La ricerca SDA Bocconi: “Poche donne manager”. Ma ha una contraddizione in casa

Secondo una ricerca dell’ateneo milanese, solo una donna su sei ha un ruolo “executive”; non è difficile crederlo, considerata la sproporzione al maschile nel CDA di Bocconi. La nostra analisi sullo stato delle pari opportunità nei ruoli dirigenziali, con il commento di Cristina Mezzanotte, presidente di Manageritalia Emilia-Romagna

13.12.2024
Donne manager, anche in SDA Bocconi ce ne sono poche: un'immagine dei laureati alla fine di un loro corso

I dati più recenti arrivano dalla ricerca condotta da SDA Bocconi, la business school della celebre università milanese, che afferma che in 320 grandi aziende nazionali, di cui 169 quotate in Borsa, solo una donna su sei, il 17%, è “executive”, ossia ha un ruolo da dirigente, su un campione di 2.920.

La maggiore concentrazione di presenza femminile è nelle funzioni di staff rispetto alle aree di business, e la minore rappresentanza è più evidente nelle società quotate rispetto alle non quotate, con un divario marcato in tutti i settori. L’età media è di circa 50 anni, rispetto ai 54 degli uomini a parità di ruolo: il management femminile, dunque, non solo scarseggia, ma non è neanche “giovane”, il che in parte potrebbe essere giustificato dai tempi lenti dei percorsi di carriera, che fanno il paio con un ingresso spesso tardivo sul mercato del lavoro, soprattutto in alcuni ambiti.

Stiamo parlando di un campione che, sebbene non copra tutte le grandi aziende – ossia le società con più di 250 addetti, che in Italia sono circa 4.000 – è comunque rappresentativo di un quadro poco confortante. Si tratta di una componente minoritaria rispetto ai circa 5 milioni di imprese italiane, prevalentemente piccole e piccolissime, ma “pesante” dal punto di vista del numero dei dipendenti e del ruolo strategico per il Paese.

Le contraddizioni sono già in Bocconi: il CDA dell'ateneo è a trazione maschile

I risultati della ricerca costituiscono un paradosso, se si pensa che spesso le società quotate sono quelle che fanno della parità di accesso alla carriera e delle pari opportunità un pilastro fondamentale delle strategie aziendali.

E, a ben vedere, il paradosso raddoppia: è sufficiente buttare un occhio sulla stessa Bocconi, la cui “school of management” è promotrice della ricerca e ha istituito da quest’anno un Osservatorio Donne Executive nell’ambito del Corporate Governance Lab. Da quanto riportato sul sito, il CDA del famoso ateneo non è particolarmente ricco diquote rosa”: alla presidenza e vicepresidenza ci sono due uomini, e su quattordici componenti del CDA le donne sono cinque, quindi comunque in minoranza. La situazione migliora restringendo il campo a SDA Bocconi, la cui managing director è una donna, con una buona presenza femminile anche nei ruoli “direttivi”.

L’adeguamento in generale c’è stato, ma più per un obbligo normativo e timorereputazionale” che per un effettivo cambio di passo.

“Ci risulta che le aziende quotate si siano adeguate. Sono vigilate, in caso non siano in regola hanno tempo per rimediare. Questo succede anche per un fatto culturale, più imposto che spontaneo, perché la caduta di reputazione nel caso di condanna sarebbe troppo dura e imbarazzante”, ci dice Cristina Mezzanotte, presidente di Manageritalia Emilia-Romagna.

Resta inoltre da analizzare tutto il mare magnum delle piccole e medie imprese, che nel nostro Paese sono la maggioranza: “Dobbiamo crescere nelle governance delle PMI in cui si preferisce inserire i soliti noti, anziché le persone competenti, soprattutto in quelle a gestione famigliare”.

Management femminile, gli obblighi di legge non portano le donne ai vertici: solo il 4% è presidente

La presenza femminile in azienda, con riferimento ai consigli di amministrazione e ai collegi sindacali delle società quotate, è regolata dalla legge Golfo-Mosca, dal nome delle deputate che l’hanno promossa e fatta approvare nel 2011. La legge stabilisce l’obbligo di una percentuale – almeno un terzo di posti negli organi di governo delle società quotate – riservata al genere meno rappresentato: dati alla mano, le donne. Sono previste inoltre sanzioni in caso di mancata ottemperanza: una diffida in mancanza di un adeguamento entro quattro mesi, una sanzione da 100.000 euro a 1 milione per i CDA, e da 20.000 a 200.000 per i collegi, con una nuova scadenza di tre mesi e lo scioglimento del CDA o organo di controllo come soluzione estrema.

A distanza di oltre dieci anni la disposizione ha avuto i suoi effetti: oggi le donne rappresentano il 43% dei componenti delle società quotate; percentuale che tuttavia scende al 33% se invece andiamo a comprendere anche le imprese non quotate con fatturato superiore al milione, con il restante 67% che è ancora al maschile.

Le aziende quotate, insomma, si sono adeguate seguendo l’obbligo di legge, e le cosiddette “quote rosa” sono notevolmente aumentate rispetto al passato. Tuttavia, stando ai dati SDA Bocconi, c’è sempre una minore rappresentanza rispetto alle non quotate.

“Sì, le donne sono il 43% dei componenti dei CDA delle società quotate”, commenta Cristina Mezzanotte, “ma sono poche nei ruoli apicali di governance e gestione dell’azienda. Anche le leggi danno una mano, ma le donne sanno crescere per merito. Questo è stato il vero motivo che ha visto le donne protagoniste del recente aumento dei dirigenti privati, cresciuti negli ultimi 15 anni del 6,9%, solo con l’aumento delle donne del 91,7%, contro il calo degli uomini del 4,6%”.

Rispetto alla differenza tra società quotate e non quotate, la Mezzanotte spiega che “nelle quotate abbiamo raggiunto il quorum di legge, ma solo il 4% è presidente. Siamo nella stanza dei bottoni, ma con una percentuale esigua”.

Il divario di genere non si supera per legge, ma per merito e con un’altra cultura del lavoro

È evidente che occorra qualcosa di più di una semplice legge. La formazione per la creazione di una cultura condivisa sul tema è però solo un tassello di un mosaico più ampio.

Innanzitutto, è necessario partire dalla formazione accademica per colmare i gap che ancora ci sono tra i vari ruoli e settori aziendali, e qui il riferimento inevitabile riguarda il cosiddetto mondo STEM, dove la presenza di donne in ruoli dirigenziali e di vertice continua a rimanere minoritaria. Su questo fronte ci sono diverse iniziative che partono sin dalle scuole per orientare i giovani che si avvicinano al mondo del lavoro, affrontando anche il tema del gender gap e degli stereotipi di genere applicati al lavoro.

In secondo luogo, bisogna continuare sulla strada, non sempre lineare, della genitorialità condivisa, per evitare a chi è madre una penalizzazione nel percorso di carriera a causa della maternità. Un aspetto che oggi può sembrare scontato, ma non lo è, se si pensa ad esempio, ai soli dieci giorni di congedo di paternità obbligatorio per i padri e all’alternanza tra genitori nel ruolo di cura dei figli, in molti casi sbilanciata verso la madre.

Serve un salto culturale nelle aziende, in famiglia e nella società. E un’attenzione vera al merito.

 

 

 

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Photo credits: sdabocconi.it

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