Campare d’arte e morire di banalità

Un’artista trapiantata a Berlino e un critico d’arte milanese vivono la mesta epica degli operai della cultura nel libro “La vita adulta” di Andrea Inglese. Ecco la nostra recensione.

A un certo punto, intorno al 2013 o giù di lì, sembrava che tutti si fossero trasferiti a Berlino. Chi era già partito invitava gli amici a raggiungerlo. Chi non l’aveva ancora fatto ci pensava su. Giornalisti culturali, grafici, artisti multimediali, operatori della comunicazione si erano spostati in massa nella capitale tedesca, in fuga dalla precarietà italiana e dalle collaborazioni malpagate.

Della capitale tedesca magnificavano gli affitti a basso costo, il fermento culturale, i quartieri che ribollivano di opportunità e occasioni di incontro, famiglie giovani e padri con i pargoli nel marsupio in ogni angolo. Sull’argomento ci si confrontava alle cene tra amici; sui giornali uscivano articoli e approfondimenti.

La vita adulta, un romanzo dissacrante sul mondo dell’arte

Il romanzo La vita adulta di Andrea Inglese (Ponte alle Grazie, 372 pagine, 16,80 euro) è ambientato nel 2013, e una delle sue protagoniste – l’artista e performer Nina Dumo – ha scelto di vivere proprio a Berlino.

Nina, trentenne, ha avuto un discreto successo in campo artistico da giovanissima; dopo la fase milanese e la fase newyorkese la troviamo nella città dove è “possibile vivere nonostante un basso regime lavorativo”.

Nina lavora part time come commessa in un negozio di dischi in vinile, fa saltuariamente la cameriera per un’agenzia di catering, le capita di guadagnare da forme di prostituzione autogestita. Della sua vita libertina e del suo autodefinirsi “selvaggia” si parla molto nel romanzo, e il capitolo dedicato a quella volta che le succede “un incidente brutto” è disturbante (una donna che sceglie di vivere una sessualità libera e che si dichiara incapace di leggere i segnali di pericolo è sempre destinata a incappare in “un incidente brutto”?).

Di mestiere critico: quando anche le crisi sono banali

Nella narrazione, fatta di capitoli brevi e precisissimi, le vicende di Nina si alternano a quelle di Tommaso Zappa, critico d’arte milanese, collezionista di collaborazioni precarie, lavori culturali pagati poco e neanche sempre, qualche supplenza a scuola. Alla soglia dei cinquant’anni, Tommaso viene finalmente assunto come redattore in una rivista in perenne fase di rilancio.

Tommaso è “uno sfasato in cerca di vie di fuga”, in piena crisi personale e intellettuale. Gli ingredienti della crisi di mezza età ci sono tutti: le pensose riflessioni sulle ambizioni progressivamente ridimensionate e frustrate, una mezza idea di tradire la moglie con la procace trentenne Dorina e, in seguito, le fantasie sul “culo pieno e sodo” di Nina (fateci caso: nei romanzi scritti dagli uomini, i mariti si sdilinquiscono sempre per donne dai seni pieni e culi sodi) e, soprattutto, lo sghiribizzo di trovare un senso alla propria vita con un deciso cambio di rotta. Niente più chiringuito sulla spiaggia, ora va di moda l’acquisto di un rudere da ristrutturare.

“Tommaso si sentiva di colpo sprofondato in un atavico automatismo piccolo-borghese da impiegatino del catasto che, rimasto latente durante gli anni della giovinezza tra gozzoviglie e sogni di espatri avventurosi, ora lo riacciuffava fatalmente”, scrive Inglese nella sua prosa affilata e irresistibile.

Il rudere, la casa in campagna che notoriamente “viene via con poco” e che per Tommaso diventa addirittura “occasione salvifica”, è nella sua visione il luogo ideale in cui scrivere finalmente “il saggio definitivo sul nesso tra iconoclastia medioevale e arte del Novecento”. Location: la splendida cornice di Sesto San Giovanni, dove la gente è meno stronza che a Milano, o forse “si sente meno investita da un destino speciale o sopraffino”.

La “triade maledetta lavoro-moglie-figli”, la felicità da esibire su Facebook, le carriere bloccate, gli umori altalenanti dei capi, le cupole e le conventicole. Che fatica la vita adulta di Nina e Tommaso, e forse anche la nostra, che non sappiamo più dirci maturi né a trenta né a cinquant’anni e guardiamo alle vite dei nostri padri con sguardo trasognato!

Perché leggere La vita adulta

Narratore divertito e spietato, Andrea Inglese è autore di poesia e di prosa e frequenta il mondo culturale da tempi non sospetti: una posizione ideale da cui fare a pezzi sia il mondo dell’arte, preda di speculazioni, mode passeggere e argomenti del momento da cui cavare l’ennesima performance di successo, e il mondo del lavoro intellettuale, sempre più povero e raffazzonato, schiavo dei soliti opportunismi e della tirannia dei contatti giusti (sul tema vi invito a leggere anche il post di Inglese su Nazione Indiana, di cui è cofondatore).

Chi ha lavorato in ambito culturale – che si tratti dell’organizzazione di una rassegna letteraria di provincia o di farsi carico di un ruolo prestigioso, ma pagato in visibilità – troverà nel libro i tic dei professionisti del settore, molti episodi familiari e una gran quantità di frasi da sottolineare. Una lettura godibile anche per chi non ha mai partecipato a un festival di artisti e musicisti rifugiati a Berlino, perché lo sguardo di Inglese si allarga a tutto il mondo del lavoro di oggi.

Alcuni personaggi che gravitano attorno a Tommaso meriterebbero uno spin-off: Dario, il fratello di Tommaso, bravo a far girare i soldi, ferratissimo nei pagamenti in nero e celebrato per la sua presunta laboriosità, il classico imprenditore che non può staccare mai; per non parlare di Alessia, la figlia di ambasciatori con una rete di contatti mitologica, giornalista, femminista e qualunque titolo o qualifica le capitino a tiro.

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