Un “filo” di speranza per Vittorio Veneto?

L’industria “bachi-sericola” (coltivazione del gelso, allevamento del baco e filatura della seta) si sviluppò su tutta l’area del Vittoriese fin dalla prima metà dell’800. Il fenomeno fu favorito da due circostanze: le caratteristiche geofisiche e climatiche particolarmente adatte alla coltura del gelso (clima mite senza forti escursioni termiche e senza nebbie) e la disponibilità abbondante […]

L’industria bachi-sericola” (coltivazione del gelso, allevamento del baco e filatura della seta) si sviluppò su tutta l’area del Vittoriese fin dalla prima metà dell’800. Il fenomeno fu favorito da due circostanze: le caratteristiche geofisiche e climatiche particolarmente adatte alla coltura del gelso (clima mite senza forti escursioni termiche e senza nebbie) e la disponibilità abbondante di manodopera nelle campagne. Le famiglie contadine erano composte all’epoca di 15-20 e talora anche 30 membri. Le donne, i vecchi e bambini venivano impiegati nell’allevamento del baco, che poteva essere praticato contemporaneamente agli altri lavori del campo.

Si sviluppò così una produzione industriale strettamente connessa all’agricoltura. I contadini – in gran parte mezzadri o piccoli proprietari – piantavano e coltivavano i gelsi, allevavano i bachi nelle loro case, raccoglievano i bozzoli e li vendevano alle filande che ne ricavavano il filo di seta.

Nello stesso tempo si sviluppavano, come attività collaterale e funzionale, gli stabilimenti bacologici e gli osservatori bacologici di ricerca applicata, che preparavano e selezionavano semi di bachi sempre più forti per consentire una produzione costante di seta pregiata in grado di consolidarsi e affermarsi nel mercato.

L’industria bachi-sericola assumeva così un peso molto rilevante nelle condizioni sociali dell’area vittoriese (come in altre parti della Pedemontana trevigiana), in quanto consentiva alle famiglie contadine di ottenere dalla vendita dei bozzoli un’integrazione – molto modesta ma costante – del loro reddito (all’epoca ai limiti di sussistenza per gran parte della popolazione), e inoltre offriva un discreto numero di posti di lavoro, soprattutto femminili, nelle filande e negli stabilimenti bacologici, con una retribuzione molto magra ma abbastanza sicura e comunque indispensabile.

Nell’ultimo decennio dell’800 nel vittoriese si contavano quasi 700 allevatori di bachi. Di particolare rilevanza, in questo quadro, l’iniziativa di alcuni imprenditori che possono essere considerati veri e propri pionieri delle tecniche della bachicoltura, in particolare, nel settore seme-bachi. Tra questi spicca una figura di rilevanza nazionale: Giuseppe Pasqualis (1825-1895). Questi nel 1873 venne chiamato ad assumere l’ufficio di Direttore del Regio Osservatorio bacologico e svolse, oltre alla funzione scientifica nell’istituto, un ruolo di diffusore delle tecniche fra gli operatori del settore e anche fra la gente della compagna addetta alla bachicoltura. Questo scienziato-imprenditore merita di essere ricordato per una singolare iniziativa: l’invenzione di una fibra tessile artificiale chiamata Gelsolino (“lino” che viene dal gelso: dalla riduzione dei rami del gelso a materiale cellulosico si ricavava la “fibra” così denominata).

 

Dalla seta alla lana (e fibre artificiali)

Accanto all’industria bachi-sericola non tardava a nascere un’altra industria del settore tessile: l’industria laniera e, in parte, delle fibre artificiali, che si svilupperà da fine ’800 alla prima metà del ’900. Per la città di Vittorio Veneto questo sarà il settore produttivo più cospicuo per numero di occupati.

Questa la situazione occupazionale nel settore tessile nel 1966:

LANIFICIO          BOTTOLI                  n. 74 unità;

LANIFICIO          BUOGO                     n. 159

LANIFICIO          CERRUTI                  n. 514

LANIFICIO          CINI                            n. 125

LANIFICIO          TORRES                     n. 188

MANIFATTURA FILATI                        n. 158

S.A TORCITURA DI VITTORIO V.      n. 139

L’industria bachi-sericola entrò nella fase discendente all’inizio degli anni Quaranta e concluse rapidamente la sua parabola a metà degli anni Cinquanta.

A partire dalla metà degli anni Cinquanta, poi, tutto il resto del settore tessile cominciò a declinare. Fra il 1974 e il 1975 chiusero – o arrivarono vicini alla chiusura – i lanifici Torres, Buogo e Cini. Tutte le altre imprese ridussero drasticamente la produzione e, alle soglie della fine del secolo, cessarono l’attività.

Nota bene. Tutte a eccezione di una, la più “piccola”: il Lanificio Bottoli.

 

Il Lanificio Bottoli, l’eccezione “virtuosa”

La storia di questa impresa merita un’attenzione particolare. Soprattutto perché costituisce un’esperienza di iniziativa imprenditoriale che smentisce clamorosamente un luogo comune, accolto come un dogma sia dagli esperti sia dai non esperti di scienze economiche. Vale a dire: l’opinione secondo la quale quando un settore produttivo risulta in crisi sulla base di determinati “parametri” di mercato, non c’è nulla da fare: le imprese sono fatalmente condannate a chiudere. Ma veniamo al racconto.

La storia di questa impresa percorre tutte le tappe evolutive del settore tessile sopra descritte. Tuttavia non solo non entra in crisi, ma anzi resta sul mercato con notevole vivacità e con ottime prospettive di crescita. Torniamo indietro nel tempo, al 1861, anno in cui Antonio Rossi avviò un’impresa di tessitura di panni e coperte e diventò collaboratore dello scienziato-imprenditore Giuseppe Pasqualis (di cui dicevamo sopra) come ricercatore all’interno del Regio Stabilimento Bacologico. Antonio Rossi era il nonno della mamma di Roberto Bottoli, l’attuale titolare dell’impresa di cui stiamo parlando.

Nel 1946 Tito Bottoli, papà di Roberto, acquisì un’area a nord di Vittorio Veneto, lungo il fiume Meschio, e realizzò un nuovo lanificio a ciclo completo: produzione di tessuti per uomo, in lana e in fibre naturali, in fantasia (mai in tinta unita). Un nuovo indirizzo si verificò nel 1978, quando Roberto Bottoli rifondò l’azienda paterna alla quale diede la nuova denominazione di “Lane Bottoli”.

A partire dagli anni Novanta l’impresa si è dotata di macchinari modernissimi, specializzandosi nella produzione di tessuti fantasia. Nel 1999, Lane Bottoli entra nella rosa dei 59 lanifici più rinomati al mondo (il Club Ideabiella). Su una superficie di 5000 metri quadri, con una quarantina di collaboratori altamente specializzati, produce 2500 metri di tessuto al giorno in circa 25 tipologie invernali e altrettante estive, in 3600 varianti mai ripetute.

Oggi il lanificio fornisce i più qualificati marchi della confezione industriale italiana internazionale, e i più noti stilisti (Armani, Versace, Trussardi, Canali, Corneliani, Palzileri, Tagliatore, nonché esteri come Corte Ingles, Massimo Dutti, Windsor, de Fursac, Brooks Brothers e Ralph Lauren). Il 55% del prodotto raggiunge ogni parte del globo.

Peculiarità e vanto dell’impresa è l’iniziativa Lanaitaliana stile di vita: 100% lana merina tosata, filata e tessuta in Italia. Tessuti esclusivamente di provenienza italiana, ecologici, che utilizzano il vello esclusivamente nei suoi colori naturali. Nessun colorante e nessuna tintura. Tutte le fasi di lavorazione (filatura, tessitura, rifinizione) vengono svolte all’interno del lanificio a ciclo completo. Per incentivare questo progetto Roberto Bottoli promuove il bando nazionale “Il più fine lotto di lana italiana” che il 5 agosto, in una plurisecolare manifestazione pastorale sull’altopiano del Gran Sasso, premia gli allevatori delle migliori greggi italiane delle razze “Sopravissane” e “Gentile di Puglia”.

Recentemente l’impresa ha depositato il nuovo marchio Lanalight by Bottoli, sfruttando le caratteristiche di resilienza (potere gonfiante) della fibra di lana italiana senza tinture realizzando filati a basso peso specifico per tessuti particolarmente leggeri. Lane Bottoli non lavora però soltanto fibre di lana, ma anche quelle della canapa, del cotone, del lino, del MIKOFIL (una fibra caseinica derivata dal latte), dell’ALGALI (una fibra ricavata dalle alghe marine) dell’ABACA (fibre di agave). Non può mancare la menzione della lavorazione (in via sperimentale) di una fibra ricavata da una pasta composta in gran parte dai rami di gelso: la rinascita del Gelsolino.

 

Il declino del tessile a Vittorio Veneto

Intorno al 1974, dunque, la crisi appariva irreversibile.

Tra il 1975 e il 1976 l’amministrazione comunale dell’epoca, volendo dare un contributo alla soluzione della crisi che comportava una forte caduta dell’occupazione, promosse la Conferenza economica. Un’iniziativa che si articolò in due fasi: una consultazione capillare fra le varie categorie di operatori dell’industria dell’artigianato, dell’agricoltura e del credito, e l’elaborazione di uno studio affidato a esperti e studiosi di economia e di impresa che mettesse in luce le cause strutturali e congiunturali della crisi economica (con particolare attenzione al settore tessile).

Sullo studio si tenne poi un ciclo di dibattiti cui hanno partecipato la Regione Veneto, la Provincia di Treviso, le Amministrazioni comunali del comprensorio vittoriese, le Associazioni degli Industriali, degli Artigiani e dei Commercianti, le forze politiche locali e regionali e, con particolare impegno, le Associazioni sindacali.

Dall’esito degli studi e del dibattito della Conferenza era venuta agli operatori del settore tessile un’indicazione: attivare una specie di cartello, tra imprese, che consentisse di valorizzare la produzione delle diverse aziende attraverso una caratterizzazione dei rispettivi prodotti per la qualità e con la creazione di un apposito marchio (quasi una prefigurazione del Club Ideabiella sopra descritta).

L’indicazione non trovò riscontro da parte degli operatori del settore dell’epoca. Non è questa la sede per indagare perché ciò non sia avvenuto; torniamo quindi all’esempio virtuoso offerto dall’imprenditore Roberto Bottoli. La storia della sua impresa, come dicevamo, smentisce il luogo comune secondo il quale la legge del mercato è invincibile. Come i lettori comprenderanno, non stiamo esprimendo un giudizio, ma una mera constatazione di fatto.

 

Uno sguardo d’insieme

Rinviamo a un altro articolo la descrizione particolareggiata dell’attuale situazione delle attività produttive cittadine. Qui ci limiteremo a dire che lo stato dell’economia vittoriese presenta aspetti contrastanti.

Schematicamente, distingueremo:

  • un aspetto negativo costituito dalla cessazione dell’attività delle industrie tessili, di una celebre industria dolciaria, la Colussi, di un’ancor più celebre industria meccanica, la Carnielli (inventrice negli anni Sessanta della bicicletta Graziella), e degli stabilimenti SNIA (tessile e meccanico);
  • un aspetto positivo costituito dall’insediamento di un buon numero di imprese nella zona industriale, a partire dal 1978, dopo la realizzazione da parte dell’amministrazione comunale dell’area PIP (Piano per gli Insediamenti Produttivi): un’area attrezzata di 350.000 mq. situata nella parte sud della città, al confine col Comune di Conegliano.

In quest’area troviamo oggi alcune imprese di notevole spessore, tra le quali RICA-SIPA del Gruppo Zoppas (resistenze elettriche e macchine per produzione di bottiglie di plastica), SILCA (chiavi e macchine per produzione chiavi), Tegola Canadese, Falmec (cappe e sistemi di cottura). Con un paio di note a parte:

  • Permasteelisa (progettazione, produzione e posa in opera di facciate continue e rivestimenti architettonici per edifici). Oggi l’impresa di maggiori dimensioni nella città con circa 900 addetti, e che opera in tutto il mondo;
  • Concorde (colle speciali per applicazioni industriali), impresa di dimensioni medio-piccole che tuttavia offre un esempio non comune di imprenditoria capace di distinguersi per la tecnologia di avanguardia, frutto della propria ricerca interna; in particolare per la produzione di colle eco-compatibili con basso impatto ambientale e rispettose della salute degli utenti.

 

L’industria del fitness

Un brevissimo cenno merita il fenomeno del riutilizzo degli edifici industriali dismessi per attività del tutto diverse da quelle originarie, quali le attività della cura del fisico, del benessere e dello sport. Ci limiteremo a due esempi.

L’edificio nel quale si svolse per circa un secolo l’attività del Lanificio Cini, dopo essere rimasto inutilizzato per oltre quarant’anni, è stato recentemente restaurato e da qualche mese si chiama Laneria; ma il nome vuole riallacciarsi solo metaforicamente con l’antica attività. Oggi Laneria viene definita dai suoi ideatori e gestori (due associazioni: K&S Dance School e Contenitore di idee) un progetto culturale, artistico e sportivo della città.

Il nostro discorso si conclude con una “rivisitazione” dell’antica Fabbrica del Gelsolino che si trova, per l’appunto, in Via del Gelsolino. L’edificio all’esterno ha conservato integralmente la sua forma originaria. All’interno ormai da circa trent’anni si svolgono le attività di Bobadilla. Il titolare dell’impresa, Renzo Turbian, ci spiega che personale altamente qualificato in discipline motorie si occupa del benessere di circa 1600 persone, le quali vengono aiutate a seguire percorsi diversi: posturale, forma, dimagrimento, spa&relax, aqua, power and sport. “Percorsi – dice – che conducono le persone in un luogo chiamato salute, benessere, efficienza fisica”.

 

Un’ultima domanda

Giunti a questo punto ci chiediamo: quale sarà il futuro della città?

In base alle osservazioni sopra esposte, la risorsa economica più importante – quella che consente perfino di superare gli ostacoli del mercato sfavorevole – sembra essere il capitale umano. Un capitale costituito dalla capacità delle singole persone di sviluppare conoscenza, volontà, inventiva.

A mio modestissimo parere, questo capitale può consolidarsi, espandersi e produrre effetti benefici per l’insieme della società ispirandosi alla vicenda di Giuseppe Pasqualis. Come abbiamo visto, Pasqualis, oltre che imprenditore e scienziato, fu diffusore di nuove tecniche fra gli operatori del settore e anche fra la popolazione della compagna.

La città di Vittorio Veneto, per questa via, troverà – glielo auguro – il “filo” che allaccerà le migliori esperienze del passato a quelle del presente e del futuro.

 

Photo Credit by Fancycrave on unsplash

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