Tecnici specializzati: tutti li vogliono, nessuno li forma, pochi li pagano

Chi forma gli operai specializzati? Gli stipendi di periti e laureati che lavorano nelle scuole sono molto inferiori a quelli che si percepiscono nelle imprese: così l’insegnamento diventa una missione sociale per pochi. L’opinione di Davide Prato (EnAIP Veneto) e Giorgio Spanevello (ITS Academy Meccatronico Veneto).

Chi forma gli operai specializzati? Gli stipendi di periti e laureati che lavorano nelle scuole sono molto inferiori a quelli che si percepiscono nelle imprese: così l’insegnamento diventa una missione sociale per pochi. L’opinione di Davide Prato (EnAIP Veneto) e Giorgio Spanevello (ITS Academy Meccatronico Veneto).

“Con le retribuzioni contrattualmente previste è piuttosto difficile essere attrattivi, a maggior ragione negli insegnamenti di indirizzo come il mio.”

Analizza un aspetto originale Davide Prato, docente di meccanica in forza a EnAIP Veneto, da sempre impegnato nel mondo dei percorsi di istruzione e formazione professionale. Già, perché se negli ultimi mesi il dibattito si è arenato sulle difficoltà vere o presunte delle imprese nel reperire operai specializzati, nessuno si è posto una domanda fondamentale: come si formano i ragazzi senza formatori preparati e ben pagati?

I tecnici sono difficilissimi da scovare, spesso perché molto strutturati nel bagaglio di conoscenze, ma non all’altezza di trasferire agli studenti competenze specifiche; ragion per cui diventa complicato trovare risorse preparate e con particolare orientamento alla formazione. Io mi reputo una mosca bianca, dopo l’istituto tecnico industriale ho deciso di seguire un percorso di studi in scienze della formazione, una sorta di vocazione che non tutti hanno nelle proprie corde. Peraltro, la mancanza di vocazione non è l’unica causa se oggi i professori del mondo meccanico o elettrico latitano pericolosamente.”

Il riferimento alla condizione contrattuale di chi presta servizio nella formazione professionale è scontato. E suona come un ulteriore grido di allarme, visto e considerato che in generale gli insegnanti italiani lavorano di più e percepiscono il 30% in meno rispetto alla media dei colleghi europei.

“Ma la nostra è una situazione ancor più drastica. Intanto perché siamo chiamati a un carico settimanale ben superiore agli insegnanti della scuola pubblica e poi perché, pensando al mio caso, se paragono le trentasei ore spese in istituto con le dieci di consulenza esterna che fatturo a officine e aziende, gli introiti complessivi non sono molto divergenti.”

Un vero peccato, visto che sono in media circa centomila l’anno gli studenti che si iscrivono a questi percorsi di istruzione e formazione. E che insegnare in un centro professionale talvolta si traduce in impegno sociale, dovuto al contesto di comunità nel quale operano i docenti dei CFP, spesso coinvolti con costanza in attività tese a contenere la dispersione formativa.

“E chi lavora con partita IVA vive una situazione se possibile ancora più deficitaria, per non dire alla canna del gas. Parliamo di un fatturato pari a venti, venticinque euro l’ora, che quindi netti diventano poco più di dieci, ai quali devi sottrarre tutte le spese di gestione autonoma”.

La formazione professionale ha bisogno di ingegneri, ma le aziende pagano più delle scuole

Un diverso termine di paragone è in ogni caso utile averlo. La guida ai salari redatta da Hays a fine 2021 fotografa, tra le altre professionalità, anche gli stipendi dei ruoli che periti e laureati in meccanica, elettrotecnica ed elettronica svolgono all’interno delle imprese private. Ebbene, nel mondo dell’engineering, un lavoratore dedicato alla ricerca e sviluppo con un’esperienza minima guadagna dai trenta ai trentacinquemila euro come retribuzione annua lorda. Se parliamo però di profili con significativa esperienza le RAL lievitano, toccando, ad esempio nell’universo automotive, vette dai cinquanta ai sessantamila euro per le mansioni di progettista e project manager.

Vocazione oppure no, perché decidere di insegnare nella formazione professionale davanti ad alternative simili? Questi valori, che subiscono variazioni minime a seconda del settore, rendono l’idea dei percorsi di carriera che uno specialista può incontrare nel mondo impiegatizio R&D. Stesso discorso vale per i manutentori, risorse che magari hanno seguito il medesimo percorso scolastico ma che, per attitudine, scelgono di vivere il campo attraverso il contatto diretto con l’attività di ricerca guasto e riparazione. Anche loro, soprattutto in quanto ricercatissimi sul mercato del lavoro, viaggiano in media a vele retributive spiegate. In questo panorama si inseriscono anche saldatori, meccanici, collaudatori, installatori di impianti, che guarda caso per peculiarità tecniche sono oggi le risorse più complesse da selezionare.

L’indagine del sistema informativo Excelsior di febbraio 2022 ha messo inoltre in evidenza che industria, meccatronica e metallurgia coprono oltre il 50% delle previsioni di assunzione. A riprova di quanto detto finora anche questa ricerca individua nella carenza di figure tecniche specializzate la criticità principale. Insomma mancano, tra gli altri, fonditori, saldatori e caldaisti.

Un cortocircuito impressionante, perché se insegnare queste materie nei CFP è diventata una missione sociale e pure sottopagata, il mondo delle aziende dice al contrario che la domanda di ragazzi con questa formazione è indirettamente proporzionale al numero degli iscritti e alla volontà degli ingegneri di intraprendere un percorso di valore come l’insegnamento.

Insegnanti presi a prestito dalle aziende: problema risolto? “No, servono soldi”

Interessante il punto di vista di Giorgio Spanevello, direttore generale di ITS Academy Meccatronico Veneto, una concreta opportunità post diploma, naturale conseguenza dei percorsi tecnici superiori Giocoforza legata anche ai centri di formazione professionale, nella tipologia di figure professionali da inserire, pur con livelli di conoscenza ben diversi.

“Noi siamo una realtà molto particolare, e lo sottolineo perché non abbiamo nei nostri organici insegnanti assunti con contratto di lavoro dipendente, ma al contrario sono tutti a contratto. Una parte di questi arriva dal mondo delle professioni, per vincoli legati al decreto istitutivo che prevede questa quota obbligatoria fissata al 50%. Per tale ragione cerchiamo, per quanto possibile, di concordare con le aziende socie una concessione di alcune ore dei loro tecnici. In alternativa andiamo a cercare queste figure tra i professionisti e, tra questi, chiaramente puntiamo su chi ha le caratteristiche migliori per approcciarsi all’insegnamento. Chiaro che per noi sono quasi tutti insegnanti che svolgono altri lavori: credo che questa sia nei fatti la differenza principale con le dinamiche della IeFP”.

Ma non potrebbe essere, a mali estremi, una soluzione anche per le scuole professionali incapaci di mettere sotto contratto professori di meccanica? “Non c’è dubbio, possono anche pensare di procedere in questi termini. Però, mi duole dirlo, il problema sono i soldi. Io pago settanta euro l’ora il mio docente a contratto, non so se i CFP hanno queste disponibilità economiche”.

Una situazione che potrebbe creare ripercussioni anche sugli ITS. È assurdo pensare che, a causa delle difficoltà nei centri professionali, a cascata si perdano magari studenti di valore in grado di proseguire sulla strada della maturità e della specializzazione post-diploma? “Obiettivamente da noi in pochi provengono dal percorso di formazione professionale. Noi abbiamo perlopiù diplomati di scuola statale, i CFP come dice lei dovrebbero entrare in terza battuta. Diciamo che siamo su percentuali infinitesimali, anche perché la formazione di base nelle professionali è forse troppo bassa dal punto di vista teorico”.

E dal punto di vista della pratica non è supportata da insegnanti retribuiti e motivati nel migliore dei modi. “Esatto. Tra l’altro, lo dico con onestà intellettuale, i docenti che prestano servizio nei CFP non vedono l’ora di intravedere qualche spiraglio nei concorsi pubblici. Quest’anno, ad esempio, è stato un vero e proprio dramma perché si sono aperte tante strade nella scuola pubblica, e questo ha pesato nelle dinamiche della formazione professionale, soprattutto per i docenti di laboratorio”.

Nel frattempo le organizzazioni si spendono invano nella ricerca di giovani manutentori, con la segreta speranza che i ragazzi tornino a seguire in numero cospicuo le scuole professionali, porto di approdo sicuro per l’accesso diretto al mondo del lavoro. Ma anche se fosse così, poi chi li forma?

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Photo credits: baritoday.it

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