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Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro: “Cassa integrazione anche agli autonomi per superare la crisi”
L’ex ministro del Lavoro del secondo governo Prodi, in un’intervista esclusiva a SenzaFiltro, parla dei cambiamenti da apportare al welfare in vista della crisi post COVID-19.
La crisi economica figlia del COVID-19 ci ha colpito duramente. Per farvi fronte bisogna puntare sulla formazione e sulle politiche a sostegno delle fasce più deboli: è la ricetta dell’ex ministro del Lavoro e del Welfare Cesare Damiano.
Le ore di cassa integrazione richieste nel 2020 sono state il 1.464% in più rispetto a quelle del 2019 e 3,5 volte tanto le ore autorizzate nel 2010, che fino a poco tempo fa rappresentava il massimo a cui si era arrivati a causa dei postumi della crisi del 2008. Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro con il secondo governo Prodi e oggi a capo dell’associazione Lavoro e Welfare, spiega come da questo dato il governo non possa prescindere nel prendere qualsiasi decisione. Anche quelle immediate che riguardano il blocco dei licenziamenti, che scade il 31 marzo, ma che potrebbe essere prorogato per evitare un’impennata di disoccupati.
«Una misura come il blocco dei licenziamenti – dice Damiano a SenzaFiltro – va sempre accompagnata all’utilizzo della cassa integrazione COVID-19. Le due misure viaggiano in parallelo perché nascono insieme. Il 31 marzo dio non voglia che, come una ghigliottina, si taglino queste due misure, le quali devono essere un abito su misura che veste la crisi pandemica e devono durare tutto il tempo necessario. Non possiamo avere meno cassa integrazione e libertà di licenziamento quando il Coronavirus è in pieno sviluppo.»
L’ex ministro Cesare Damiano: «Il blocco dei licenziamenti va mantenuto»
Il 2020 è stato un anno da record per la cassa integrazione, in cui l’Inps ha autorizzato, sommando la cassa integrazione ordinaria, straordinaria in deroga e il FIS, oltre 4 miliardi e 300 milioni di ore; ma nel 2021 non bisogna abbassare la guardia.
«Se dovessimo tradurre queste ore in persone che concretamente non hanno lavorato», continua Damiano, «potremmo dire che in tutto ci sono stati 2.300.000 lavoratori che hanno usufruito di questo ammortizzatore sociale per un anno intero. Considerato che non tutte le ore richieste vengono utilizzate, con una stima che si aggira attorno al 50%, si può dire che circa un milione di lavoratori è stato assente dalla produzione in tutto l’anno».
Queste persone sono i principali candidati ai licenziamenti, qualora arrivasse lo sblocco. Secondo altre stime si parla di circa 900.000 posti di lavoro a rischio se di colpo si potesse tornare a licenziare. «Se dovesse cessare il blocco – spiega Damiano – questi sarebbero quasi tutti a rischio disoccupazione. Si tratta di un’onda d’urto che nessun governo potrebbe reggere».
Dall’altro lato c’è però il rischio di ingessare in maniera eccessiva il mercato del lavoro, che negli ultimi dodici mesi ha già sofferto restrizioni e limitazioni dovute in primis all’emergenza sanitaria. «Suggerisco al premier incaricato Mario Draghi», dice l’ex ministro, «che mi auguro diventi Presidente del Consiglio perché è l’unico che può affrontare la crisi, di evitare di togliere il blocco. Si possono analizzare gli andamenti dei singoli settori. Nella crisi ci sono ambiti in profonda difficoltà, ad esempio l’alberghiero, ma ci possono essere altre attività che hanno andamento virtuoso perché la crisi richiede maggior consumo di determinati prodotti, come ad esempio i farmaci. Si può pensare a una calibratura diversa, con soluzioni differenti in base ai settori. Non può essere ex lege, ma deve trovare il consenso delle parti sociali. Mi è piaciuta la dichiarazione di Federacciai, che ha detto che la loro intenzione è comunque quella di non licenziare».
I fondi del Recovery Fund? Vanno investiti nel lavoro
I problemi non toccano soltanto i lavoratori dipendenti, ma anche molti autonomi e quanti stanno vivendo una situazione di precariato.
«È evidente – spiega Damiano – che crescono le disuguaglianze e i poveri: vanno tutelati. Mi auguro che il nuovo Recovery Plan ne tenga conto. Il welfare deve diventare una infrastruttura fondamentale. Ursula Von Der Leyen ha tratteggiato in queste parole la caratteristica della nuova fase. Nel 2008 abbiamo risposto con rigore e tagli; oggi dobbiamo rispondere con gli investimenti.»
«Il COVID-19 ci obbliga a fare quello che appariva impensabile. Fino a poco tempo fa la parola debito era messa all’indice. Oggi Draghi distingue tra debito buono e cattivo. In questo periodo gli economisti pensano che l’inflazione possa anche superare il 2%, che diventa un piede di partenza e non più un tetto. Si dice che al primo posto deve tornare la risorsa umana. Non si deve ripetere quella fase del “più licenzio e più il mio titolo sale in borsa”. Il welfare va rivalutato e sostenuto».
Queste politiche di rilancio dello stato sociale non possono non passare dal Recovery Fund, che dovrà fare da volano alla ripresa dell’economia. «Non possiamo prescindere dalla spesa per le infrastrutture, ponti, strade e gallerie. Il ponte Morandi è il simbolo di un capitalismo vorace: al contrario bisogna girare indietro la ruota e avere un capitalismo etico. Mi pare che il bilancio sociale e la conversione ecologica siano diventati un sintomo di qualità. E poi è necessario investire in infrastrutture materiali e immateriali, in reti di comunicazione, per prevenire i disastri idrogeologici dai quali siamo assediati; incrementare la banda larga, la digitalizzazione dell’economia e i fattori di sostegno. L’investimento strategico che guarda al futuro non può essere separato dall’esigenza di tutelare il presente».
«Non si deve quindi rinunciare al sostegno con la cassa integrazione, ai ristori per le attività costrette al lockdown, sulla base del fatturato dichiarato, così che l’evasore avrà meno ristori di chi paga le tasse».
«Il RdC è necessario. Allargare gli ammortizzatori sociali ai non dipendenti»
Il post COVID-19 potrebbe essere un periodo caratterizzato da una crisi economica senza precedenti. Il compito dello Stato è quello di mettere in campo tutte le possibilità per farvi fronte e non abbandonare nessuno. A partire dalla riforma degli ammortizzatori sociali che già ci sono, Reddito di Cittadinanza in primis.
«Quello che ha fatto il passato governo – dice Damiano – con il fondo nuove competenze è importante. La formazione tutela il lavoro, ed è necessario un Reddito di Cittadinanza che vada davvero ai poveri. Prima della cassa COVID-19 avevamo quella tradizionale, pagata da imprese e lavoratori, ma la divisione tra dipendente e indipendente non c’è più. Ci vuole un allargamento della cassa agli autonomi, che deve essere unita alle politiche attive per il lavoro e a una vera formazione, ma anche alla disponibilità al reimpiego da parte del lavoratore con determinate condizioni di equivalenza». Nodo fondamentale di questo passaggio sono i centri per l’impiego, che potranno formare un sistema integrato con le agenzie per il lavoro.
«Sono l’ultimo ministro che ha finanziato i centri per l’impiego, ma sono per l’alleanza tra i centri per l’impiego pubblico e i privati. Penso, per esempio, ad Assolavoro, che riunisce tutti gli erogatori di lavoro somministrati. Non vanno demonizzati i centri per l’impiego, perché molti funzionano bene e trovano lavoro. In Europa ci sono modelli che possiamo seguire, ne ho visti diversi assieme a Tiziano Treu: luoghi ideali di incontro tra domanda e offerta di lavoro».
Photo credits: www.diritto.news
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