Avetrana non è Hollywood, ma tira più del film su Trump

In sala il biopic sull’ascesa di Donald Trump e due lungometraggi sulla vita dei rider, ma la scena la ruba la serie sull’omicidio di Sarah Scazzi, “Qui non è Hollywood”: così l'(in)attualità torna sugli schermi. I suggerimenti di SenzaFiltro su cosa guardare quando non si lavora

03.11.2024
L'immagine di copertina di "Qui non è Hollywood", serie di Pippo Mezzapesa sulla vicenda del delitto di Avetrana

Una delle immagini più emblematiche dell’alluvione che sabato 19 ottobre ha colpito Bologna e la sua provincia è quella di un rider che si fa largo nelle strade, diventate fiumi, per riuscire a portare a termine la sua consegna. Il ciclofattorino, simbolo delle storture della gig economy, è protagonista al cinema di due film  da poco usciti in sala, dove al tema del lavoro dei rider si unisce anche quello dell’immigrazione.

Anywhere Anytime, vincitore del premio Luciano Sovena alla Miglior produzione indipendente alla Settimana internazionale della Critica (sezione autonoma e parallela dell’ottantunesima Mostra del Cinema di Venezia), è il debutto nel lungometraggio del regista iraniano Milad Tangshir, che rilegge con sensibilità attuale la lezione del neorealismo italiano. A Torino Issa (Ibrahima Sambou), senegalese che ha appena perso il lavoro perché immigrato clandestino, usa le credenziali dell’amico in regola per entrare nell’universo delle app di consegna dei cibi. Tutto precipita però quando gli viene rubata la bicicletta, strumento cardine della sua nuova occupazione.

La storia di Souleymane è ambientata a Parigi, dove il protagonista del titolo è un rider guineano – interpretato da Abou Sangare, un reale sans papier – che sfreccia per le strade della capitale francese come fattorino, nell’attesa di recarsi all’appuntamento decisivo con l’Ufficio francese per la protezione dei rifugiati e degli apolidi (OFPRA) per la richiesta di asilo. Grazie anche a una narrazione avvincente e frenetica, il film scritto e diretto da Boris Lojkine è stato la rivelazione dell’ultimo festival di Cannes, con ben due premi (premio della Giuria e Migliore attore) ottenuti nella sezione Un Certain Regard.

Un fotogramma dal film Storia di Souleymane
Un fotogramma dal film "Storia di Souleymane"

Vicende intime, quelle di Anywhere Anytime e La storia di Souleymane, che acquistano dimensione sociale e collettiva, raccontando di un’Europa indifferente e inospitale, civilizzata ma incivile. Cinema d’autore e indipendente che sente l’esigenza di rappresentare la marginalità, l’invisibilità e la precarietà.

L’apprendistato alle origini di Donald Trump

Al culmine della campagna elettorale americana esce anche nelle sale italiane The Apprentice – Alle origini di Trump, dove il regista iraniano naturalizzato danese Ali Abbasi (autore del potente Holy Spider) ricostruisce l’ascesa di Donald Trump nella New York tra gli anni Settanta e Ottanta sotto l’influenza dell’avvocato Roy Cohn. Cohn non è un repubblicano qualsiasi: procuratore dell’accusa nel processo per spionaggio contro Julius ed Ethel Rosenberg e assistente di McCarthy, su di lui verte il documentario Where’s my Roy Cohn di Matt Tyrnaue. Il suo più grande cliente? L’America.

Un fotogramma da The Apprentice - Alle origini di Trump
Un fotogramma da "The Apprentice - Alle origini di Trump"

Cohn e un ancora giovane e impacciato Donald, dalla sconfinata ambizione nel real estate, stringono una sorta di “patto faustiano”, dando vita a un apprendistato (come il reality condotto da Trump dal 2004 al 2015) che ha come materie principali corruzione e manipolazione. Il loro sodalizio, in cui i rapporti di potere muteranno nel corso degli anni, getterà le basi per quell’ideologia che muove “l’arte di fare affari” (titolo della sua biografia), poi declinata in strategia politica dal quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America.

Se la prima parte di The Apprentice – Alle origini di Trump è quasi bonaria con il tycoon, la seconda si concentra sul narcisismo e sulla moralità senza scrupoli, evidenti nella vita pubblica ma ancor di più in quella privata. La sua superficiale spietatezza colpisce, infatti, le persone in teoria a lui più care, dal fratello alla prima moglie, la modella ceca Ivana (Maria Bakalova).

Difficile che il film di Abbasi, a fatica realizzato e poi distribuito in America con scarso riscontro al box office, possa spostare voti tra gli indecisi. Non ha dalla sua la potenza di fuoco necessaria, sia in termini di marketing che di forza cinematografica. Resta tuttavia un film gradevole per un pubblico trasversale: il ritmo è serrato, la sceneggiatura del giornalista Gabriel Sherman è solida, le musiche e le scelte estetiche restituiscono con credibilità l’epoca in cui si muovono i protagonisti. Eccezionali sono soprattutto gli attori, da Sebastian Stan, che rifugge la parodia nell’incarnare Trump, a Jeremy Strong (reduce dal grande successo della serie Succession), che interpreta il mefistofelico Roy Cohn e che avrebbe probabilmente “meritato” di essere il fulcro della narrazione.

"Qui non è Hollywood": Avetrana è una brutta parola, non una brutta serie

Se il sindaco di Avetrana voleva distogliere gli sguardi dalla sua cittadina, non ha calcolato bene le sue mosse. Al centro di molte polemiche per la decisione del giudice del Tribunale di Taranto di accogliere il ricorso del primo cittadino e fermarne la messa in onda, la serie sull’omicidio di Sarah Scazzi sta ricevendo un notevole battage pubblicitario gratuito. In attesa dell’udienza del 5 novembre, è dal 30 ottobre disponibile su Disney+ con il titolo di Qui non è Hollywood (prima sottotitolo), omettendo quindi il nome della località pugliese.

La serie, prodotta da Matteo Rovere con Groenlandia, è basata sul libro Sarah. La ragazza di Avetrana (Fandango Libri) di Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni, da cui già era stata tratta l’omonima docu-serie (prodotta sempre da Groenlandia) per Sky. Ora la produzione sembra aver voluto chiudere il cerchio con questa fiction, in cui i due autori del libro hanno collaborato con gli sceneggiatori della serie Antonella W. Gaeta e Davide Serino. Dietro la macchina da presa c’è il regista e sceneggiatore pugliese Pippo Mezzapesa (Ti mangio il cuore).

Qui non è Hollywood si compone di quattro corposi episodi, ognuno dei quali sposa rispettivamente il punto di vista di Sarah, Sabrina, Michele e Cosima, facendo procedere la narrazione in senso cronologico. A conti fatti, la comunità di Avetrana non esce particolarmente male dalla rappresentazione di una realtà di provincia del Sud, che viene sconvolta, alla fine dell’estate 2010, da un evento fuori dall’ordinario.

Il primo episodio apre con l’esplicito riferimento al turismo dell’orrore che ha interessato Avetrana (così come altre località italiane in cui sono avvenuti efferati casi di cronaca nera), ma il circo mediatico sviluppatosi attorno alla sparizione e poi all’omicidio della quindicenne non è l’elemento portante, come il titolo lascerebbe presupporre. È un ingrediente della storia, ma non l’unica materia prima. Il giornalismo non ha dato bella mostra di sé in quei giorni, ma la serie è più concentrata sull’introspezione psicologica, dalla giovanissima vittima ai carnefici.

Un fotogramma tratto da "Qui non è Hollywood"
Un fotogramma tratto da "Qui non è Hollywood". Foto di Lorenzo Pesce

Sarah (Federica Pala) viene descritta come una ragazzina in cerca di affetto, in perenne contrasto con la madre Concetta Serrano (Imma Valli), che è testimone di Geova, e molto attaccata alla famiglia della sorella materna Cosima (Vanessa Scalera), in particolare alla di lei figlia Sabrina (Giulia Perulli). Sarah ignora quanto in realtà la cugina sia invidiosa della sua magrezza e del fascino che sembra esercitare sul ragazzo più bello del paese, Ivano (Giancarlo Commare), di cui Sabrina è innamorata e da cui viene poi respinta.

È una serie, Qui non è Hollywood, che fa leva sulla contrapposizione tra i suoi personaggi femminili, così come sull’assenza della componente maschile in queste due famiglie: il padre e il fratello di Sarah lavorano al Nord, Michele Misseri (Paolo De Vita) vive all’ombra di moglie e figlia. Anche il rapporto con la fede religiosa e la dimensione ultraterrena (premonizioni, visioni) occupa un ruolo preciso nella caratterizzazione dei protagonisti, nello specifico di Michele. Nulla è lasciato al caso, soprattutto il cast, notevole anche nell’aderenza fisica: Giulia Perulli è ingrassata oltre 20 chili per interpretare Sabrina; Vanessa Scalera indossa un trucco prostetico molto efficace.

Rispettosa della verità giudiziaria, almeno quella emersa dai tre gradi di giudizio, Qui non è Hollywood è un’operazione tutto sommato corretta e credibile, che non insegue il morboso, ma che fa sua l’ambizione di esplorare la complessità del male (come ha dichiarato il regista), ricercando quelle debolezze e quei turbamenti interiori che possano spiegare e motivare azioni così gravi e oscure.

 

 

 

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Foto di copertina di Lorenzo Pesce

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