La presenza femminile in azienda, con riferimento ai consigli di amministrazione e ai collegi sindacali delle società quotate, è regolata dalla legge Golfo-Mosca, dal nome delle deputate che l’hanno promossa e fatta approvare nel 2011. La legge stabilisce l’obbligo di una percentuale – almeno un terzo di posti negli organi di governo delle società quotate – riservata al genere meno rappresentato: dati alla mano, le donne. Sono previste inoltre sanzioni in caso di mancata ottemperanza: una diffida in mancanza di un adeguamento entro quattro mesi, una sanzione da 100.000 euro a 1 milione per i CDA, e da 20.000 a 200.000 per i collegi, con una nuova scadenza di tre mesi e lo scioglimento del CDA o organo di controllo come soluzione estrema.
A distanza di oltre dieci anni la disposizione ha avuto i suoi effetti: oggi le donne rappresentano il 43% dei componenti delle società quotate; percentuale che tuttavia scende al 33% se invece andiamo a comprendere anche le imprese non quotate con fatturato superiore al milione, con il restante 67% che è ancora al maschile.
Le aziende quotate, insomma, si sono adeguate seguendo l’obbligo di legge, e le cosiddette “quote rosa” sono notevolmente aumentate rispetto al passato. Tuttavia, stando ai dati SDA Bocconi, c’è sempre una minore rappresentanza rispetto alle non quotate.
“Sì, le donne sono il 43% dei componenti dei CDA delle società quotate”, commenta Cristina Mezzanotte, “ma sono poche nei ruoli apicali di governance e gestione dell’azienda. Anche le leggi danno una mano, ma le donne sanno crescere per merito. Questo è stato il vero motivo che ha visto le donne protagoniste del recente aumento dei dirigenti privati, cresciuti negli ultimi 15 anni del 6,9%, solo con l’aumento delle donne del 91,7%, contro il calo degli uomini del 4,6%”.
Rispetto alla differenza tra società quotate e non quotate, la Mezzanotte spiega che “nelle quotate abbiamo raggiunto il quorum di legge, ma solo il 4% è presidente. Siamo nella stanza dei bottoni, ma con una percentuale esigua”.