I giovani milanesi non conoscono la fabbrica

Un grido d’allarme si alza da gran parte delle imprese manifatturiere di tutto il Nord Italia: mancano numerosi lavoratori e tecnici professionali da inserire nelle aree di produzione. Secondo le statistiche, nelle tre province lombarde di Bergamo, Brescia e Lecco c’è un mismatching di oltre il 35%, tra offerta e domanda di lavoro nelle professioni […]

Un grido d’allarme si alza da gran parte delle imprese manifatturiere di tutto il Nord Italia: mancano numerosi lavoratori e tecnici professionali da inserire nelle aree di produzione.

Secondo le statistiche, nelle tre province lombarde di Bergamo, Brescia e Lecco c’è un mismatching di oltre il 35%, tra offerta e domanda di lavoro nelle professioni più richieste dall’industria metalmeccanica avanzata. La ritardata comprensione di fenomeni tra loro collegati ha portato a questa drammatica situazione. A titolo di esempio, si parla della diminuzione della natalità; della deprofessionalità delle scuole tecniche (a differenza del sistema tedesco, che negli ultimi anni le ha potenziate); di un sistema culturale contrario all’occupazione in fabbrica (meglio rider che operaio).

Solo adesso le imprese hanno iniziato a comprendere che devono escogitare delle soluzioni se non desiderano trovarsi in situazioni ben più drammatiche nei prossimi anni.

 

Le academy aziendali

Una delle soluzioni maggiormente adottate in questo periodo è la costituzione di academy aziendali. Si tratta di un espediente che consente di strutturare percorsi formativi interni fornendo competenze sia ai nuovi assunti sia agli attuali dipendenti, programmando la loro acquisizione di conoscenze. L’academy ha anche un favorevole impatto di immagine, in quanto rende l’azienda un soggetto sensibile alla progressione formativa del personale e del suo know how.

Il limite di tale soluzione è quello di essere appannaggio delle grandi imprese. Introdotta praticamente in tutte le multinazionali, il modello si è man mano trasferito alle aziende di medie dimensioni, ma è praticamente inaccessibile alle piccole imprese, che non possono permettersi strutture formative dedicate. Anche la costituzione di centri formativi di distretto o di filiera ha avuto esiti incerti e non sempre positivi, ma è sicuramente un’opportunità che dovrebbe essere ripresa coinvolgendo e vincolando la partecipazione delle imprese di dimensione minore. In altre parole: in un’academy aziendale l’assunzione al termine del periodo formativo è garantita; nei centri formativi di distretto non esiste un’analoga certezza, il che li rende meno ambiti per i giovani in cerca di occupazione.

 

Aziende alla ricerca di designer. Finalmente

Sono mesi che periodicamente imprenditori o responsabili delle risorse umane tampinano me e i miei colleghi di dipartimento per contattare alcuni degli studenti più meritevoli scelti tra quelli che non intendono proseguire gli studi per conseguire la laurea magistrale. Sono laureati in design in una delle migliori università di design del mondo: la quinta, per la precisione, secondo l’ultimo ranking internazionale attendibile.

Era ora che l’industria lombarda iniziasse a comprendere l’elevato potenziale di un nostro studente. Mi auguro che siano definitivamente tramontati i tempi in cui il designer era visto come soggetto creativo dedicato esclusivamente all’ottimizzazione delle forme estetiche del prodotto: oggi il designer è un laureato che interpreta il cambiamento abbinando l’aspetto estetico all’innovazione delle tecnologie digitali e a quella dei materiali, ma soprattutto interpretando le nuove funzioni d’uso dei prodotti e dei servizi a esso collegati.

Nuovi modelli di business, direbbero i colleghi delle school of economics che non riescono a comprendere l’elevato numero di richieste di questa nuova figura professionale e il suo inserimento ai vertici delle strutture aziendali. È l’importanza del design strategico, sono solito ribattere.

Può un giovane laureato cresciuto e formato con questi presupposti accontentarsi di un impiego statico e tradizionale come quello che viene spesso proposto dalle imprese manifatturiere locali? No, non può. Ed è quello che purtroppo sta avvenendo.

Nel periodico sondaggio annuale presso i miei studenti sulle loro aspettative verso il mondo del lavoro che li aspetta, si può osservare il loro forte interessamento (60 % circa egli studenti) a condurre un’esperienza lavorativa all’estero, ma con il desiderio di poter ritornare a svolgere l’attività professionale presso un’azienda italiana, meglio se di grande dimensione. Il rimanente 40% vuole trovare impiego in imprese italiane, anche startup, oppure proseguire gli studi.

 

Far sognare i nuovi giovani dipendenti

Eppure, la prospettiva di entrare negli organici di una piccola e media impresa manifatturiera del settore meccanico non solletica le aspettative di un giovane designer. E purtroppo non è ambita neppure dai loro coetanei che non hanno completato gli studi. Esiste quindi un problema di attrattività delle imprese manifatturiere verso la generazione dei millennial.

Cito sempre l’esempio della professione dei cuochi. Fino a dieci anni fa fare il cuoco era considerato un’attività con poco appeal. Oggi, grazie a vari programmi televisivi, fare il cuoco è diventato cool, e le scuole di cucina registrano sempre il tutto esaurito.

Le imprese industriali devono far tesoro di quest’esperienza e rivedere completamente il loro approccio di recruitment e di presentazione dell’azienda. Non è sufficiente un compenso superiore o proiettare filmati di ambienti di lavoro con operai in camice bianco: per attirare dei giovani nella propria impresa bisogna farli sognare.

Bisogna intervenire in anticipo valorizzando il brand, come nel caso di Cucinelli, presso il quale tutti vogliono andare a lavorare per la qualità dell’ambiente di lavoro (oltre che per la retribuzione superiore a quella della zona). Comprendo la difficoltà di un simile approccio, ma è un processo che va condotto da lontano, nella consapevolezza che senza giovani motivati l’impresa è destinata alla semplice sopravvivenza

È poi indispensabile un intervento nell’organizzazione e nelle prospettive di lavoro. I giovani, se opportunamente motivati, sono disposti a sacrifici elevati. Lo osservo nei ritmi di lavoro delle mie startup, le quali continuano a ricercare nuove soluzioni per far decollare business pieni di difficoltà.

Ma è proprio nell’organizzazione che bisogna intervenire. I giovani vogliono essere coinvolti; vogliono sentire di poter partecipare alle decisioni. Vogliono poter dire la loro e non essere solo un ingranaggio dell’azienda. È questo che racconto agli imprenditori che incontro. Eppure, messi di fronte ai miei studenti, mi accorgo che anche gli imprenditori che spiccano nei loro campi non sono in grado di stimolare la loro fantasia.

 

La creatività al primo posto. Anche nelle imprese industriali

Lo stesso, purtroppo, vale anche per le attività estremamente creative possedute dalla miriade di artigiani unici presenti in Lombardia: orologiai, vetrai, ceramisti, battilastra e molti altri, che hanno una capacità manuale riconosciuta a livello internazionale; infatti le imprese europee vengono nel nostro Paese per trovare le competenze in grado di realizzare i loro prototipi.

Mantenere la competenza artistica e manuale dei nostri artigiani (o piccoli imprenditori) è una scommessa che il Paese rischia di perdere. Non siamo capaci di vendere le nostre competenze. Ci sono riusciti pochi comparti, come nel caso dei liutai di Cremona, che offrono corsi formazione per insegnare a costruire e a riparare violini o strumenti musicali.

Anche questa è una mancanza di visione che coinvolge l’intera classe dirigente nazionale. È un patrimonio che potrebbe essere salvaguardato attraverso un’opera congiunta sia di tipo culturale che normativo. L’artigiano dovrebbe comprendere che forse conviene (socialmente) trasferire i suoi “segreti” a un giovane collaboratore piuttosto che lasciar disperdere tutte le conoscenze accumulate in una vita di lavoro. Dal punto di vista della normativa, invece, si dovrebbero allargare i benefici riservati alle startup anche a queste tipologie di imprese, se si desidera incentivarne la diffusione.

Le opportunità non mancano; spetta a tutti noi saperle cogliere. L’importante è investire sempre sulla valorizzazione delle persone, che è il vero patrimonio di un’impresa, ed è la vera risorsa che fa la differenza in un mercato sempre più globale.

 

 

Credits: Photo by Dane Deaner on Unsplash

CONDIVIDI

Leggi anche