Distretti, dove l’industria è nell’aria

Michael Porter la considerava un’intuizione fondamentale su cui basare la strategia competitiva “Le nazioni hanno successo non in settori industriali isolati, bensì in cluster di industrie che sono fra di loro connessi mediante relazioni verticali e orizzontali” (On Competition, 1998). Noi abbiamo fondato buona parte del tessuto imprenditoriale su questo modello, tanto che ancora oggi si […]

Michael Porter la considerava un’intuizione fondamentale su cui basare la strategia competitiva “Le nazioni hanno successo non in settori industriali isolati, bensì in cluster di industrie che sono fra di loro connessi mediante relazioni verticali e orizzontali” (On Competition, 1998). Noi abbiamo fondato buona parte del tessuto imprenditoriale su questo modello, tanto che ancora oggi si contano ben 141 distretti in Italia (Istat) ed essi rappresentano un quarto del sistema produttivo del Paese, sia in termini di numerosità, che di unità produttive e di addetti. Ogni distretto in media è formato da 15 Comuni ed è presidiato da 8.173 unità locali che danno lavoro a 34.663 addetti.

Adesso però ci troviamo a un punto di svolta. Dopo aver cercato di sopravvivere in questi ultimi otto anni, occorre chiedersi chi e come avrà la forza per iniziare di nuovo a correre. Partiamo da questo: in un decennio, dal 2001, sono scomparsi 40 distretti. La competizione di paesi con un basso costo del lavoro e la crisi globale hanno bruciato un quinto della capacità produttiva con conseguente perdita di posti di lavoro e di interi patrimoni culturali che quei territori storicamente esprimevano. È successo, ad esempio, al distretto dei bottoni, che nelle province di Bergamo e Brescia contava centinaia di aziende e migliaia di addetti. Complici la concorrenza cinese e turca e la scelta di tanti nel settore moda di delocalizzare all’estero la produzione, oggi quella che veniva definita la button valley non esiste più.

Altri resistono, ma sono fortemente danneggiati dalla concorrenza sleale, come nel caso del distretto del vetro artistico di Murano che deve combattere contro la contraffazione dei propri prodotti e che ha visto ridursi a un terzo gli addetti per impresa rispetto agli anni 70.

La geografia dei distretti è diffusa e copre 15 Regioni. Il Nord-Est, però, è considerata l’area territoriale di riferimento del modello distrettuale italiano e in particolare Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna con i loro 70 distretti rappresentano da sole il 50% del totale. Nove distretti su dieci sono specializzati nel Made in Italy: la meccanica; il tessile e abbigliamento; i beni per la casa; le pelli, il cuoio e le calzature; l’alimentare; la gioielleria, l’oreficeria e gli strumenti musicali.

Una composizione variegata fatta di attività piccole e piccolissime con pochi addetti. La questione dimensionale è un elemento critico perché indice di vulnerabilità ed è quindi indispensabile un’evoluzione verso dimensioni più adeguate alla competitività dei mercati. È forse ancora presto per dirlo, ma i primi segnali indicano una maggiore tenuta dei distretti rispetto alle aree in cui essi non sono presenti. Già nel 2013 il loro fatturato a prezzi correnti è tornato a crescere, seppur lievemente, mostrando un progresso prossimo all’1% (Rapporto di Intesa Sanpaolo).

“I segnali di vitalità e di ripresa ci sono – spiega Luca Giusti, Presidente di Unionfiliere – ma non sarà per tornare alle condizioni di 10-15 anni fa. La ripresa partirà con presupposti molto diversi”. Il primo fra tutti riguarda lo sviluppo di politiche di internazionalizzazione che in una realtà distrettuale può avere maggiori facilitazioni dovute alle sinergie e alla collaborazione fra aziende piccole e realtà di maggiori dimensioni: “Le aziende che si sono aperte ai mercati internazionali hanno, infatti, registrato già un alto tasso di crescita” conclude Giusti. Il modello funziona se sa evolversi, senza rinunciare ai punti di forza che gli hanno consentito di fare la differenza sinora, la creatività, la flessibilità e la specializzazione, dando ragione ad Alfred Marshall che sosteneva che “in certi posti l’industria è nell’aria”.

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