tutto questo si aggiungono pratiche diffuse di corruzione a livello locale e governativo, che rendono quasi impossibile garantire controlli efficaci, senza dimenticare poi la cosiddetta guerra per il controllo delle risorse minerarie che vede in contrapposizione Cina e Stati Uniti.

Dragoni e microchip: la Cina domina (e sfrutta) la produzione di componenti

Il cobalto, come tutte le altre materie prime, non viene utilizzato allo stato grezzo, ma è sottoposto a processi di raffinazione per produrre componenti fondamentali, come ad esempio le celle delle batterie.

Ci siamo soffermati sul cobalto, ma i materiali impiegati nella realizzazione di uno smartphone sono moltissimi. Basti pensare che, come riportato dal New York Times, per produrre un iPhone servono componenti provenienti da oltre 200 fornitori.

La raffinazione dei materiali e la produzione di componenti avviene perlopiù in Cina. In questa fase della produzione, i salari oscillano dai 6 ai 7 dollari l’ora e le violazioni dei diritti dei lavoratori non sono rare. Nel 2018, China Labour Watch (CLW), organizzazione indipendente no-profit, ha denunciato che Catcher Technology (Suqian) Co. Ltd., produttore di componenti per Apple con sede a Taiwan, per aver commesso diverse violazioni dei diritti sul lavoro relative alla sicurezza, ma anche all’inquinamento ambientale e ai turni massacranti di lavoro.

Una volta reperiti i componenti dai produttori, questi vengono inviati in fabbrica per l’assemblaggio. In Cina, la più grande azienda che assembla componenti per le imprese elettroniche è Foxconn: l’iPhone, per esempio, è prodotto nei suoi stabilimenti di Zhengzhou. Sempre secondo il già citato New York Times, servono 94 linee di produzione e circa 400 passaggi per assemblare un telefono marchiato Apple.

Foxconn è stata più volte collegata ad abusi dei diritti dei lavoratori a partire dal 2010, quando si sono verificati suicidi di numerosi dipendenti, spinti dalle condizioni lavorative in cui dovevano assemblare i componenti. Un rapporto di Solidar Suisse insieme a China Labor Watch risalente al 2023 ha rivelato che, nello stabilimento di Foxconn a Zhengzhou, oltre il 50% dei lavoratori è impiegato come personale temporaneo, ben oltre il limite legale del 10%. Si tratta di dipendenti che fanno pause brevissime a fronte di orari di lavoro massacranti, senza un giorno di riposo settimane; inoltre svolgono straordinari senza approvazione formale, rischiando ritorsioni in caso di rifiuto. La paga? Stando a un articolo di South China Morning Post, risalente al 2023, si attesta su poco meno di 3 dollari l’ora.

Non va meglio neanche per quel che riguarda la parità di genere: nel gennaio 2025, la Commissione Nazionale per i Diritti Umani dell’India (NHRC) ha criticato le autorità federali e statali per non aver adeguatamente indagato su pratiche discriminatorie nel reclutamento di Foxconn. Un’inchiesta di Reuters aveva infatti rivelato che l’azienda escludeva le donne sposate dai lavori di assemblaggio presso il suo impianto nel Tamil Nadu, citando motivi legati alle responsabilità famigliari e all’assenteismo. Nonostante le visite e le indagini condotte dalle autorità, non sono emerse conclusioni che confermano tali affermazioni. La NHRC ha ordinato una nuova indagine approfondita entro quattro settimane, ma al momento, controllando sia sul sito di Reuters (che riportava la prima notizia) sia altrove, non siamo riusciti ad avere degli aggiornamenti.

Il trasporto degli smartphone: 150.000 su un singolo Boeing

Il viaggio dello smartphone non finisce certo con l’assemblaggio. Una volta pronto, il telefono attraversa porti e magazzini: come riferisce il New York Times, grazie alle dimensioni ridotte, gli smartphone possono essere spediti in aereo in grandi quantità e a costi contenuti. Basti pensare che un singolo Boeing 747 a fusoliera larga può trasportarne fino a 150.000.

Ma nella produzione non vanno dimenticate figure professionali che guadagnano molto di più rispetto a chi assembla i dispositivi. Si tratta di un ampio team multidisciplinare composto da ingegneri hardware, software, elettronici, meccanici, specialisti QA, designer industriali ed esperti di sicurezza e rete. Solo per fare un esempio, secondo Indeed, lo stipendio medio di uno di questi ingegneri supera i 52.000 euro all’anno.

Arrivati a questo punto, è possibile sommare tutte le ore lavorative a noi note per ricavare il valore del lavoro retribuito di cui è possibile tenere traccia per rispondere a una semplice domanda: quanto costa un’ora di lavoro per creare uno smartphone? Il costo orario totale ponderato per la produzione di un singolo dispositivo, ottenuto addizionando i compensi orari lordi di tutti i professionisti coinvolti (ingegneria, produzione componenti, assemblaggio, logistica ed estrazione), è di circa 86 euro lordi all’ora. Un costo simbolico, che rappresenta un valore impossibilmente isolato nelle cifre incalcolabili delle economie di scala con una filiera internazionale, ma che serve a rendere l’idea del costo relativamente esiguo che ha la realizzazione di uno strumento così complesso e diffuso, che richiede di aggregare risorse provenienti da tutti gli angoli del globo – e di esservi trasportato al termine della catena produttiva.

Ogni smartphone, come abbiamo visto, racchiude un mondo invisibile fatto di turni massacranti, lotte per l’estrazione dei materiali, sfruttamento, persino dei bambini. Forse dovremmo pensarci, la prossima volta che scorreremo le app o scatteremo una foto: quello che per noi è “solo” un oggetto che ci mette in connessione con il mondo, in realtà nasconde una realtà di cui forse non abbiamo neanche il minimo sospetto.

 

 

 

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In copertina, uno screenshot dal canale YouTube di Jakidale

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