Basso costo non significa più bassa qualità

Il termine “low cost” si usa dagli anni Novanta per indicare aziende che in quegli anni hanno iniziato ad avere successo con modelli di business improntati sulla convenienza di prezzo; IKEA e RyanAir su tutte. In generale, un prezzo basso non è solo il frutto del taglio ai margini o alla qualità del prodotto, ma […]

Il termine “low cost” si usa dagli anni Novanta per indicare aziende che in quegli anni hanno iniziato ad avere successo con modelli di business improntati sulla convenienza di prezzo; IKEA e RyanAir su tutte.

In generale, un prezzo basso non è solo il frutto del taglio ai margini o alla qualità del prodotto, ma si ottiene anche scorporando dall’offerta alcune componenti di costo: trasporto e montaggio per i mobili, bevande e scelta del posto per i viaggi aerei. Ciò presuppone un cambiamento nelle attese del cliente, in precedenza abituato a un diverso livello di servizio.

Low cost, non “low service”: il consumo diventa democratico

I pionieri del low cost hanno scommesso che il cliente si sarebbe adeguato a un sistema nuovo pur di avere una convenienza economica. E a giudicare dai successi diffusi in altri settori – dai discount ai servizi di cura dentale, per esempio – la sfida sembrerebbe vinta.

Ma ora forse è arrivato un punto di svolta: è in atto un’evoluzione per cui il cliente sembra più attento ed esigente.  Abituato da Amazon a un modello che coniuga prezzi bassi e servizio eccellente, pare che il cliente oggi si aspetti non solo un low cost, ma anche un “high value”.

Anche grazie ai millennials, che non hanno vissuto i tempi pre-low cost e per i quali è ovvio poter spendere poco, il mercato è maturato e impone una maggiore attenzione al cliente senza rinunciare alla convenienza dei prezzi. Secondo la nuova accezione, dunque, low cost non vuol dire “cheap”, ma “essenziale”: la traduzione in italiano di no frills, niente fronzoli. Spendo poco, ma rinuncio a qualche servizio che in realtà non mi serve poi tanto, e al limite se lo voglio lo pago. La bibita in aereo mi costa un po’, ma forse è anche un di più a cui rinuncio volentieri.

E low cost non significa necessariamente “low service”: il servizio può essere comunque presente, ma erogato in modalità diversa (online o tramite QR code, dove inquadro con lo smartphone e trovo le informazioni che mi servono). Esempio principe ne è il check-in online, un modo per risparmiare personale con il fai-da-te del cliente.

Che il mercato stia cambiando lo dimostrano i fatti: da poco sono nati interessanti modelli di business basati sul low cost come obiettivo finale, ma con alle spalle un’azienda dotata di una struttura di costo appositamente creata con quel fine, radicalmente diversa da quelle tradizionali. È il caso di Warby Parker, azienda americana che ha sfidato il gigante mondiale Luxottica con un sistema per cui gli occhiali si scelgono online, si provano e ricevono a casa e costano meno di $100 (circa un quarto del prezzo medio pagato nei negozi di ottica).

Fondata nel 2010 da tre studenti di Philadelphia come semplice e-commerce, nel 2003 Warby Parker ha aperto un negozio a New York e oggi ne conta 64 in tutti gli USA, per un fatturato di circa cento milioni di dollari. Mentre molti retailer tradizionali decidono di vendere anche online (è il fenomeno del brick-to-click), in questo caso è successo esattamente il contrario. “Ogni idea comincia da un problema, e il nostro era semplice: gli occhiali costano troppo”, si legge sul sito aziendale. “Il settore dell’occhialeria è dominato da un’unica azienda che ha potuto tenere i prezzi artificialmente alti e ricavare enormi profitti dai consumatori, che non hanno alternative”.

In coerenza con un ideale di consumo democratico, questi Robin Hood della vista hanno anche una coscienza sociale: sostengono di aver regalato oltre tre milioni di occhiali a persone bisognose che non si possono permettere neppure i loro prezzi low cost.

Il gigante Golia di Luxottica insidiato dai tre studenti-Davide della Pennsylvania? Per ora sembra che fatichino a produrre utili, ma staremo a vedere che succede. Warby Parker continua a crescere senza perdere l’attenzione al cliente, con piccoli gesti di simpatia come l’includere in ogni pacco spedito intorno a Natale un kit-sorpresa per decorare un pupazzo di neve, con tanto di carota, sassolini e bottoni.

Amazon, modello per tutti i settori

Sembra essere ormai chiaro che il modello da seguire è quello di Amazon: prezzi bassi ma altissima qualità del servizio. Che non è solo frutto di tecnologia avanzata, ma anche di attenzione al fattore umano, secondo i famosi 14 principi tra i quali figurano: passione per il cliente, assumere e far crescere i migliori, pensare in grande.

Amazon diventa quindi punto di riferimento per un livello di servizio che i clienti sperimentano e che ritengono possibile e irrinunciabile. Esiste una sorta di “proprietà transitiva” tra i settori, per cui se Amazon può consegnare in poche ore, non è più accettabile che certe compagnie assicurative si prendano fino a 48 giorni per dare una risposta: l’asticella del servizio atteso si è definitivamente alzata. Il cliente non è più un suddito e lo dimostra cambiando assicurazione, scegliendo magari una cosiddetta “telefonica”, o sfogandosi sui social media.

Giusto o sbagliato che sia, è bene accettare la realtà: come disse qualche tempo fa Antonino Cannavacciuolo a una platea di colleghi cuochi, allarmati e critici nei confronti delle recensioni sui social, “Rassegnatevi: Tripadvisor non chiude!”.

Altra considerazione è il superamento dei cluster sociali: non ci sono più clienti del tutto low cost o del tutto orientati al lusso. Per alcune cose siamo low cost, per altre ci piace spendere, secondo lo slogan usato dai marketers “Zara-Vuitton”: compro la borsa firmata ma non disdegno il pantalone fast-fashion; per alcune cose spendo, per altre no. Nessuno si vergogna del low cost, che anzi è una scelta accettabile e smart anche per chi potrebbe permettersi altro.

Inoltre, anche se i dati e le ricerche di mercato faticano a dare risposte condivise, è poco probabile che il low cost cannibalizzi i settori tradizionali, perché grazie a esso solitamente si crea nuova domanda.

Airbnb non ha portato via clienti agli hotel, ma generato un traffico di persone che prima non potevano permettersi di viaggiare: quindi ha aumentato il fatturato globale dell’industria del turismo. Più che portar via fette di torta, l’ha ampliata.

Un nuovo tipo di consumo

In conclusione, chi scrive ritiene che il low cost sia un bene per la società in generale, perché democratizza i consumi e crea una sana concorrenza con i modelli di business tradizionali (anche se Luxottica difficilmente verrà infastidita dagli startupper americani).

Ma attenzione: low cost / high value è un concetto che le aziende devono comunicare e spiegare meglio, perché ha un limite di credibilità. Se ci si definisce high value bisogna anche farne capire al cliente i modi e i motivi, con grande trasparenza sulla struttura di costo e sull’organizzazione interna.

Il cliente vuole comprendere cosa succede all’interno delle aziende, in una forma di alleanza che supera gli antichi schemi. Anche se forse qualcuno non se ne è accorto, sono ormai passati quasi vent’anni dal Cluetrain Manifesto, le 95 tesi sui nuovi modelli generati dalla rivoluzione di Internet, le quali in sintesi recitano che “non siamo spettatori, né occhi, né utenti finali, né consumatori; siamo esseri umani e la nostra influenza va al di là della vostra capacità di presa”. Il cliente si è decisamente evoluto.

Insomma, abbassare i prezzi non basta. Il low cost è un’opportunità per i clienti, per le aziende e per la società, ma è una strategia articolata che richiede una visione chiara e un’esecuzione precisa.

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