Mancano tecnici specializzati? Aziende, dovete formarli voi

La maggior parte degli studenti ha scelto i licei anche quest’anno, e negli istituti tecnici solo tre ragazzi su cento studieranno per ottenere le competenze più richieste sul mercato. La formazione lavorativa specialistica non può essere una responsabilità della scuola: ecco perché

Tre tecnici specializzati al lavoro in un'azienda

“Il vero problema è che non si riescono a trovare i profili specializzati che le aziende cercano. In tutta questa vicenda, però, rimane sullo sfondo la questione della denatalità e di una popolazione che invecchia sempre di più. Tra il 2004 e il 2022, nella fascia tra i 50 e i 64 anni, i lavoratori in forza sono passati da 4.5 milioni a 8.3. In 18 anni abbiamo 3.8 milioni di lavoratori in più in quella fascia, mentre gli under 35 sono diminuiti da 7.6 a 5.2. Ecco il vero problema del Paese, una fascia di lavoratori che invecchia e pochi giovani che ricambiano, oltre alle competenze che mancano”. La voce è quella di Andrea Prete, presidente di Unioncamere, in un estratto della sua intervista a Radio24 datata 13 settembre.

Un commento che rafforza i dati rappresentati dal bollettino Excelsior proposto proprio da Unioncamere. Nel mese di settembre sono 531.000 i lavoratori ricercati dalle imprese, settemila in più rispetto allo scorso anno. Le difficoltà in termini di selezione si attestano sul 48% complessivo degli inserimenti previsti, con percentuali che crescono fino al 60-70% quando si parla di figure altamente specializzate, come gli ingegneri o i manutentori. Le ragioni secondo le imprese? Mancanza di candidati e preparazione inadeguata, soprattutto in relazione a conduttori di impianti fissi e mobili, attrezzisti, meccanici, tecnici in campo ingegneristico.

Insomma, un film già visto e discusso a lungo, che con SenzaFiltro raccontiamo da ormai qualche anno (con particolare riferimento a tecnici e operai specializzati). L’elemento demografico descritto da Prete è però un focus da considerare, soprattutto se incrociato con il processo di scelta dei percorsi scolastici da parte dei ragazzi.

Il mercato chiede tecnici specializzati, ma i percorsi scolastici sono deserti

Su questo versante il Miur segnala un predominio, anche per l’anno scolastico 2023-2024, dei licei, che continuano a spopolare tra gli studenti, con una percentuale del 57,1%. Gli istituti tecnici, viceversa, pur crescendo dello 0,2% rispetto allo scorso anno si fermano al 30.9%. Ma la vera criticità è che di quel 30.9% una buona fetta è lasciata agli indirizzi economico-amministrativi e, nel calderone del 20.4% rimanente, solo il 2.8% degli studenti ha scelto un percorso in meccanica, meccatronica ed energia. In sostanza solo tre diplomati su cento scelgono strade direttamente proporzionali alla maggior offerta di lavoro nelle aziende produttive, al lordo degli iscritti all’università.

Non che gli istituti professionali se la passino meglio. Le loro iscrizioni sono passate dal 12,7% di un anno fa al 12,1%. E, tra questi, quanti hanno scelto manutenzione e assistenza tecnica? L’1.6%. Nemmeno gli istituti tecnici superiori, percorsi post diploma ponte tra scuola e imprese, riescono a migliorare l’offerta. Sono ancora troppo pochi gli iscritti: il dato di giugno per i 146 ITS recita 25.842 (fonte: Indire.it).

Se a quest’analisi aggiungiamo che, secondo i dati INAIL pubblicati sulla banca dati delle professioni (ultimo triennio protocollato 2019-2021), il 63.7% delle malattie professionali per conduttori di impianti e tecnici specializzati è riconducibile alla fascia d’età tra i 50 e i 64 anni, e che il 14.8% è legato agli over 64, ecco che il quadro generale assume tinte ancor più fosche. D’altro canto, nella mia personale esperienza all’interno di realtà produttive venete – dove l’età anagrafica, complice un turn over molto limitato, è in media piuttosto elevata – le percentuali di limitazioni e prescrizioni mediche legate ai giudizi di idoneità rasentano quasi sempre il 50%. Ciò significa che al mancato ricambio generazionale si aggiungono difficoltà concrete nella gestione attuale degli organici.

Ma le microimprese possono permettersi le assunzioni dei giovani?

A tal proposito, in giugno mi sono recato a Minerbe, estrema periferia della provincia veronese, dove l’amministrazione comunale ha promosso una lodevole iniziativa di incontro tra le imprese, scuole ed enti di formazione. L’obiettivo di medio termine è quello di favorire l’incontro tra domanda e offerta sul territorio, al fine di garantire gli inserimenti richiesti in una zona industriale particolarmente florida. Le aziende si sono dimostrate attente e hanno risposto, nella quasi totalità, all’invito delle istituzioni. Ne è sfociato un dibattito piuttosto scontato, dove il leitmotiv ha cavalcato per lunghi tratti i classici luoghi comuni: i giovani non ci sono o non hanno voglia di lavorare. Oppure: il Reddito di Cittadinanza penalizza le imprese. In sintesi, non si trovano lavoratori.

Va bene; detto che era lecito attendersi un riscontro simile, credo non sia questa la notizia che emerge con forza da incontri di questo tipo. Sono due gli elementi che aiutano ad alimentare la riflessione: il fatto che la stragrande maggioranza dei presenti rappresentava microimprese, che com’è noto costituiscono il 95% delle organizzazioni aziendali italiane, e il contesto derivante dai dati presentati in apertura, deterrente oggettivo alle velleità di crescita.

Ora, sul secondo elemento i confini sono chiari. Sul primo, invece, c’è un evidente tema culturale. Da un lato non possiamo pretendere, per mere ragioni di sostenibilità, che questo tipo di aziende possa contare su direzioni del personale evolute e strutturate. Dall’altro, la carenza di supporto da parte di enti formativi o società in grado di accompagnare i processi di crescita (unita alla mancanza di competenze interne) inficia ulteriormente la possibilità di assumere e trattenere i tanto decantati talenti.

Infine l’aspetto retributivo, che riguarda anche le grandi organizzazioni. Quando si parla di giusto compenso, soprattutto sui tavoli gestiti dalle parti sociali, il riferimento è il CCNL. Prendiamo il caso del metalmeccanico. Se un’azienda intende assumere un operaio specializzato in CNC, responsabile quindi di lavorazioni meccaniche su macchine a controllo numerico, il riferimento necessario è la categoria C2 o C3 (ex quarto e quinto livello). Il lordo mensile per la C2 è di 1.860,97 euro, che equivale a una retribuzione annua lorda di 24.192,61 euro. Per la C3 il complessivo annuo è poco distante: 25.909,52 euro.

L’ultimo miglio è nelle aziende: formazione, crescita, recupero

Tutto questo per dire che, nell’attività di HR Manager, mi è capitato in queste settimane di incontrare un venticinquenne, competente in ambito di controllo numerico. La mia proposta, sensibilmente superiore a quanto prevede il CCNL, è stata rifiutata perché a sua volta superata da quella di un’altra realtà. Buon per lui, anzitutto. Ma l’esempio è utile per capire che il mercato di chi già oggi può spendere competenze tecniche specifiche è senza dubbio saturo.

A tal proposito mi ricordo una frase del compianto professore e sociologo Domenico De Masi, intervistato qualche tempo fa e che, a precisa domanda sulle possibili strategie per uscire da questa situazione, ha risposto: “Quando mi chiamava Adriano Olivetti, sapevo bene di non poter fornire degli ingegneri specializzati in macchina da scrivere. Ingegneri con un’ottima istruzione di base invece sì. Poi si utilizzava un anno intero per adattare il generico alle esigenze specifiche. Le aziende hanno l’obbligo di assumersi il compito dell’ultimo miglio. La scuola può fornire la base, una formazione alta ma generica”.

Le aziende hanno l’obbligo di assumersi il compito dell’ultimo miglio. Formazione interna, percorsi di crescita, anche il recupero proattivo di coloro che oggi sono fuori dal mercato del lavoro. Chi è strutturato deve necessariamente perseguire queste strade; chi non lo è deve capire che molti sforzi – e molte energie – si devono concentrare in tal senso. Senza pregiudizi e con un costo iniziale che, nel medio termine, può portare buoni frutti.

 

 

 

Photo credits: meccanicanews.com

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