Pubbliche amministrazioni virtuose non è un ossimoro

Pubblica Amministrazione non significa solo personaggi alla Checco Zalone: Vito Tenore, della Corte dei conti, cita diversi esempi di PA virtuose.

La Pubblica Amministrazione non è un corpo avulso dalla società italiana, ma ne fa parte anche per via del fatto che è composta dagli stessi individui, è caratterizzata dagli stessi tratti e ha le sue stesse idiosincrasie. Ci vuole una società come quella italiana, per esprimere una Pubblica Amministrazione come quella italiana.

Leggendo un libro di Ettore Ezio Pantaleone, Pubblica Amministrazione, ovvero come sono sopravvissuto al posto fisso, pubblicato a ottobre 2020 dallo stesso autore, mi è capitato di imbattermi in questo passaggio, illuminante per chi come me è abituato a considerare la PA, da scrivere rigorosamente con le iniziali maiuscole, un apparato burocratico pieno di cliché.

La PA è una macchina che, seppur in chiaro stato di avaria, continua a marciare per merito di tantissimi lavoratori virtuosi che però non godono di buona stampa e nemmeno di notorietà. Si parla pochissimo, infatti, di PA virtuose, e ancora meno si conoscono i nomi di chi lavora dietro questi “apparati”, tanto per usare un’altra parola tipica del lessico burocratese. Molto più comodo prendersela con il sito dell’INPS che non funziona, o mandare in trend topic su Twitter il click day perché nello stesso giorno tutti gli italiani richiedono il bonus per il monopattino o per la bici elettrica. Se chi lavora nella Pubblica Amministrazione non gode di grandi simpatie, è anche a causa del suo datore di lavoro: lo Stato.

Nella PA non ci sono solo personaggi di Checco Zalone

Il professor Vito Tenore, magistrato della Corte dei Conti presso la Sezione Giurisdizionale Lombardia, professore di Diritto del lavoro pubblico presso la SNA, qualche anno fa ha scritto un libro dal titolo Non siamo fannulloni, ritratti e storie di dipendenti che onorano la pubblica amministrazione. Il libro, ormai esaurito e introvabile, è diventato un sito che racconta e descrive la Pubblica Amministrazione che funziona e che – di conseguenza – non fa notizia. Quella che lavora, che produce, che fornisce servizi con efficienza.

Fa sorridere – l’ho confidato proprio al professore durante un’intervista che mi ha gentilmente concesso – che il sito non spicchi per quella che esperti di comunicazione digitale chiamano user experience. Il sito è difficile da navigare, sviluppato in un codice html open source, non è navigabile da smartphone, ha un form di contatti che invoglia il lettore a scappare, e una serie di pdf da aprire come si usava nella prima era di internet.

Superata questa diffidenza iniziale, tipica del radicalismo chic di noi millennials, si passa a esaminare il contenuto, che è davvero ben fatto. Ne ho parlato con il professor Tenore spiegandogli che è come essere entrati in un ufficio pubblico dove i mobili sono vecchi, le finestre impolverate e i faldoni sistemati sul tavolo in maniera disordinata. Fosse una scelta di branding o di positioning, sarebbe straordinaria.

Non lo è, me lo spiega lo stesso Tenore.

“Volevo portare online le storie di uomini e donne virtuosi raccontate nel libro, ormai da anni esaurito, e ci è sembrato giusto farlo con i nostri mezzi artigianali: riproponendo la identica versione cartacea online, essendo un testo solo da leggere nei suoi contenuti, come un libro. Lo so, è un sito migliorabile, ma l’intento era quello di porre l’attenzione sulle storie. La forma potrebbe essere migliorata, ma sono i contenuti ed il messaggio che mi interessano.”

Gli chiedo come mai, secondo lui, nessuno parla di PA virtuose.

“Vede, è molto più comodo per i media usare i cliché qualunquistici della narrazione del dipendente pubblicocheccozalonico’. Siamo in Italia, chi lavora nella PA è visto come un fannullone, è dai tempi di Totò e Peppino che è così. Sicuramente la colpa è anche di una selezione talvolta clientelare e non meritocratica, di alcuni dirigenti-burocrati che non hanno saputo motivare i propri uomini e hanno creato una cultura del lavoro ‘difensivo’, nel nostro ambito. Una volta ottenuto quello che in tanti chiamano, perché effettivamente lo è, posto fisso, si tende a dimenticare l’interesse della collettività che si serve lavorando per un datore pubblico, e a volte si inizia a badare esclusivamente ai propri interessi, al proprio orticello e non al bene comune. Ed è un peccato, perché invece il pubblico impiego è pieno di persone che si fanno in quattro per portare avanti questa complessa macchina. E non solo: direi il Paese intero. Emblematico esempio: i medici e infermieri, oltre ai funzionari amministrativi degli ospedali pubblici, della Protezione civile, delle Forze di Polizia, tutti alacremente al lavoro in epoca COVID-19.”

Possiamo dire che ci sono gli statali che si sono arresi, quelli che si sono sistemati e quelli che non si arrendono?

“Direi ancora di più. Come lei giustamente afferma, la Pubblica Amministrazione è un piccolo spaccato della società italiana, e sappiamo bene che per decenni l’idea fondante era quella di trovare lavoro, prendere il più possibile facendo meno fatica possibile e schivare la Corte dei Conti o il giudice penale. Senza fare troppi giri di parole, alcuni dirigenti e funzionari di oggi sono cresciuti con questa cultura. Però si sta da anni affacciando una nuova generazione di dipendenti pubblici, ben selezionati e formati dalla Scuola Nazionale dell’Amministrazione ove mi onoro di insegnare, che pur dovendo superare una diffidenza iniziale legata – anche in questo caso – a una cultura che mi fa riflettere, sono più motivati, al passo con i tempi, e per natura molto più predisposti a mettere in discussione le cose e anche se stessi. Non hanno il mito del posto fisso, della inamovibilità fisica, e nemmeno quello del dolce far nulla. Sono, insomma, più propensi a lavorare come nel privato. E questo mi fa ben sperare, per la PA e in generale per il Paese. Questi lavoratori ho voluto raccontare nel mio libro Non siamo fannulloni.”

Come si guarisce la PA? Cambiando concorsi e dirigenti

“Gran parte della responsabilità, nel bene e nel male – riprende Tenore – è dei dirigenti, della loro non sempre meritocratica selezione e della loro mai superata sudditanza nei confronti della politica, centrale e locale. Loro hanno il compito di formare, guidare e motivare le persone. Di migliorarle. E in tanti lo fanno, ma come le ho detto se ne parla pochissimo nei media. Tutti dovrebbero ricordarsi che dietro la PA ci sono facce, ci sono storie di uomini e donne talentuosi. C’è competenza, coraggio, intraprendenza, fantasia. Tutte parole che tendiamo a dedicare solo ai manager di azienda, come se ci fossero due categorie di persone distinte e separate.”

Vero, come altrettanto vero è che a volte sono proprio le parole e il linguaggio a creare una barriera. Basti pensare alle parole della PA, e ancora una volta torna utilissima la testimonianza di Pantaleone, che mi fa soffermare sui verbi della Pubblica Amministrazione.

Monitorare è uno dei verbi più interessanti della PA. Insieme a ricognizione.

Il secondo, con il suo sapore esotico e africano, suggerisce l’idea di una spedizione epica in terre lontane e pericolose, un viaggio periglioso tra bestie feroci, con il binocolo tra le mani per osservare lande deserte e inospitali, indossando ottocenteschi vestiti coloniali simili a quelli degli esploratori inglesi.

Come possono parole così non creare una contrapposizione fortissima tra chi pensa di cambiare il mondo con degli output attesi e dei kpi e chi resta in difesa, in attesa di prendere contromisure e programmare delle verifiche costanti?

Un altro tema sul quale il Professor Tenore si sbilancia, prima di riprendere il racconto dei ritratti dei dipendenti virtuosi, è quello dei concorsi:

“Se vogliamo alzare il livello dei dipendenti pubblici, bisogna alzare il livello di indipendenza della selezione in entrata. I concorsi dovrebbero essere centralizzati, perché la territorialità può portare – e purtroppo ha portato – al malcostume. Purtroppo gli enti locali vogliono conservare il potere di fare concorsi locali perché sono bacini elettorali, ma una commissione centrale sarebbe un grande passo avanti per tutto il mondo delle PA. Altrimenti diventa inutile dopo fare corsi di formazione o stilare codici di comportamento: l’etica deve partire dalla fase concorsuale.”

Se da un lato il professor Tenore parla di sistema PA, Pantaleone si sofferma ancora una volta sull’individuo:

Nella PA, essere un dipendente produttivo è una questione di coscienza. In un ambiente che ti fa sentire solo, in un sistema che non premia, anzi, a volte, punisce senza motivo, in una società che ti vede come un privilegiato, stringere i denti e, ogni giorno, andare a lavorare senza rinunciare ad essere statale del primo tipo, quello che ancora ci crede, è solo una questione di coscienza. E resistenza al logorio della tentazione di gettare la spugna, di adeguarsi, di lasciarsi trasportare dalla lenta corrente.

Il digitale virtuoso della Pubblica Amministrazione

Di casi da segnalare, sul sito “Non siamo fannulloni”, se ne trovano un centinaio. Si potevano raccontare con più enfasi e con un uso maggiore della leva dello storytelling, ma anche questo è un forse un vezzo da addetto ai lavori. E nel libro di Ettore Pantaleone, più critico e tagliente, ce ne sono altrettanti. Anche nel suo racconto, un mix di realtà e fiction, hanno nomi e cognomi. Marco ad esempio, che ride degli statali, anche se fa parte della categoria. Scherza sul dipendente pubblico; eppure non è esente da alcuni difetti che nota negli altri e deride. E poi Claudia, e Francesco, o Margherita che gira sempre con il suo fascicolo.

Sono andato alla ricerca di PA virtuose e mi sono imbattuto in buone pratiche come quelle dei tanti uffici che hanno dovuto convertirsi in fretta e furia allo smart working durante questa tremenda stagione del COVID-19. La maggior parte delle regioni non hanno fatto fatica, perché predisponevano già dell’adeguata organizzazione digitale, e si sono limitate a lavorare sull’attitudine.

È stato durante il periodo di lockdown che il Consiglio regionale della Puglia, cogliendo l’urgenza come leva per la trasformazione digitale dei processi, ha potuto avvalersi di un efficiente strumento per l’agevole attuazione del lavoro agile, con ricadute sia in termini di riduzione dei costi che di miglioramento della produttività individuale; nonché di una piattaforma duttile per lo svolgimento di seminari, webinar, riunioni a distanza attraverso cui il Consiglio regionale della Puglia utilizza le tecnologie innovative per attuare politiche collaborative e di condivisione istituzionali.

Con lo stesso spirito, la Biblioteca del Consiglio Regionale della Puglia “Teca del Mediterraneo”, ha potenziato le attività e i servizi online offrendo assistenza informativa e consulenza bibliografica, e ha ripensato i propri servizi, avviando un processo di riconversione degli stessi in remoto e accelerando fortemente la spinta verso quelli digitali. Il grande balzo verso il digitale e i servizi a distanza, mi spiega la dirigente servizio affari generali Regione Puglia Maria Conte, ha impattato sulle modalità di fruizione della biblioteca dopo la riapertura, che si è dotata dell’APP Booking CRP – Prenotazioni, eventi e servizi Consiglio Regionale della Puglia.

Anche di questa accelerazione digitale, il caso pugliese è solo un esempio tra i tanti, hanno parlato in pochi. Fa molto più notizia parlare di chi incrocia le braccia, di chi timbra cartellini per restare seduto a giocare a solitario, di una PA che resta sempre uguale a se stessa. Ma tra uno scoppiettio e un inquietante scricchiolare di giunture, la PA va avanti, nonostante le regole astruse gli odiati fannulloni, e allo stesso tempo grazie a persone e organizzazioni virtuose di cui sarebbe bene parlare – e sentir parlare – più spesso.

Come una infinita operazione algebrica, i fattori positivi e negativi della società che amministra si sommano e si neutralizzano a vicenda. Eppure, alla fine, la PA va. A tratti e incerta, sì. Slittando a destra e a manca, a sussulti. Eppure va. Anche se nessuno, esattamente, sa come.

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