Donne sbagliate nel posto giusto

Non sai quanto una “sliding door” possa cambiarti la vita, ma se sali sul treno sbagliato a volte succede che non vada così male. Nell’epoca delle soft skill e dei recruiter che paradossalmente vogliono (ancora) solo professionisti dannatamente “in linea” con la ricerca che è stata commissionata loro, è forse possibile cambiare prospettiva: mettere la persona […]

Non sai quanto una “sliding door” possa cambiarti la vita, ma se sali sul treno sbagliato a volte succede che non vada così male.

Nell’epoca delle soft skill e dei recruiter che paradossalmente vogliono (ancora) solo professionisti dannatamente “in linea” con la ricerca che è stata commissionata loro, è forse possibile cambiare prospettiva: mettere la persona non allineata e perciò “sbagliata” nel posto giusto potrebbe rivelarsi la soluzione ottimale e magari rivoluzionaria.

Se anche Elio Germano a Berlino, dopo essere stato premiato con l’Orso d’argento come miglior attore per l’interpretazione del pittore Antonio Ligabue, ha dedicato il suo premio “a tutti gli storti, a tutti gli sbagliati”, è molto probabile che il cambio di prospettiva risulti davvero vincente.

 

Margrethe Vestager contro i giganti del digitale

Partendo magari da Margrethe Vestager, danese della sinistra radicale che dal 2014 è commissaria europea per la concorrenza: arriva dalla piccola Danimarca, che vanta poco più di 5 milioni di abitanti, ritrovandosi dal 2014 alla guida di una battaglia che pare proprio uno scontro in grande stile, evocando Davide contro Golia.

Al suo cospetto, a Bruxelles, i nomi altisonanti della gig economy si sono presentati pensando di dover rispondere a una semplice formalità, di dover risolvere una sorta di trascurabile vizio di forma, o di cortocircuito sistemabile rapidamente dai loro super efficienti uffici legali da multinazionale. Certo che l’obiettivo da raggiungere per Margrethe pareva impossibile da realizzare: costringere i giganti a pagare all’Europa il dovuto in termini di tasse.

C’erano tutti: Amazon, Facebook, Apple, Fiat, Gazprom, Starbucks, ma lei non si è fatta piegare, portando persino Tim Cook, CEO di Apple, a sborsare 13 miliardi di euro in favore dell’Irlanda, nazione in cui la casa di Cupertino ha catapultato la propria sede fiscale europea, allettata dall’idea di un’imposizione fiscale che definire leggera pare quasi riduttivo.

Margrethe rappresenta tutte le donne forti, tenaci e che non si fermano davanti ai giganti dei tempi, che fatturano cifre da capogiro ma non hanno alcuna intenzione di perdere la testa e scervellarsi per pagare il dovuto.

Dal Nord Europa una grande lezione di donna “sbagliata” al posto giusto.

 

Russia: o madri o lavoratrici

In un altro Nord, quello rappresentato dalla Russia, le donne sono l’àncora di salvezza per il Paese per risolvere due problemi non indifferenti: diminuzione delle nascite e carenza di forza lavoro.

Nel 2017 il settimanale Internazionale riprese un articolo della giornalista moscovita Ludmilla Aleksandrova che riportava le parole dell’allora Ministro dello Sviluppo Economico russo, Maksim Oreshkin. Partecipando a un dibattito sul ruolo delle donne in Russia per la crescita e lo sviluppo dell’economia, Oreshkin aveva affermato testualmente: “Il ruolo delle donne per l’economia nazionale è destinato ad aumentare. In Russia le donne che vanno in maternità hanno meno possibilità di fare carriera sia a causa del tempo che perdono sia per l’impossibilità di salire di grado quando se ne presenta l’occasione”.

Facciamo il tifo per loro affinché entrino con rinnovato dinamismo in una società che le vede ancora troppo poco protagoniste. E se il cambiamento culturale finalmente arriverà sarà grazie alle donne: donne sbagliate (per i politici russi) al posto giusto.

 

La resilienza di Carolina Bussadori

Ma se a nord del mondo abbiamo riportato storie conosciute, dal sud del mondo ci piace raccontare una storia un po’ meno nota: quella di Carolina, che dal Sudamerica (nel dettaglio dall’Argentina) è arrivata in Italia.

“Nel 2001 la nostra famiglia di imprenditori dalla mattina alla sera si è ritrovata a perdere tutto a causa della grave crisi economica che colpiva l’Argentina, e così con mio marito abbiamo deciso di venire in Italia, precisamente in Umbria. Nonostante avessi la cittadinanza italiana – con i miei nonni paterni di Modena e materni di Città di Castello – e fossi laureata, ho fatto fatica a trovare lavoro non appena ci siamo trasferiti in quella regione molto chiusa e referenziale, come ho già raccontato proprio in un mio articolo su questo giornale.”

Il marito di Carolina dopo tre giorni in Italia trova subito lavoro, mentre a lei occorre un anno. In diversi, se non quasi in tutti i colloqui, una domanda le viene posta immancabilmente: “Vuoi avere figli?”.

Carolina arriva in Italia a 23 anni e queste domande la colgono tutt’altro che impreparata. “Dopo un anno ho trovato lavoro in una società di consulenza di Firenze per la vendita dei loro prodotti e servizi. Ho iniziato a lavorare con loro, ma poi ho deciso di lasciare il mio primo lavoro pur non avendo un’alternativa, perché c’erano troppe criticità. Invece nei successivi lavori che ho trovato, non appena mi chiedevo se non fosse giunto il momento di cambiare, mi arrivava una nuova offerta di lavoro, ma poi nel 2010 ho deciso di mettermi in proprio”.

Carolina decide di intraprendere la sua nuova carriera professionale basandosi sulle sue competenze in risorse umane e organizzazione aziendale: “La parte soft delle risorse umane: come gestire una persona, come motivare la persona giusta al posto giusto”. Inizia così a studiare i potenziali strumenti a supporto della sua attività, andando alla ricerca di qualcosa di innovativo che, soprattutto, non fosse ancora presente sul mercato italiano. E così scopre PDA.

“È un assessment comportamentale di cui oggi sono distributore esclusivo: non è stato facile. Ho macinato tanti chilometri, bussato a tantissime porte, con faccia tosta, senza chiedermi che cosa avrebbero pensato dall’altra parte, insistendo, consapevole che io lavoravo da sola, non c’era nessun grande nome alle mie spalle, ero semplicemente Carolina Bussadori. Rimanevo concreta nell’esposizione, senza fare tanti giri di parole, trovando le soluzioni necessarie in modo semplice. Adesso lo strumento è conosciuto”. Carolina, da sola, con le sue forze, con la sua tigna, senza paura è riuscita a entrare anche da clienti di fama internazionale, come per esempio “Marelli, Data Logic, Sisal e altri con cui siamo ancora in fase di trattativa”.

L’Umbria non è strategica per muoversi sia con l’auto che con il treno, e secondo Carolina a livello logistico è un disastro. “Ma non lascio l’Umbria, perché come qualità della vita per me rimane unica; dovrebbero esserci dei vantaggi importanti per traslocare da qui, ma non ne ho trovati.”

Carolina si sente la donna sbagliata al posto giusto: “Ho dovuto stravolgere completamente il mio modo di fare per ottenere risultati. Resilienza e spirito di adattamento credo di averli nel DNA”.

 

Nadia, italiana in UK ai tempi della Brexit

Nadia lavora nel retail come store manager da poco più di 20 anni e ha avuto l’opportunità professionale di lavorare a Londra tra il 2010 e il 2016, sempre come store manager per Cucinelli, Fedeli nei loro negozi diretti e poi nello showroom di Vespa.

Dopo un breve ritorno in Italia a Varese, per avvicinarsi ai suoi cari, dallo scorso anno è rientrata in UK, prima a Birmingham dove vive il suo ragazzo e poi a Guildford, cittadina inglese a 30 minuti di treno da Londra, dove è store manager del Negozio Peak Performance specializzato in abbigliamento sportivo, con un occhio di riguardo agli amanti del golf e dello sci. Il marchio da qualche tempo ha iniziato una collaborazione con Ben Gorham, svedese di madre indiana e padre canadese, ex cestista a creatore di profumi e designer di tendenza.

Mentre la chiamo Nadia è influenzata. Non è un bel momento per un’italiana all’estero, oggi. È difficile dover convivere anche con una semplice influenza, senza preoccuparsene: “In realtà mi sono attivata subito chiamando il numero del servizio sanitario nazionale con una mini diagnosi al telefono, e dopo diverse domande sui miei viaggi recenti, avendo la residenza a Birmingham, dove sono stata prima di venire qui, mi hanno indirizzato verso i walking center, dove vai nel caso tu non sia registrato: non sono dei pronto soccorso, ma degli uffici medici, ed è come se andassi dal tuo medico di famiglia. Volevo essere tranquillizzata perché ero un po’ spaventata: una volta arrivata ho detto che ero stata mandata dal 911 e il medico dopo avermi visitato mi ha detto: ‘Non sei a rischio coronavirus, non prendere antibiotici e ti occorreranno almeno due settimane per guarire’”.

Mi chiedo se in piena Brexit ormai ci siano difficoltà oggettive per chi come lei si trova lì in UK: “Dopo tre mesi qui ho fatto subito richiesta di residenza, e non ci sono sostanzialmente problemi. Al momento i contributi che versi in UK poi possono essere recuperati in Italia come anni di lavoro. Poi non si sa”.

Da donna sbagliata al posto giusto Nadia, a ruota libera, decide di sfatare qualche mito: “Gli inglesi non sono puntuali, il loro quarto d’ora accademico c’è sempre. Negli uffici pubblici come in Italia fai le code, ma loro sono più ordinati nel saper aspettare, sono più disciplinati e non lamentosi: se c’è qualcuno che si lamenta o è italiano o è francese. E ancora: qui le ferrovie sono totalmente private, costano molto ma l’efficienza è come quella italiana. Sulla sanità, come concetto non esiste la prevenzione: ti curi solo quando hai effettivamente bisogno. Una cosa è certa, però: gli inglesi sono very polite, educati, rispettosi”.

Personalmente, sono da sempre un cultore della meritocrazia di matrice anglosassone, la possibilità di salire al vertice pur arrivando dalla middle class, ma Nadia afferma: “Per le posizioni dirigenziali, se ambisci a una posizione di vertice devi aver frequentato determinate scuole, altrimenti non ci arriverai mai: se non frequenti una certa scuola primaria non puoi accedere a una certa scuola secondaria, non puoi andare in un certo college o in una determinata università.

In Italia le scuole pubbliche funzionano, qui in UK molto meno. Paradossalmente credo sia più facile scalare posizioni per un italiano con meno possibilità economiche rispetto a un inglese che ha frequentato le scuole pubbliche, il cui livello qui è davvero molto basso”.

Le chiedo se si sente una donna sbagliata, al posto giusto: “Nel retail gli italiani sono considerati molto bene, molto adatti nel settore del servizio clienti, ed è un vantaggio, ma allo stesso tempo devi sempre dimostrare qualcosa in più, con lo scotto di essere donna e anche italiana. Mi manca la nostra qualità della vita, ma tutto sommato ora una parte di me è british. Brexit o non Brexit”.

 

 

Photo by Andrej Lišakov on Unsplash

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