COVID-19, cervelli in fuga e genitori italiani: la speranza è che non tornino

Le prospettive future legate al lavoro e allo studio dei giovani all’estero sono tra i problemi economici posti dalla pandemia da COVID-19. Se, da un lato, la diffusione dello smart working e dell’insegnamento a distanza è stata intesa come una garanzia tanto per la salute quanto per il lavoro, la precarietà insita in molti contratti […]

Le prospettive future legate al lavoro e allo studio dei giovani all’estero sono tra i problemi economici posti dalla pandemia da COVID-19. Se, da un lato, la diffusione dello smart working e dell’insegnamento a distanza è stata intesa come una garanzia tanto per la salute quanto per il lavoro, la precarietà insita in molti contratti di lavoro genera preoccupazione per il futuro anche tra le famiglie transnazionali.

 

Giovani italiani all’estero a rischio disoccupazione

Del resto, la preoccupazione per il futuro di tanti giovani migranti emerge anche dalle considerazioni del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE), che ha stimato in 100.000 il numero di rientri in Italia nei prossimi mesi a causa della «probabile chiusura di piccole e medie imprese e alle difficoltà a cui andranno incontro lavoratori autonomi, lavoratori interinali con qualificati profili professionali, occupati nella filiera della gastronomia e ristorazione italiana, manodopera stagionale e frontalieri».

Inoltre è probabile riscontrare «una maggiore propensione al rientro da parte dei connazionali di più recente emigrazione, trasferitisi negli ultimi 3-5 anni e non ancora definitivamente integrati nel tessuto socioculturale dei Paesi di arrivo. Al contrario di coloro che vantano un maggior periodo di residenza all’estero, che presuppone livelli di integrazione maggiori e quindi di minor propensione al rientro» (fonte: CGIE al Governo: Reddito di emergenza per italiani all’estero, 6 aprile 2020, www.sitocgie.com).

Si aggiungono due studiosi – Enrico Pugliese e Rodolfo Ricci – che sottolineano il grave rischio occupazionale per gli italiani all’estero, soprattutto tra coloro che appartengono alle nuove mobilità: «Camerieri, commessi di attività commerciali, impiegati in istituti di ricerca, collaboratori di studi di archistar, per i quali la condizione precaria è la norma. E al lavoro precario regolato si aggiunge anche all’estero il lavoro nero. Non si tratta solo della chiusura dei ristoranti, ma ad esempio anche della intera filiera alimentare, che in Paesi come la Germania occupa decine di migliaia di nuovi emigranti italiani. E ci sono situazioni analoghe nel commercio, nelle attività di servizio e altro» (E. Pugliese e R. Ricci, “Solidarietà per gli emigranti, solidarietà per gli immigrati”, Il Manifesto, 14 aprile 2020).

E, tuttavia, come giustamente ha ricordato Delfina Licata in una recente intervista: «Lo scenario è sicuramente cambiato, ma è prematuro dire come. I dati sono attualmente confusi e c’è bisogno di una sistematizzazione, e soprattutto che passi il momento convulso dovuto all’emergenza che stiamo vivendo. Per noi studiosi ora l’attesa è la cosa migliore per capire cosa sta succedendo in uno scenario sconvolto anche dal punto di vista della mobilità italiana» (“Gli effetti della pandemia sull’emigrazione italiana all’estero”, Ask@news, 4 giugno 2020).

 

Voci dalla community dei genitori di chi studia e lavora all’estero: nell’emergenza, tutto il mondo è Paese

Anche nella community mammedicervellinfuga.com ansia e preoccupazione per il futuro dei figli all’estero sono stati temi ricorrenti, sia durante il periodo di pandemia sia nei mesi successivi al lockdown. Attraverso un’analisi preliminare del dibattito online che si è svolto tra i partecipanti, abbiamo estrapolato le principali disposizioni d’animo (sentiment) e riflessioni con cui le famiglie transnazionali affrontano il futuro dei propri expat.

Nei primi mesi di pandemia, la convivenza con l’ansia è andata ben oltre la sfera legata alla salute proiettandosi sui progetti di vita e di lavoro dei figli all’estero, come hanno scritto due madri: «Mia figlia è a Londra, ha perso il lavoro. Cosa succederà ora? L’ansia mi prende la gola» (Fernanda); «mia figlia a Canterbury, lei e il suo compagno hanno perso il lavoro a causa del COVID; sono preoccupati per l’affitto, chissà se potranno chiedere un aiuto» (Agnese).

La testimonianza Micaela, poi, sintetizza una concatenazione diperdite” che si sono venute a creare a seguito della pandemia: «Mio figlio è tornato in Italia da Hangzhou con l’intenzione di rimanere a casa solo per le festività del Capodanno cinese. Con la chiusura delle frontiere dalla Cina ha perso il lavoro: insegnava pianoforte in una scuola di musica internazionale e non gli hanno rinnovato il contratto. Gli avevano dato un appartamento in uso, di cui non può più disporre, e ora non ha idea di come fare per recuperare la sua roba che è rimasta lì dentro, incluso computer e macchina fotografica professionale».

La brusca interruzione delle attività ha causato incertezza per il futuro. Il dottorato del figlio di Caterina è stato interrotto, con tutto quel che ne consegue: mancato pagamento dello stipendio, chiusura del laboratorio e incertezza sulla eventuale ripresa. Roberta ci dice che il suo ragazzo ha un contratto come ricercatore per un progetto finanziato dalla UE, che scadrà tra pochi mesi. La pandemia ha bloccato progetti e mobilità lavorativa, a cui molti di questi ragazzi sono abituati, e si teme che sarà sempre più difficile cogliere eventuali nuove opportunità di lavoro.

Il senso di precarietà già insito in alcune situazioni lavorative è aumentato, come testimoniato da alcuni interventi: «Mio figlio sta facendo uno stage di 6 mesi N26 a Berlino e sperava in una assunzione al termine. Invece gli hanno prolungato lo stage di 3 mesi e poi si vedrà. Meglio di niente però… Teniamo presente che la Germania sembra la nazione messa meglio in Europa!!» (Barbara).

Anche chi sembrerebbe al riparo dalla perdita del lavoro non si sente al sicuro: «Mia figlia lavora a Londra per una importante casa di produzione cinematografica, assunta a tempo indeterminato. Ma si tratta di una compagnia americana, non locale, che potrebbe decidere in qualsiasi momento di non investire più nelle sue sedi all’estero» (Simona). Lo stesso vale per i figli di Luisella, assunti a tempo indeterminato nel quadro della dirigenza ma in società internazionali, non locali. Queste società potrebbero non avere più convenienza a tenere aperte le loro filiali all’estero, o potrebbero effettuare riduzioni di personale, a causa delle perdite di fatturato dovute alla pandemia.

 

Speriamo che restino all’estero: le speranze dei genitori degli expat

Sembrano casi isolati, ma non lo sono, soprattutto nei settori economici che il CGIE annoverava. Passato il momento emergenziale per la salute e la sicurezza e lo shock per la perdita improvvisa del lavoro, una legittima preoccupazione emerge tra le famiglie: prima, tra tutte, la preoccupazione per la perdita del lavoro da parte degli stessi genitori.

Ad esempio, scrive Emanuela: «Mia figlia studia e il prossimo anno scolastico sarà a Berlino. La preoccupazione è per noi genitori, che speriamo di non perdere il lavoro, ma faremo sicuramente cassa integrazione, e poi per lei che vuole fare piccoli lavoretti per mantenersi. Non è un momento facile». Lo stesso vale per Lorena, che ha «tre figlie, la più grande sta facendo un dottorato, quindi è già autonoma, ma le altre due studiano in Italia ma fuori sede. Siamo davvero preoccupati, in base alle nostre entrate avevamo programmato anche le spese, faremo di tutto per farle terminare il loro percorso ma sia io che mio marito siamo due partite Iva … chiusura totale per entrambi a marzo e aprile. Io ho riaperto a maggio, per mio marito la ripresa è ancora molto lenta. Speriamo bene».

Anche tra i giovani che non hanno perso il lavoro c’è chi ha vissuto situazioni di ristrettezza economica dovuta alla riduzione delle ore di lavoro e dello stipendio, magari in un momento in cui avevano assunto impegni quale un mutuo per l’acquisto della casa, racconta Rita.

La sensazione che emerge dagli interventi raccolti mostra una preoccupazione generale, sia tra chi ha una situazione stabile sia tra chi vive realtà più precarie. Più di un genitore, però, ribadisce la speranza che i propri figli riescano a rimanere all’estero, realizzandosi al meglio nonostante il difficile momento che stiamo tutti vivendo.

 

 

Il testo è stato elaborato da Brunella Rallo e Simonetta Zezza di www.mammedicervellinfuga.com

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