I clienti siamo noi? Poveri lavoratori

In Italia più di sette lavoratori su dieci operano nei servizi. La nostra recensione del saggio della sociologa Giovanna Fullin, che abbiamo intervistato: il suo libro indaga la loro situazione attraverso dati, analisi e testimonianze

22.10.2023
La copertina del libro "I clienti siamo noi" di Giovanna Fullin

Nessun operatore di call center è stato maltrattato durante la stesura di questo articolo.

Spero di non farlo neanche la prossima volta che riceverò la telefonata (sgradita) di qualcuno che tenta di farmi cambiare gestore di energia elettrica o di investire in criptovalute, in barba alla mia iscrizione al tanto strombazzato Registro delle Opposizioni.

Di questo esercito di telefonisti sull’orlo di una crisi di nervi si parlava molto diversi anni fa: il romanzo tragicomico di Michela Murgia Il mondo deve sapere è del 2006, la commedia agrodolce di Paolo Virzì Tutta la vita davanti uscì due anni dopo. Oggi, di questa categoria di lavoratori parliamo molto meno. Sembrano spariti dal dibattito. Eppure le loro condizioni di lavoro non sono migliorate, e di sicuro noi non abbiamo smesso di dare rispostacce a chi sta dall’altra parte del telefono.

“Io ho cambiato il mio modo di rispondere agli operatori dei call center da quando ho cominciato a studiarli”, mi dice Giovanna Fullin, docente di Sociologia del Lavoro all’Università di Milano Bicocca. Il suo saggio I clienti siamo noi. Il lavoro nella società dei servizi, pubblicato dalla casa editrice il Mulino, arriva in libreria in questi giorni. Una corposa e puntuale disamina delle attività di servizio al cliente, con dati, riflessioni e testimonianze dirette di baristi, camerieri, estetiste, commesse, receptionist.

I clienti siamo noi, saggio sui lavoratori dei servizi (sempre più invisibili)

In Italia più di sette lavoratori su dieci lavorano nei servizi. Li incontriamo tutti i giorni, quando prendiamo un caffè al bar o facciamo un pranzo veloce al fast food. Li incontriamo così spesso che finiamo per non vederli più.

“Nelle società più ricche siamo sempre più abituati ad avere attorno lavoratori dei servizi, quindi tendiamo a vederli sempre meno, diventano trasparenti ai nostri occhi. Questo libro è nato con lo scopo di rendere più visibili ai clienti i lavoratori e le lavoratrici che li servono, anche per sollecitare un atteggiamento diverso verso di loro. Poi, è vero, spesso gli operatori del call center ci disturbano”, prosegue Fullin.

Se i lavoratori sembrano scomparire, i clienti sembrano sempre più inclini a prendersi la scena. Durante la pandemia sono diventati a volte aggressivi, tra l’obbligo di indossare la mascherina e le norme di distanziamento da rispettare. Passata l’emergenza, non tutto è tornato a posto. Abbiamo una gran voglia di lamentarci, di giudicare, di mettere i voti al lavoro altrui. Pubblichiamo cattive recensioni online e, nei casi più estremi, arriviamo a invocare il licenziamento di chi non ci ha servito come avrebbe dovuto.

“‘Il cliente ha sempre ragione’ è un concetto che abbiamo interiorizzato. Se vado in un luogo e pago per un servizio, mi aspetto che chi è di fronte a me sia davvero al mio servizio. Se qualcosa va storto, me la prendo con lui, senza pensare che fa parte di un’organizzazione e che non tutto dipende da lui. A volte questi lavoratori diventano persone con cui sfogarsi, su cui scaricare il nervosismo. Questo rende il loro lavoro molto faticoso”, dice Fullin.

Clienti, nel bene e nel male

Il libro di Giovanna Fullin ospita le testimonianze di un campione di lavoratori di servizi al cliente, raccolte tramite contatti personali, passaparola e associazioni sindacali. Il tema delle molestie sul lavoro emerge con forza dai racconti delle lavoratrici.

“Ha sorpreso anche me”, dice Fullin, “il tema è emerso dalle interviste con una frequenza impressionante. Si tratta di un fenomeno pervasivo e diffuso nei contesti più insospettabili. Ne ho voluto parlare perché mi sono accorta che moltissime ragazze – le molestie sono quasi sempre rivolte alle lavoratrici – tendono a dare per scontato approcci indesiderati da parte dei clienti. Battute a doppio senso, occhiate, contatti fisici indesiderati. Alcuni datori di lavoro minimizzano, dicono che ‘fa parte del lavoro’. Lo trovo inaccettabile, bisogna parlarne di più”.

In definitiva, i lavori di servizio al cliente sono buoni o cattivi lavori? La domanda attraversa tutto il libro, difficile giungere a una risposta univoca. Chiedo all’autrice se, durante la stesura del libro, abbia scoperto qualcosa di sorprendente sui lavori che stava prendendo in esame. Mi risponde di essere rimasta colpita dalla ricchezza della relazione tra lavoratori e clienti.

“In certe situazioni, come al bancone del bar o alla cassa del supermercato, gli scambi possono essere brevi, eppure sono la ricchezza di questi impieghi, anche se allo stesso tempo rendono vulnerabili i lavoratori”.

Penso di nuovo al mondo dei call center. Mi è capitato di rispondere a chiamate di numeri sconosciuti e trovare all’altro capo una voce registrata. La professoressa boccia senza appello questa scelta che le aziende sembrano compiere sempre più spesso. “Credo proprio che nessuno rimanga ad ascoltare la voce registrata per più di due secondi. I servizi passano attraverso la relazione tra due persone, mettere una voce registrata fa cadere la comunicazione. Non si può fare a meno della relazione personale, da lì passano le emozioni, gli aspetti intangibili che sono propri delle relazioni umane”.

Il futuro del lavoro è nel senso che riveste

Al termine della nostra conversazione, chiedo a Giovanna Fullin, dal suo punto di osservazione privilegiato di studiosa di sociologia del lavoro, dove sta andando il mondo del lavoro.

“Non ho una risposta definitiva”, mi dice. “Con la pandemia le persone hanno riflettuto sul lavoro o l’hanno cambiato, soprattutto quelli che lavoravano nei servizi al cliente, per via degli orari faticosi. In Italia c’è un problema di cattive condizioni di impiego e di cattive retribuzioni per queste figure professionali. I giovani non hanno voglia di lavorare? No, i giovani cercano condizioni di impiego migliori di quelle che vengono offerte loro e spesso finiscono a fare lavori di ripiego. Non ci sono abbastanza opportunità di lavoro qualificato, questo è un problema strutturale. È vero che stiamo in parte cambiando il nostro approccio al lavoro – facciamo remote working, abbiamo una maggiore attenzione per l’equilibro lavoro-vita privata – ma non credo che ci sarà un cambio epocale nel posto che il lavoro occupa nelle nostre vite”.

“Il lavoro rappresenta un ambito di realizzazione importante, occupa in media otto ore al giorno della nostra vita, e in quelle ore le persone vogliono fare qualcosa che abbia senso per loro. Nei lavori di servizio al cliente, la soddisfazione del cliente è un’importante fonte di senso. Non stiamo mettendo il lavoro all’ultimo posto nella graduatoria delle cose importanti della vita”.

CONDIVIDI

Leggi anche

Italiani all’estero: una questione di rappresentanza

Il “sì” al referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari ha ottenuto un consenso molto ampio nel voto estero. Un paradosso, perché questi elettori sono di gran lunga i meno rappresentati. Come si spiega il fenomeno? E cosa accade negli altri paesi? di Paolo Balduzzi e Maria Chiara Prodi Chi rappresenta i sei milioni di italiani […]