Editoriale 02. Qualcosa è cambiato

“Ti trovo cambiato”. Sono tre parole che restano lì, un po’ appese perché non capiamo mai se sia un bene oppure no che da fuori ci vedano diversi. Un po’ ci infastidisce, un po’ ci esalta. Resta il fatto che non sembriamo più quelli di prima, di certo qualcosa è cambiato. “Ti trovo cambiato da […]

“Ti trovo cambiato”. Sono tre parole che restano lì, un po’ appese perché non capiamo mai se sia un bene oppure no che da fuori ci vedano diversi. Un po’ ci infastidisce, un po’ ci esalta. Resta il fatto che non sembriamo più quelli di prima, di certo qualcosa è cambiato.

“Ti trovo cambiato da quando fai quel lavoro”. Se però ci dicono dove e quando siamo cambiati, se cioè ci forniscono un parametro, la storia cambia verso perché possiamo capire e argomentare. Ogni cambiamento ha bisogno di una direzione.

Comunque sì, ci siamo spostati se teniamo fisso il fatto che poche cose ci trasformano come il lavoro che facciamo. Ma vale anche il contrario?

Il secondo numero di Senza Filtro è andato proprio a chiedersi se siamo capaci di cambiarlo noi il lavoro e non solo di subirlo aspettando quel Godot che fa comodo ai pigri.

Abbiamo chiesto ai collaboratori di questo numero di raccontarci cosa si è mosso in Italia e nel mondo mentre i teorici del change management stanno ancora lì a suggerire la strada migliore.

In redazione abbiamo approfittato di un tema così elastico e pur avendone sfruttato tutta la flessibilità per dedicargli spazio in ogni sezione del giornale non lo abbiamo deformato. Anche quando leggerete delle mance del Presidente Mattarella al bar della Corte Costituzionale e vi verrà il dubbio che abbia poco a che fare con questo tema portante, andate avanti perché farete un salto fin negli Stati Uniti e capirete. E poi sicurezza del lavoro, social selling, ancora partite IVA, fundraising, contratti a tutele crescenti, persino Sanremo.

Quando si salta da una vita professionale a un’altra si è soliti dire “sai, ho cambiato lavoro” ma il tono poggia sempre sull’incerto perché quando salti senti prima il vuoto. Spero che ognuno di noi, prima o poi, guadagni la stima di se stesso per la trasformazione grande o piccola di cui sarà capace e arrivi finalmente a dire “sai, ho cambiato il lavoro”.

CONDIVIDI

Leggi anche

Editoriale 114. Il silenzio degli indigenti

Spesa minima, vita accettabile: qualsiasi definizione andiate a cercare per capire la povertà a parole, vi imbatterete in qualcosa di simile prima di cadere tra le variabili che servono al calcolatore ISTAT per incasellarci tra i poveri assoluti oppure no: poveri che si sono triplicati negli ultimi 15 anni, passando dal 3,7% delle famiglie nel […]

Editoriale 81. A museo duro

Come li vogliamo, insomma, questi turisti? Forse sarebbe una buona domanda.  Mi fa pensare a quando alcuni anni fa mi ritrovai a parlare di immigrati con il Presidente di un’associazione che curava la loro accoglienza e sistemazione in Italia. Si era trovato a verificare di persona l’inserimento in un paese non troppo grande e a […]

Vedi Napoli

“Ho pensato che dopo un viaggio così lungo foste troppo stanchi per mettervi a cucinare” ci disse – porgendoci una teglia di lasagne – la portinaia del palazzo al nostro arrivo quando, nel 1971, con i miei genitori ci trasferimmo nella città in cui mettemmo definitivamente le radici. Il lavoro a Napoli è un tema complesso […]