[VIDEO] Per fare il digitale non basta la tecnologia

Da due anni a San Giovanni a Teduccio, nella prima periferia napoletana è sorta quella che tutti i giornali chiamano l’Academy di Apple, che rappresenta di fatto la collaborazione fra l’Università di Ingegneria ed Apple. Abbiamo intervistato Giorgio Ventre, docente di sistemi dell’elaborazione delle informazioni e direttore della Developer Academy Apple (questo il nome completo […]

Da due anni a San Giovanni a Teduccio, nella prima periferia napoletana è sorta quella che tutti i giornali chiamano l’Academy di Apple, che rappresenta di fatto la collaborazione fra l’Università di Ingegneria ed Apple.

Abbiamo intervistato Giorgio Ventre, docente di sistemi dell’elaborazione delle informazioni e direttore della Developer Academy Apple (questo il nome completo e ufficiale) e Luca Carbonelli giovane imprenditore a capo di Caffè Carbonelli, un business tradizionale, appassionato di tecnologie e esperto naturale di e-commerce con cui ha trasformato radicalmente la sua azienda.

L’Academy nasce come progetto formativo con l’obbiettivo di creare una nuova figura professionale: lo sviluppatore di app, una figura professionale evidentemente emergente a differenza di tante figure mitologiche che ogni tanto compaiono sulle pagine di Linkedin o su qualche classifica stilata puntualmente dai giornali.

Le parole di Giorgio Ventre rispondono perfettamente al superamento del sospetto di un ennesimo “luogo dell’innovazione” in cui entrano fondi prevelamente europei a sostegno di iniziative fini a sé stesse da cui i giovani innovatori entrano pieni di illusioni ed escono con il proverbiale pugno di mosche. La formazione e gli obbiettivi, qui fanno la differenza.

Una professione che oltre ad una capacità tecnologica forte, ha nella sua job description la capacità di valutare l’interfaccia uomo macchina ovvero come le Persone accedono ed usano questa App e quindi i ragazzi studiano anche il design delle interfacce. Ma soprattutto cerchiamo di dare costruire competenze commerciali per far capire loro i modelli di business, di vendita ed eventualmente come costituire una startup. C’è poi tutto un lavoro che noi facciamo sulle soft skills: teambuilding, leadership, capacità di presentazione che è una competenza trasversale che emerge nel corso dell’anno. Dallo scorso anno questo è l’unico corso al mondo in cui chi impara a programmare app impara anche ad utilizzare le tecnologie di Cisco.

Un corso molto pratico basato su una metodologia di Apple che si chiama Challenge Based Learning in cui i ragazzi lavorano sempre in gruppo e imparano sviluppando app di loro ideazione. I docenti risolvono le esigenze formative dal punto di vista tecnologico, commerciale o di interfaccia ma l’ambito applicativo è scelto dagli studenti.

Un altro fattore di rottura con il passato a mio avviso è anche nel rapporto con le aziende e che con Giorgio Ventre ho voluto indagare per essere certo di non ritrovarmi ancora una volta a contatto con quelle realtà che affiancano il successo di un progetto esclusivamente a “una bella idea che un giorno troverà un principe azzurro travestito da Business Angel che risveglierà la tua startup addormentata nell’incubatore con un’exit miliardaria e vissero tutti felici e connessi.

In tutto l’anno accademico c’è un rapporto costante con il mondo esterno: invitiamo speaker di fama internazionale a dialogare non solo di tecnologie ma anche di modelli applicativi: ospedali, enti pubblici, musei, aziende. Alla fine dell’anno organizziamo un evento in cui i ragazzi entrano in contatto con le aziende: una specie di vetrina in cui organizziamo incontri e colloqui dove i ragazzi possono presentare le app che hanno sviluppato all’interno del percorso formativo alle aziende e investitori possibili e questi ultimi possono trovare i talenti per le loro imprese o i partner con cui crescere.

Quali sono le differenze rispetto ai vari incubatori e quei luoghi dove abitualmente si fa innovazione digitale? Chiedo a Luca Carbonelli.

La differenza primaria che vedo fra un luogo come questo e i classici incubatori sta proprio nella formazione di risorse che domani possano essere utili anche alle Aziende. Immagino sempre gli incubatori come quell’agglomerato di startup indipendenti che si trovano in un luogo dove condividono le proprie competenze ma poi devono crescere da soli. Un luogo come questo è importante anche per il territorio in cui opera, permettendo alle aziende circostanti di accedere a nuove competenze in grado di trasformare davvero le Imprese locali, rilanciandole anche a livello internazionale.

Perché una scuola del genere nasca a Napoli e non in luoghi dove sarebbe molto più facile comunicarla e sostenerla è presto detto. Mi risponde Giorgio Ventre:

La scuola di ingegneria di Napoli ha da sempre una grande tradizione di apertura internazionale con ragazzi che arrivano dalla Grecia, dall’Iran, dall’Iraq e in più gode di una eccellente qualificazione in termini di ricerca e di capacità di didattica. Ma a Napoli c’è anche un fattore distintivo dato dal forte impulso creativo. Questo progetto non nasce solo come un progetto tecnologico ma  con un approccio trans-disciplinare legato al design, allo studio dell’usabilità, ai differenti ambiti di applicazione e Napoli è il luogo che garantisce la necessaria ricchezza culturale, tanto che già dai primi incontri con Apple (al di là degli incontri tecnologici informativi), si sono aperti molti aspetti legati all’arte e alla cultura. Gli studenti che partecipano al corso hanno un background di architettura, economia, design e esperienze artistiche. Una vera e propria ibridazione delle competenze.

A differenza dunque di chi sostiene che l’innovazione è mutuata dalle tecnologie o da studi squisitamente tecnici è proprio un ingegnere a dissentire:

Questa città è una città nella quale questi mondi coesistono da tempo; ci sono tantissime iniziative promosse da Ingegneria in collaborazione con l’istituto Studi Storici e l’istituto di Filosofia, Ci sono tante iniziative per mettere a contatto questi mondi. Quest’anno organizziamo per la seconda volta un hackaton al Museo di Capodimonte in cui i ragazzi vengono messi alla prova per risolvere con le tecnologie problemi legati ad ambiti non tecnologici.

La video intervista completa.

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