È in polizia penitenziaria il posto fisso meno ambito?

Lo Stato cerca più di 2.800 agenti per rimpinguare il corpo deputato al controllo delle carceri, ma non si trovano abbastanza candidati per avviare i concorsi di selezione: colpa di salari bassi, ambienti difficili, strutture fatiscenti. Facciamo il punto con Gian Luigi Madonia, segretario UILPA Lombardia

09.04.2025
La shilouette di un agente di polizia penitenziaria in carcere

A fine gennaio è stato indetto l’ultimo concorso per entrare in polizia penitenziaria. Erano disponibili 3.246 posti; più o meno quanti ce n’erano nel penultimo, che però non è riuscito a trovare partecipanti a sufficienza.

Perché sono in pochi a voler entrare in penitenziaria, sebbene si tratti di uno stipendio sicuro e statale. Il fascino della divisa si fa sentire sempre meno, anche perché le aggressioni agli agenti da parte dei detenuti sono in crescita e le condizioni delle carceri sono decisamente peggiorate, non solo per i reclusi (tra i quali i suicidi sono in aumento), ma anche per chi ci lavora.

Tu ce lo manderesti tuo figlio a lavorare in carcere?” chiede un agente della penitenziaria di lungo corso. Secondo l’associazione Vittime del dovere l’aumento delle aggressioni dal 2022 al 2024 è stato del 61%, e in tutto il 2024 se ne sono conteggiate 2.000. A farne le spese è l’organico della penitenziaria, con una dotazione scesa da 45.121 lavoratori a 41.595 a causa dei tagli.

Ma nella realtà i lavoratori sono molti meno. Nel 2020 erano 37.939, nel 2022 37.818, e i concorsi sembrano non riuscire a far fronte a questa emorragia. A inizio carriera un ispettore di polizia penitenziaria guadagna tra i 1.200 e i 1.300 euro: una cifra troppo bassa per lavorare, su turni, in condizioni che sono ritenute difficili. Anche per questo si fatica a rimpinguare l’organico.

L’obiettivo del Governo è riempire l’intera pianta organica del corpo di polizia penitenziaria nell’arco del quinquennio 2021-2025, e per questo, oltre al turnover, è autorizzata altresì l’assunzione straordinaria di 2.804 unità complessive – sebbene non sembri affatto semplice raggiungere il fine prefissato.

Aggressioni e stipendi bassi: se il posto fisso è un carcere

Anche perché negli ultimi mesi sono cresciute le aggressioni. L’ultima in ordine di tempo, ed è la più eclatante, ha riguardato una psicologa nel carcere di San Vittore, ma dall’inizio dell’anno il bollettino è stato lungo; pochi giorni fa al minorile Beccaria di Milano è scoppiato un incendio.

Da tempo i sindacati segnalano queste difficoltà, chiedendo un migliore trattamento per gli agenti, ma hanno anche cercato di darsi una risposta sul perché ci sia una fuga da questa professione.

“Nella pubblica amministrazione in generale – dice Gian Luigi Madonia, segretario generale della Lombardia della UILPA – e nella polizia penitenziaria in particolare le persone fanno il concorso, mirano al tanto agognato posto fisso, ma poi si rendono conto che non è proprio il massimo. Basta farsi due conti, comparando i costi del mutuo e i costi della vita (soprattutto nelle Regioni del Nord) con lo stipendio, che in media è di 1.500 o 1.600 euro. Molti dal Sud sono costretti a trasferirsi al Nord, dove gli affitti costano anche 800 euro, cioè metà dello stipendio. Ho testimonianze di persone che hanno chiesto l’ammontare degli stipendi prima, e poi mi hanno mandato un messaggio dicendo che hanno dovuto rinunciare al loro sogno, cioè vincere un concorso.”

I problemi della polizia penitenziaria

Oltre alle generali difficoltà della pubblica amministrazione, ci sono anche quelle specifiche della penitenziaria.

“I corsi di formazione per i neoassunti sono troppo brevi”, dice Madonia, “e non ti permettono di prendere coscienza delle reali difficoltà di questo lavoro. Senza di quelli c’è il forte rischio che i neoassunti si demotivino. Sarebbe necessaria una maggiore preparazione a livello psicologico e di approccio mentale, che eviti l’impatto di chi pensa che questo tipo di lavoro non riuscirà mai a farlo.”

“Questa tematica si connette al fenomeno delle aggressioni e degli eventi critici. Siamo davanti a un carcere che sta migliorando solo dal punto di vista esterno. In più documenti ufficiali abbiamo detto che questo governo sembra occuparsi della penitenziaria, con sottosegretari che sbandierano eventi e istituzioni di gruppi speciali, ma nei fatti il lavoro all’interno delle carceri non è per nulla cambiato. La visibilità non ci sta ripagando di quello che subiamo all’interno del posto di lavoro, perché le aggressioni non sono diminuite, gli eventi critici non sono diminuiti e i luoghi di lavoro non sono affatto migliorati. Ci sono posti di lavoro che dovrebbero essere inagibili, se paragonati ad altri analoghi e omologhi europei.”

“Se intervistasse agli agenti che lavorano in prima linea, nessuno direbbe di stare meglio di dieci o vent’anni fa. L’introduzione del reato di tortura non ci sta certo aiutando. Esistono casi in cui un mero trasporto da un posto all’altro, prendendo di peso un detenuto, crea problemi, quindi si crea una sorta di condizionamento psicologico. Ci sono colleghi che sono stati sospesi due anni, si sono pagati l’avvocato e hanno perso la famiglia. In generale, ci sono persone che paragonano i rischi con i compensi ricevuti e scelgono qualche altro lavoro, pur di tornare a casa sani.”

Psicologi poco utilizzati e carenze di organico

In realtà qualcosa per aiutare le Fiamme Azzurre è stato fatto. Ad esempio c’è stata l’introduzione dello psicologo per fare fronte al burnout.

“Abbiamo diritto allo psicologo – continua Madonia – e gli sportelli sono attivi, ma per una logica di subcultura e paura è poco utilizzato. Spesso si teme che i problemi psicologici vengano confusi con quelli psichiatrici, e gli agenti della penitenziaria tendono a non farsi vedere, perché c’è la paura di un controllo approfondito e il rischio di essere congedati. Resiste una sorta di omertà istituzionale e la paura anche di finire all’ospedale militare, fino all’estromissione dal corpo. Inoltre non c’è obbligo, perché comunque c’è la legge sulla privacy. Anche in questo caso è tutta una questione di volontà, perché l’amministrazione potrebbe imporlo dal momento che siamo persone che hanno in dotazione un’arma, e questo comunque rappresenta un rischio per l’intera comunità.”

Nei giorni scorsi in Parlamento si è discusso della mozione carceri. Il testo prevede, tra l’altro, un impegno a “valutare circoscritti e mirati rafforzamenti delle misure alternative al carcere con riguardo ai detenuti tossicodipendenti o in condizione di comprovata fragilità psicofisica, escludendo generalizzati provvedimenti clemenziali”, e a “proseguire con le iniziative già intraprese contro il sovraffollamento carcerario, attraverso la costruzione di nuovi istituti penitenziari, di nuovi padiglioni, nonché attraverso il recupero dei posti detentivi attualmente indisponibili”.

Al momento, però, i sindacati hanno bocciato questa presa di posizione del Governo, che sembra rappresentare un goccia nel mare di problemi che al momento affliggono gli istituti di pena italiani, a fronte ad esempio della necessità di aumentare il numero dei dipendenti per coprire un fabbisogno di 24.000 unità.

 

 

 

L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.

Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro. 

Sottoscrivi SenzaFiltro

 

Photo credits: stylo24.it

CONDIVIDI

Leggi anche