I lavoratori delle fiere di paese sono in ginocchio. Marrigo Rosato, segretario nazionale dell’Associazione Nazionale Ambulanti: “È vero, il sommerso c’è e c’è stato, ma adesso non ci sostiene nessuno”.
I centri storici svenduti alla pandemia
La pandemia ha devastato il tessuto economico e sociale dei centri cittadini: in futuro meno imprese e turismo. Basterà un PNRR per invertire la tendenza?
L’emergenza COVID-19 si è abbattuta in maniera drammatica sul nostro sistema di imprese, colpendo in particolare le filiere del turismo e della ristorazione, che nei momenti più acuti della pandemia hanno azzerato i loro fatturati. Ma sono state colpite anche moltissime imprese del commercio al dettaglio e del comparto del tempo libero (attività artistiche, sportive e di intrattenimento), che hanno chiuso definitivamente.
Il 2020 si è concluso con una perdita di consumi di 129 miliardi di euro a cui ha contribuito principalmente la componente dei servizi, per effetto delle misure restrittive che hanno impedito lo svolgimento dell’attività alle imprese che operano in quel segmento di offerta.
Commercio al dettaglio, nelle città la pandemia premia i piccoli
La crisi ha colpito il Paese da Nord a Sud, da Est a Ovest, ma è soprattutto nelle città – spesso in quelle più grandi – che si è fatta sentire con particolare intensità.
D’altra parte tra città e attività economiche intercorre un antico e duraturo legame, perché è indubbia la loro funzione sociale e di servizio e la capacità di creare relazioni di prossimità tra persone ed economie locali. Valori emersi con maggior vigore in epoca di pandemia, quando le piccole e medie imprese urbane si sono dimostrate presidi indispensabili per il benessere collettivo, per la qualità della vita e per l’immagine delle aree urbane.
In un contesto simile, le politiche urbane e territoriali hanno una grande responsabilità nel definire le nuove centralità degli spazi urbani. Per tale motivo andrà ricercata una nuova capacità di pianificazione, adattiva e meno burocratica, per dare risposte alle nuove esigenze contingenti e arginare la perdita di funzioni nelle città, garantendo la presenza di esercizi commerciali, servizi, verde e spazi pubblici nei quartieri periferici e favorendo la residenzialità nei centri storici. Insomma, c’è bisogno di ambiziosi progetti di rigenerazione urbana che portino a un nuovo equilibrio dopo lo tsunami della pandemia.
Al fine di rafforzare il ruolo del commercio di prossimità nei processi di rigenerazione urbana, è necessario agire congiuntamente con le amministrazioni pubbliche per condividere preliminarmente obiettivi e azioni di sviluppo urbano ed economico. C’è bisogno di allargare il campo della conoscenza in materia di innovazione, turismo, commercio e pianificazione urbana, anche in chiave europea, con l’obiettivo di affrontare in maniera integrata le sfide emerse con la pandemia.
Meno commercio, meno turismo: se domani le imprese spariranno dalla città
L’evoluzione della demografia d’impresa nelle città presenta molte luci e moltissime ombre.
Spariscono più rapidamente negozi fissi e ambulanti, ma le città attirano turismo, relazioni, convivialità, ricreazione e cultura, esattamente i settori più colpiti dalla pandemia. Se ieri il quadro era caratterizzato da meno commercio e più turismo, domani con tutta probabilità sarà meno commercio e meno turismo, con inediti problemi di equilibrio nella vita sociale dentro le città – e in particolare dentro i centri storici.
Da anni assistiamo a una tendenza di riduzione dei negozi, fissi e ambulanti, che ha a che fare con una specie di selezione naturale che colpisce i marginali: escono imprenditori della vecchia guardia degli ultimi due decenni del secolo scorso, entrano i giovani. Purtroppo sono più quelli che escono di quelli che entrano. I livelli dei canoni di locazione sono l’indicatore della vitalità della città piuttosto che un oneroso costo fisso per l’esercente, a indicare che se l’economia cittadina è vitale i soldi per pagare un affitto elevato si trovano; se al contrario la città langue, non si trovano neppure per pagare un affitto modesto.
In genere durante le crisi il numero di negozi si riduce, ma fatica a risalire durante la ripresa, anche perché la ripresa da noi è sempre stata debole. Il nostro problema oggi è che a causa del congelamento dell’economia non siamo in grado di valutare immediatamente la riduzione ulteriore di tessuto commerciale che ci aspetta e che impatterà sulle città, in particolare quelle a maggiore vocazione turistica.
La rarefazione di commercio e servizi nei centri storici
Qui si apre la vertenza dei centri storici. Si tratta di una questione eccezionalmente rilevante perché ha a che vedere con il tema di come vivremo nel futuro prossimo.
Una prima evidenza meritevole di attenzione è la riduzione del commercio al dettaglio in sede fissa nei centri storici, solo leggermente superiore a quella al di fuori. Ma qui il conteggio deve tener conto dei vincoli dello sviluppo commerciale nei centri storici, dove l’effetto sostituzione tra piccole e grandi superfici è tecnicamente molto difficile. È per questa ragione che, relativamente al commercio fisso, le riduzioni nei centri pesano di più proprio perché si traducono in riduzione dei livelli di servizio.
Il futuro è un’incognita difficile da decifrare: soprattutto nei centri storici delle città si osserverà una riduzione delle attività legate al turismo. Tuttavia non si può affermare con certezza che questa riduzione – che si registrerà nell’anno in corso – sarà permanente. È un’eventualità che non si può escludere. La ripresa del settore dipenderà sia dal livello degli aiuti pubblici sia dalla capacità delle singole aziende di intraprendere iniziative di cambiamento della gestione dell’impresa e dei modelli di business (sicurezza sanitaria, asporto, delivery).
Anche prima della pandemia il tessuto commerciale dei centri storici stava cambiando. Continua a tenere bene la numerosità dei negozi di base, come gli alimentari, anche per l’evoluzione verso forme più vicine alla ristorazione che alla vendita, e quelli che oltre a soddisfare bisogni primari svolgono nuove funzioni (ad esempio le tabaccherie, ormai punti di supporto alla gestione di tante esigenze anche finanziarie delle famiglie).
Cambiano i consumi, cambiano i centri storici. E il futuro?
Significativi sono anche i grandi cambiamenti legati alle modificazioni dei consumi: tecnologia, comunicazioni e farmacie. Queste ultime sono diventate centri di benessere piuttosto che punti di approvvigionamento dei tradizionali medicinali. Il resto dei settori merceologici è in rapida discesa, mentre i negozi di beni tradizionali si spostano nei centri commerciali e comunque fuori dai centri storici: mobili e ferramenta, giocattoli, vestiario, pompe di benzina, con riduzioni attorno o oltre il 20% negli ultimi dieci anni. È importante notare che la pandemia acuisce queste dinamiche e lo fa con una precisione quasi chirurgica. I settori che hanno tenuto o che stavano crescendo cresceranno ancora, quelli in declino rischiano di scomparire definitivamente dai centri storici.
Il quadro delle attività nei centri storici va completato con la fenomenologia che riguarda alberghi, bar e ristoranti. Per queste attività il futuro è totalmente privo di certezze, soprattutto nei centri storici delle città medio-grandi. Mentre ieri il tema centrale riguardava il rischio di città “solo per turisti”, dove i negozi scomparivano e crescevano bar e ristoranti, da oggi la questione è come immaginare un centro storico con meno negozi, meno mercati e meno attività legate al turismo e alla convivialità. Il rischio desertificazione assume quindi un profilo molto diverso da quello del passato.
Tutto questo richiede modelli di governance urbana che, con il contributo di chi nella città vive e lavora, guardino al medio-lungo termine e siano realmente capaci di dare risposte concrete all’economia reale e alla vita quotidiana dei cittadini e degli imprenditori. Sarebbe utile anche un aggiornamento post COVID-19 dell’Agenda urbana per rafforzare la resilienza delle città e delle loro economie, consentire una vita di relazioni in sicurezza, favorire l’innovazione e la digitalizzazione dei sistemi economici e valorizzare gli aspetti culturali e identitari in una nuova dimensione di “prossimità urbana”.
In tale ambito diventa fondamentale che una parte dell’ingente quantità di risorse mobilitate dall’Unione europea per affrontare la crisi sanitaria, attraverso l’iniziativa Next Generation EU e il PNRR, siano destinate a sostenere progettualità condivise di sviluppo urbano ed economico, definite dagli attori economici e sociali locali con le rispettive amministrazioni di riferimento.
Il commercio ci conta.
In copertina un bar affacciato sul centro storico di Siena. Foto di Giulio Di Meo
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