Marco Tullio Giordana in questo film va giù nel personale, niente collettività, ogni scena scava l’individuo, i conti ce li fa fare con le nostre madri, con i padri, con i legami, con le famiglie che ci partoriscono e poi ci tengono o ci sputano.
“La vita accanto è il mio film più personale, guardate cosa vi dico. Non lo ripeterò più a nessuno, tanto nessuno sta registrando.”
Io registravo, mi perdoni, ma una frase così me la sarei ricordata comunque. Fa per andarsene. “Ho scoperto da poco che sono passati quarantaquattro anni dal mio debutto, sono un sacco di tempo. Credo di aver immagazzinato le influenze di tutti i cineasti del mondo e di non saperli nemmeno più riconoscere. In me c’è stato Scola, Bellocchio, Visconti, Valerio Zurlini. E mi fa sorridere quando i critici dicono che nei film ci vedono questo o quell’altro, perché nei film di cosa vuoi parlare se non di famiglia e di amore, di vita, del giorno per giorno? Per La vita accanto abbiamo finito le riprese prima del previsto, io sono uno che spesso anticipa rispetto alla media dei colleghi che sforano sempre. Alla fine, però, mi sembrava mancasse una scena. Ho chiesto a Bellocchio se si potesse girare, una in più. Girala mi ha detto, senza esitare. Ho apprezzato molto, la maggior parte dei produttori avrebbe detto che andava bene così e si sarebbe tenuto in tasca i soldi avanzati”.
Gli chiedo anch’io una cosa: se gira i film con l’intenzione di parlare anche al momento storico in cui escono e non solo al pubblico, se c’è o no il bisogno di aderire a un tempo. “Gli artisti devono inevitabilmente raccontare il loro tempo perché è lì che agiscono, dovrebbero anzi andare oltre il loro tempo, anticipare. Non so se è il caso di questo film, che è un viaggio nell’anima, non è un viaggio nella storia, anche se c’è, la storia. Certo sono cambiati i riferimenti di quegli anni, anche l’importanza della chiesa è cambiata, ma i meccanismi di afflizione dell’anima, il dolore e il riscatto per venirne fuori, sono gli stessi di oggi”.
Se ne va. “Se avete altre cose da chiedermi, scrivetemi”. Saluta. Applausi.
Mentre lascia la sala e supera le tende di velluto mi alzo di corsa per chiedergli semmai dove scrivergli. Tentenna, sento che sta per darmi un contatto personale e non lo fa, trattiene, magari ho colto male.
“Lei scriva qui al cinema e loro me la girano. Ma non mi mandi una sceneggiatura, per carità”. Confido nell’Eden, e non parlo di fede.
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Photo credits: rbcasting.com