Il digitale azzera le dimensioni di un’impresa

«Fino a pochi anni fa lo slogan più diffuso, quando si parlava di dimensione delle imprese, era piccolo è bello, portando come esempio le numerose piccole e medie imprese – soprattutto del Nord Italia – mentre oggi si afferma completamente l’opposto: grande è bello. È evidente, dunque, che la dimensione dell’impresa è stata nel passato […]

«Fino a pochi anni fa lo slogan più diffuso, quando si parlava di dimensione delle imprese, era piccolo è bello, portando come esempio le numerose piccole e medie imprese – soprattutto del Nord Italia – mentre oggi si afferma completamente l’opposto: grande è bello. È evidente, dunque, che la dimensione dell’impresa è stata nel passato e sarà nel futuro sempre un problema relativo. Non si può generalizzare perché è necessario analizzare singolarmente le diverse situazioni».
Mario Suglia, fondatore e presidente di Nomos Value Research, abbandona con sicurezza il recinto ormai stretto delle dimensioni di un’impresa. Il digitale cancella definitivamente quelle certezze che potevano conferire un determinato valore a un’impresa, prendendo in esame semplicemente le sue dimensioni fisiche. Il mercato scommette sulle grandi realtà imprenditoriali multinazionali come Google oppure Amazon, dove è impossibile definire una dimensione reale.

«Nel nuovo mondo che stiamo costruendo – un luogo in cui il digitale condiziona ogni scelta e ogni movimento della nostra vita – la dimensione dell’impresa acquisisce una rilevanza secondaria. È sicuramente importante ma, quando si affronta questo tema, si devono tenere in debita considerazione le molteplici variabili e i fattori determinanti il fare, anzi l’essere impresa, nel contesto quotidiano. Il digitale – questo nuovo settore o metasettore – si sta imponendo in modo pervasivo condizionando le scelte strategiche, la cultura, i modelli di business, l’organizzazione, i prodotti e i servizi, la comunicazione, la finanza. Il digitale è da considerare alla stregua dell’agricoltura, dell’industria e dei servizi, divenendo anche un fattore condizionante di questi tre asset. Va avviato bene il programma strategico, a livello governativo, meglio conosciuto con il nome di Industria 4.0: la tecnologia digitale (robotica, realtà virtuale, intelligenza artificiale, piattaforme e applicazioni) in connessione con i sistemi fisici, le analisi complesse (analytics) di enormi quantità di dati (big data), gli adattamenti real time, la connessione di macchine intelligenti a Internet. Questa iniziativa non è molto diversa da quelle promosse da molti altri Paesi, sempre basate sul rapporto tra industria e digitale; è utile ricordare alcuni esempi: in Francia si parla di Industrie du Future, in Germania di Industrie 4.0, nel Regno Unito di Industrial Strategy, negli Stati Uniti di Rivitalize American Manufacturing and Innovation Act. Questo per sottolineare che tutto il mondo non solo fa digitale ma è digitale».

Il rapido stravolgimento del paradigma economico impone nuovi parametri. Comprendere il ruolo del digitale diventa un obbligo fondamentale del manager se vuole scoprire quelle nuove strategie di impresa.

«Vivendo in una realtà digitale – prosegue Mario Suglia – non è sufficiente pensare e fare digitale perché è necessario essere digitale. Questo provoca grandi cambiamenti nel modo di pensare le proprie scelte imprenditoriali. La dimensione, in alcuni settori, rientra tra i fattori delle scelte strategiche dell’impresa, senza divenire un elemento determinante, bensì soltanto un componente del proprio posizionamento. Non può essere considerato un fattore determinante, seppure per alcune imprese industriali resti ancora un importante elemento. La grande dimensione è spesso necessaria quando si compete in settori dove il presidio territoriale oppure le tecniche di produzione sono tali che piccole o medie dimensioni non darebbero nemmeno la forza per sopravvivere, senza dimenticare la tipologia di stakeholders. Ma questa scelta strategica deve inevitabilmente fare i conti con l’adozione di nuovi modelli organizzativi che non possono più seguire logiche tipiche dell’era industriale, con rapporti gerarchici e basati solo sull’efficienza; è necessario adottare modelli che esaltino le conoscenze, il lavoro di gruppo (si parla ormai sempre più di team working e di rete di gruppi) e, soprattutto, i valori culturali che sono alla base dell’impresa. La strategia deve essere chiara, trasparente, univoca e basata su valori nei quali ognuno si riconosce. Questo vale, in realtà, per qualunque tipo di dimensione».

Chi è più grande tra Fiat e Google?

Il nuovo orizzonte economico sta evolvendo rapidamente e in maniera significativa su un percorso basato sull’innovazione che stravolge le vecchie regole dell’impresa a cui eravamo abituati nel XX secolo.

«D’altra parte, quando parliamo di dimensione dell’impresa, non ci riferiamo solo al numero di dipendenti, ma anche al suo valore in termini di capitalizzazione e al suo fatturato: se pensiamo che Google ha poco più di quarantamila dipendenti con un valore, in termini di capitalizzazione di borsa, che ormai supera abbondantemente gli 800 miliardi di dollari rispetto, per esempio, a Fiat Chrysler che ha raggiunto una capitalizzazione di borsa superiore ai 32 miliardi di dollari con più di trecentomila dipendenti. Chi è più grande tra le due imprese? È evidente che il settore di appartenenza condiziona le letture e le analisi. È fattore determinante e importante per aziende come Google, Facebook, Airbnb, che sono tutte di fatto soltanto un algoritmo, l’aspetto della dimensione (grande, media, piccola)? Eppure fanno parte della nostra vita e sono presenti in tutte le case e in ogni device che accompagna le nostre giornate».

La straordinaria ricchezza del digitale coinvolge interi settori dell’economia. Nessuno può essere escluso registrando ulteriori cambiamenti dei prodotti. La nuova frontiera economica riguarda le abitudini di tutta la popolazione.

«Il mondo digitale opera come la metafisica: in ogni cosa che tocchiamo, vediamo, ascoltiamo. Sarà sempre più presente negli oggetti creando nuove relazioni tra questi e le persone che li usano. Il digitale è nel contesto quotidiano e futuro dei nostri vestiti, del packaging di ciò che mangiamo, del libro che leggiamo. Si è aperto un mercato enorme per la progettazione di ogni oggetto, per la produzione, per la lettura e la gestione di miliardi di dati che si generano continuamente. Le imprese italiane sono pronte?».

Il grande valore delle imprese italiane, compresa la sua creatività, non viene esaltato mentre i manager si trovano impreparati alla sfida del digitale che indubbiamente rappresenta una risorsa da sfruttare adeguatamente.

«Sono un imprenditore, incontro molti soggetti e non posso non leggere i grandi cambiamenti in corso. Ci sono molte imprese italiane e molte start up che stanno producendo oggetti digitali di grande valore: ciò che ancora manca è da una parte la capacità imprenditoriale di prendersi i rischi di un eventuale fallimento della propria idea; dall’altra, un sistema finanziario che sostenga lo sviluppo di idee e di progetti innovativi. Oggi vedo molti eccellenti inventori mentre sono ancora pochi i bravi e audaci imprenditori: si hanno grandi idee ma spesso non si ha chiaro il modello di business. Sul fronte finanza escludo, in questo momento, il sistema bancario come attore principale di sviluppo. Mentre il venture capital italiano, che dovrebbe essere ciò che dà la spinta propulsiva, è ancora immaturo e investe troppo poco nelle poche operazioni su cui decide di intervenire. Eppure, la finanza straordinaria sta vivendo un momento di sviluppo. Nel mondo anglosassone (USA in particolare) le aziende come Google, prima di diventare ciò che sono, hanno fatto operazioni di finanza straordinaria per qualche miliardo di dollari. In Italia, al momento, è impensabile».

 

(Photo credits: unsplash.com/Nadine Shaabana)

 

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