Disoccupati over 40: a loro chi ci pensa?

Per molti è una tragedia; per altri, molto pochi, un’opportunità. E nell’era della parola resilienza, inflazionata e usata spesso a sproposito, chi fa l’esperienza di perdere il lavoro, qualsiasi tipo di lavoro, dopo i 40 anni, racconta di vite messe duramente alla prova e spesso andate in pezzi. Tutti sono bravi nel dire che chi […]

Per molti è una tragedia; per altri, molto pochi, un’opportunità. E nell’era della parola resilienza, inflazionata e usata spesso a sproposito, chi fa l’esperienza di perdere il lavoro, qualsiasi tipo di lavoro, dopo i 40 anni, racconta di vite messe duramente alla prova e spesso andate in pezzi. Tutti sono bravi nel dire che chi ha una certa età, e ha alle spalle esperienza, dedizione al lavoro, capacità e serietà, può portare valore aggiunto ad aziende e interi settori, ma spesso questo pensiero non si traduce in reali occasioni di impiego, e la disoccupazione giovanile prende il posto in prima fila.

 

Disoccupati over 40, l’abbandono di un’intera generazione

Alessandro Ciucci ha perso il lavoro da grande, come dice lui, quando suo figlio era ancora adolescente. Poco tempo dopo anche sua moglie, per uno strano capriccio del destino, è stata licenziata. Si sono trovati così sperduti e senza la minima idea di che cosa fare per rimediare a quella situazione che, come dice spesso Ciucci, “se non la provi non la puoi né capire né descrivere”.

La prima cosa che succede, e questa è un’affermazione che viene condivisa da molte persone nella stessa situazione, è la perdita degli amici. “Tu sei diventato – ci spiega Ciucci – quello che loro non vorrebbero mai essere: un fallito”. Triste ma vero: il vecchio detto degli amici che si vedono nel momento del bisogno potrebbe essere rovesciato negli amici che, nel momento del vero bisogno, scappano.

La notizia del momento è la diminuzione della disoccupazione in Italia al 9,9%. Però andrebbe considerato il numero dei disoccupati over 40 che lamentano la “discriminazione per età” quando sono alla ricerca attiva di lavoro, mandano curriculum e cercano il reinserimento. La dimensione del problema è allarmante, come da tempo urla il presidente dell’associazione “Lavoro over 40” Giuseppe Zaffarano: “Solo nel 2018 i disoccupati della fascia tra 35 e 44 anni erano 920.000, con una percentuale del 21,9%, mentre la fascia successiva, 45-54, era di 1.034.000 con una percentuale del 24,6%.”

Gli inoccupati over 40/50 soffrono, a ragione, della sindrome da discriminazione per età. Sono troppo giovani per la pensione e troppo vecchi per lavorare ed essere assunti con contratti dignitosi. Sempre Ciucci ci dice: “Io accetto di tutto, e accetterei di tutto pur di lavorare, ma nella maggior parte dei casi le offerte sono davvero deprimenti”. Da operaio a cottimo a bracciante per la raccolta della frutta, passando per piccole richieste di specializzati in vendite o manutenzione.

Difficilmente si riesce a fare un colloquio consono al titolo di studio. L’esperienza di Giulia Migliardi è uno dei tanti esempi. “Io sono laureata in Scienze statistiche, lavoravo in un ingrosso e mi piaceva gestire l’online a modo mio. Ho perso il lavoro, ma mai la dignità e la voglia di mettermi in gioco; ho trovato impiego in una cooperativa di produzione frutta, nel magazzino, e ho fatto 2 anni e mezzo di rinnovi. Da full time sono passata a part time; poi, finito l’ultimo contratto, il nulla”. Ma ci si continua a dare da fare anche solo per 3,10 € l’ora di rimborso spese.

 

La resilienza? Questione di allenamento. E si può ricominciare a qualsiasi età

Sulla questione occupazionale di una generazione “cerniera” abbiamo anche chiacchierato con Odile Robotti, che con il libro Il magico potere di ricominciare crea una grande speranza in tutte le persone che devono rialzarsi dopo una brutta caduta. Quando le abbiamo chiesto conto della parola resilienza, ormai troppo abusata, lei ha risposto disarmante: “Con resilienza si intende la capacità di ‘rimbalzo emotivo’, cioè di riprendersi dopo un dispiacere, un insuccesso, una delusione. Credo sia diventata di moda perché la crisi economica ha distribuito dispiaceri generalizzati per quanto riguarda il lavoro. Spesso si sente dire che queste sconfitte devono essere superate velocemente perché ‘se no è peggio’. È vero, ma per essere resilienti ci vuole allenamento, non incitamento. Per fortuna la resilienza non è una quantità fissa, come dice l’esperto Adam Grant, ma si può espandere. La domanda che le persone dovrebbero farsi è quindi come aumentare la propria resilienza in modo da non farsi trovare impreparati”.

I suoi consigli sull’argomento sono molto mirati, e quando le ho chiesto da dove si inizia la sua risposta è stata: “L’atteggiamento che paga di più, lo dico sulla base della mia esperienza come coach, è quello delle persone che non hanno paura di fare un passo indietro prima di farne molti in avanti, cioè che non temono le sfide dei nuovi inizi. Ho visto laureati prendere mansioni da diplomati e riuscire in pochi mesi a dimostrare il proprio valore. Ho visto persone fare corsi che li portavano a mille miglia di distanza dalla loro area di competenza, ma che poi riuscivano ad affermarsi in un nuovo campo. E ho visto persone che dopo anni non avevano ancora trovato nulla, perché quello che cercavano ormai non serviva più. Ricordiamoci che si possono imparare cose nuove a tutte le età. Rifiutiamo la tirannia del mito declinista‘, secondo il quale dopo una certa età, 50 o anche 40 anni, le persone inizino un declino cognitivo. Alcune capacità cognitive hanno un picco anche dopo i 40 anni, e in ogni caso le persone un po’ più mature hanno molto da offrire in termini di equilibrio, capacità di comunicare e di relazionarsi”.

 

 

Photo by Martin Reisch on Unsplash

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