In realtà qualcosa per aiutare le Fiamme Azzurre è stato fatto. Ad esempio c’è stata l’introduzione dello psicologo per fare fronte al burnout.
“Abbiamo diritto allo psicologo – continua Madonia – e gli sportelli sono attivi, ma per una logica di subcultura e paura è poco utilizzato. Spesso si teme che i problemi psicologici vengano confusi con quelli psichiatrici, e gli agenti della penitenziaria tendono a non farsi vedere, perché c’è la paura di un controllo approfondito e il rischio di essere congedati. Resiste una sorta di omertà istituzionale e la paura anche di finire all’ospedale militare, fino all’estromissione dal corpo. Inoltre non c’è obbligo, perché comunque c’è la legge sulla privacy. Anche in questo caso è tutta una questione di volontà, perché l’amministrazione potrebbe imporlo dal momento che siamo persone che hanno in dotazione un’arma, e questo comunque rappresenta un rischio per l’intera comunità.”
Nei giorni scorsi in Parlamento si è discusso della mozione carceri. Il testo prevede, tra l’altro, un impegno a “valutare circoscritti e mirati rafforzamenti delle misure alternative al carcere con riguardo ai detenuti tossicodipendenti o in condizione di comprovata fragilità psicofisica, escludendo generalizzati provvedimenti clemenziali”, e a “proseguire con le iniziative già intraprese contro il sovraffollamento carcerario, attraverso la costruzione di nuovi istituti penitenziari, di nuovi padiglioni, nonché attraverso il recupero dei posti detentivi attualmente indisponibili”.
Al momento, però, i sindacati hanno bocciato questa presa di posizione del Governo, che sembra rappresentare un goccia nel mare di problemi che al momento affliggono gli istituti di pena italiani, a fronte ad esempio della necessità di aumentare il numero dei dipendenti per coprire un fabbisogno di 24.000 unità.
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