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Come parlano le partite Iva sui social?
Dal canneto di bambù ai cinguettii di Twitter, canti di opposte sponde risuonano sul web: i ricchi, i poveri, i virtuosi, i cittadini col senso civico, i delusi, gli speranzosi, gli ansiosi, gli arrabbiati, i demagoghi, i troll, gli haters, i commentatori di fatti altrui; e si va avanti così all’infinito. È una polifonia, quella […]
Dal canneto di bambù ai cinguettii di Twitter, canti di opposte sponde risuonano sul web: i ricchi, i poveri, i virtuosi, i cittadini col senso civico, i delusi, gli speranzosi, gli ansiosi, gli arrabbiati, i demagoghi, i troll, gli haters, i commentatori di fatti altrui; e si va avanti così all’infinito.
È una polifonia, quella delle partite Iva, fatta di allegretti e gravi, picchi di volume e commenti andanti. Non trovo un modo migliore per descrivere la piccola analisi comunicativa che ho condotto in questi giorni, costruendo un’intera partitura fatta delle “posizioni” e dei sentiment che i cittadini italiani hanno espresso sui media in merito al bonus di 600 euro.
Nel caos sinfonico ho riconosciuto dei veri e propri profili con stili comunicativi affini e focalizzati su aspetti diversi, per scoprire che la razionalizzazione tra partite Iva ricche e partite Iva povere, comunicativamente parlando, è troppo ridotta per spiegare il sentiment e l’intenzione che si cela dietro la richiesta del bonus e la rinuncia al bonus. Insomma, c’è ben altro. C’è un sistema di valori, c’è un credo, c’è raziocinio (non sempre), c’è speranza, c’è delusione, e sì, ci sono anche i soldi e la condizione economica dispari.
Conosciamoli, questi profili di partite Iva: ho scelto alcune figure che ne incarnano stile comunicativo e valori.
La comunicazione delle partite Iva sui social, tipo per tipo
La partita che “fa”. Lui parla solo perché qualcuno ha saputo della sua rinuncia e lo ha voluto scrivere sul giornale: il coltivatore diretto di canne da bambù Ivan Beltrame che rinuncia ai 600 euro. Nel suo dire non manca l’osservazione “io non sono ricco ma c’è chi ha più bisogno di me”, e sembra che questo stile sia secco e verace, fatto di pochissime dichiarazioni. Si fa e basta, come quei macellai campani che il mese scorso lo hanno dichiarato tramite associazione di categoria: gli altri ne hanno più bisogno di noi che possiamo restare aperti.
Le partite che “tacciono ma prendono”. Loro invece non dicono una parola. Per loro parlano gli ordini o l’esperto – e parla pure poco. Sono quei 353 notai che hanno chiesto il bonus da 600 euro, destando i commenti tonanti di tutto il popolo di Twitter e non solo. Le motivazioni per le quali non scandalizzarsi sono spiegate qui, e non entriamo nel merito di quanto sia più o meno giusta la richiesta. Ma da un punto di vista comunicativo ciò significa lasciare spazio agli utenti di modellare autonomamente il sentiment in rete, seguendo un approccio stereotipato su idee pregresse (“i notai sono tutti ricchi”).
Segue immagine esplicativa di come la gente ha reagito alla notizia:
La partita che “la virtù si racconta”. E se pensiamo che raccontare la rinuncia sia una buona idea, basta dare un’occhiata all’account Instagram di Nunzia De Girolamo, che, già ministra e passata alla carriera in TV, sbaglia completamente modalità di comunicazione e pubblica un video sulla sua rinuncia al bonus da 600 euro. La maggior parte dei commenti negativi, davvero pesanti, è stata rimossa; ma ne ho beccato uno, forse sfuggito al social media manager, che racconta bene il tenore medio del sentiment (pre-censura).
L’errore piuttosto banale della De Girolamo è nel non aver considerato che la rinuncia ha valore se comporta un rischio proporzionale al proprio stile di vita. Se il coltivatore diretto non riceve i 600 euro e questo comporta un rischio per lui, quel gesto ha valore nel significato orizzontale che produce. Non ha importanza se effettivamente impoverisca o meno donare, nel caso del coltivatore; ha importanza che lui e il macellaio siano percepiti nel medesimo bacino sociale del pubblico web che poi commenta il gesto. L’urgenza comunicativa tipica di chi ha un’immagine pubblica comporta spesso una scarsissima consapevolezza della dimensione contestuale della comunicazione. In altre parole, un disconoscimento del frame.
In un tweet, ecco come il “popolo social” pensa.
Le partite “piove governo ladro”. La domanda la fanno, i 600 euro li vogliono, ma si sentono già fregati, si percepiscono già sconfitti; non si sa se ne abbiano bisogno o meno, non ha importanza. Il focus della loro comunicazione è l’inadeguatezza del sistema, l’assoluta critica alla tipologia di soluzione e la ricerca del capro espiatorio che di volta in volta si sposta dal governo verso l’INPS, e da loro verso il leggendario Leviatano italiano: la burocrazia. Quest’ultima categoria anima pesantemente i social, occupando il ranking e i topic del web così da far passare in secondo piano persino il dato dei contributi già evasi e ricevuti sui conti correnti (si stima 3,2 milioni già erogati, secondo quanto riportato dal profilo Twitter di La7 il 18 Aprile). Alcuni esempi sul tenore dei commenti:
Il gap nella comunicazione istituzionale
Ma da cosa dipende questa “comunicazione della sconfitta”? La spiegazione ancora una volta è semplice, fenomeno già conosciuto ma ancora estremamente attuale, più che mai nel contesto COVID-19. Si tratta del gap comunicativo tra la comunicazione istituzionale apicale (i vertici del governo) e le comunicazioni di trincea, che invece sono quelle degli istituti/enti erogatori come l’INPS, che rispondono a tempi di tipo tecnico. Oggi il governo dice “arrivano i soldi”, domani l’ente risponde “fate domanda e vi diamo un numero di protocollo”. Si crea una crasi tra chi dice e chi fa, e si chiede al cittadino lo sforzo di colmarla di buon senso, di nuovo senza considerare il frame in cui il cittadino sta vivendo, né il tipo di competenza comunicativa che possiede.
Sì, perché nel contesto alterato dal COVID-19 un dato emerge fra tutti: è cresciuto il senso di istantaneità e di contingenza del comunicare. A fronte di un forte senso dell’attesa per tutte le attività offline, non siamo più disposti ad aspettare tempi non pianificati con chiarezza nella comunicazione.
Ciò che stiamo vivendo con la questione delle partite Iva, perciò, non è altro che la rappresentazione di un fenomeno molto preciso, cartina tornasole dell’intollerabile: l’ancestrale distanza tra il dire e il fare. E mentre siamo impegnati a risolvere questa distanza e a correre a una velocità – quella del web e della comunicazione di superficie – che mai potremo raggiungere (se non testando un sistema educativo che renda consapevoli da subito i futuri cittadini/utenti), la coscienza comune e la civiltà si infrangono di fronte a tutti coloro i quali, con un conto in banca da favola, hanno chiesto e ricevuto un contributo che per alcuni questo mese significava invece sostentamento.
Per riflettere, per chi non lo avesse visto, segnalo il servizio di La7 del 24 aprile. Un anonimo impiegato di banca che racconta chi ha preso cosa dei suoi correntisti. Ecco, questo sì che orienta l’opinione pubblica, al di là della competenza comunicativa, verso un profondo senso di sfiducia verso l’interlocutore.
Stareste a sentire o parlereste con qualcuno le cui parole sono sempre in contraddizione con le azioni che compie?
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