Informazione da vendere: la doppia anima del giornalismo

La diffusione di Internet oggi ha dato il via a una proliferazione di siti Web e piattaforme social. Ormai in Rete si può leggere qualsiasi cosa, scritto da qualunque persona, dall’uomo della strada ai blogger, passando per gli influencer. In questo quadro la figura del giornalista è sempre più in crisi. Ma il contesto è […]

La diffusione di Internet oggi ha dato il via a una proliferazione di siti Web e piattaforme social. Ormai in Rete si può leggere qualsiasi cosa, scritto da qualunque persona, dall’uomo della strada ai blogger, passando per gli influencer. In questo quadro la figura del giornalista è sempre più in crisi.

Ma il contesto è in evoluzione, e le reazioni dei giornalisti sono variegate. C’è chi rimane ancorato al giornalismo tradizionale, chi abbandona la professione per dedicarsi alla comunicazione, chi apre un suo blog personale o chi prova a dare vita a una testata, solitamente online. Non bisogna dimenticare neppure le condizioni precarie alle quali spesso i giornalisti sono sottoposti. È quasi ovvio che se un giornalista è pagato pochi euro tenderà a scrivere notizie che gli tolgono il minor tempo possibile, magari riportando un comunicato stampa aggiustato qua e là, o non prestando la dovuta attenzione alle regole deontologiche per quanto riguarda l’informazione pubblicitaria.

C’è anche però chi – editore o giornalista – ricorre agli influencer o agli esperti di marketing nelle redazioni (è noto, per esempio il caso di Condé Nast e il richiamo del presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, Alessandro Galimberti, al rispetto delle norme professionali) o chi cerca una nuova via nel brand journalism, una forma di giornalismo che racconta l’impresa. Si apre quindi un discorso su una sorta di doppia anima giornalistica, quella tradizionale e quella più commerciale, nata da varie esigenze.

Trend dell’editoria in contrazione. Boom dei Social

Il punto di origine della riflessione non può che essere un quadro della situazione editoriale oggi. Secondo i dati riportati da AGCOM nel suo Osservatorio sulle comunicazioni datato aprile 2018, il trend dell’editoria italiana continua a essere in contrazione. Nel dicembre 2017 la vendita di quotidiani (sia le copie cartacee sia quelle digitali) è risultata di poco superiore ai 2,8 milioni di copie, con una flessione del 10% rispetto allo stesso mese del 2016. In compenso è aumentato l’utilizzo di Internet e dei social, con i 26,8 milioni di utenti unici per Facebook, 2,9 milioni per Instagram e 9,8 milioni di utenti unici per LinkedIn, solo per citare qualche esempio.

Internet e la “crisi di fiducia”

Ma AGCOM va oltre, e nello stesso documento scrive: “L’abbondanza di contenuti disponibili in Rete, coniugata a nuove forme di diffusione, in cui è difficile distinguere tra fatti verificati e opinioni, in cui è più difficile riconoscere l’autorevolezza della fonte, ha contribuito a una crisi di fiducia generalizzata che aggrava quella in cui versa il sistema dell’informazione”.

Vediamo qualche dato: dopo la televisione, Internet è il secondo mezzo per finalità informativa. Circa il 70% della popolazione lo utilizza per informarsi, principalmente tramite social e motori di ricerca (36,5% nel 2017), ma anche attraverso siti Web o app di quotidiani locali e nazionali, di tv e di periodici, e una piccola percentuale tramite testate esclusivamente digitali e radio.

Nel mondo di Internet nasce il problema di riconoscere l’affidabilità delle fonti. Ecco allora che secondo AGCOM solo il 15,9% della popolazione considera le testate online affidabili, mentre il 30,4% considera affidabili i siti dei quotidiani. Diventa dunque importante mantenere o accrescere il clima di fiducia con i lettori. Ma c’è di più. Secondo i dati Audipress del 22 maggio 2018, oltre quaranta milioni di italiani leggono o sfogliano un titolo stampa su carta o digitale. Al di là quindi della contrazione, è chiaro che il rapporto con il lettore deve essere salvaguardato.

Pubblicità in calo per quotidiani e periodici

Poi c’è la pubblicità. L’85% degli editori del Web si finanzia prevalentemente con la pubblicità online, offrendo gratuitamente i contenuti. Solamente il 13% degli editori Web offre contenuti a pagamento, in particolare le testate iperspecializzate. Il 70% della pubblicità viene venduta tramite propri canali di vendita, mentre quando avviene l’intermediazione questa si verifica soprattutto attraverso Google (circa il 14%).

La pubblicità è fondamentale, dunque. Vale per le testate cartacee, ma vale ancora di più per quelle digitali. Secondo la stima del mercato pubblicitario di Nielsen, la stampa risulta essere in negativo: tra gennaio e marzo 2018 quotidiani e periodici hanno un calo rispettivamente pari al -9,3% e -11% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In generale, il settore dell’editoria ha un calo del 3,5%. La stampa cartacea e digitale deve quindi affrontare anche la difficoltà di consolidare gli investimenti pubblicitari.

Il caos del giornalismo odierno: l’opinione di tre esperti

Il risultato è evidente. Il giornalista (direttore di testata o caporedattore) o l’editore devono fare gli equilibristi tra la ricerca di un modo economico per sostenersi – destreggiandosi tra cali di vendite e di spazi pubblicitari – e la salvaguardia dell’informazione, rispettando i codici deontologici in materia e il patto di lealtà e trasparenza con il lettore. Di contro, i giornalisti esterni alle redazioni devono fare i conti con un impiego impegnativo e poco remunerativo.

In questo contesto si consolida dunque il concetto di doppia anima del giornalista: quella fedele alla notizia e all’informazione corretta e quella più strettamente commerciale, divisa a sua volta tra coloro che cercano un punto di equilibrio e mantengono l’informazione corretta e coloro che invece optano per vere e proprie operazioni di marketing.

Dunque come si può coniugare questa doppia anima senza venire meno ai precisi doveri deontologici e al patto di lealtà e fiducia tra giornalista e lettore? È possibile celebrare il matrimonio tra giornalismo e marketing? Quello che è certo è che urge una riflessione consapevole sul tema. Ne parliamo con tre esperti, i giornalisti Roberto Zarriello e Gianni Bonina, oltre a Jessica Malfatto, Digital PR Specialist.

Bonina.Malfatto, Zarriello

 

Gianni Bonina: “L’età dell’oro è tramontata”

Giornalista, scrittore e autore teatrale italiano che attualmente collabora con La Repubblica di Palermo e che ha all’attivo diversi libri inchiesta, riconoscimenti, collaborazioni importanti, ha fondato e diretto fino al 2012 la rivista culturale Stilos: Gianni Bonina è chiaro sul rapporto tra pubblicità e giornalismo.

“La stampa sconta oggi un difetto di fabbrica originario: l’aver accolto – soprattutto dall’avvento della televisione e in concorrenza a essa – inserzioni pubblicitarie che gli editori hanno cercato nel tempo di rendere ‘redazionali’, e che i giornalisti hanno sempre provato a tenere separate, specificandone anche la natura. Questo braccio di ferro, che si è andato sviluppando con esiti volti a fare commistione tra le due sfere e strategie dirette a dare più visibilità alle inserzioni, non sarebbe mai nato se, come per i libri e i testi scolastici, la réclame fosse stata ritenuta un corpo estraneo. L’invadenza della pubblicità nella stampa, sostenuta massimamente dagli editori, è cresciuta in controtendenza rispetto all’idea di stampa come espressione dell’opinione pubblica, capace di determinare scelte esclusivamente politiche. Man mano che la stampa ha perso terreno e ha influito sempre meno sulla coscienza collettiva, la pubblicità si è fatta più presente nel proposito di mutare il lettore in consumatore, destinatario di informazioni intese a condizionarne non solo le opinioni, ma anche e soprattutto i gusti.

“A questa mutazione genetica del lettore ha contribuito la versatilità alla quale si è prestata la professione giornalistica, pesantemente contaminata dall’infotainment televisivo (poi diventato infoshow) cui non ha saputo fare argine, e resa liberamente accessibile a figure complementari quali i fotografi e i cameramen. L’avvento del Web e la proliferazione dei giornali online, opera perlopiù di figure non formate nelle redazioni tradizionali, professionalmente improvvisate e quindi prive di quella consapevolezza che portava ex professo a separare il giornalismo dalla pubblicità, ha accelerato il processo di disgregazione sia del mondo giornalistico che dell’offerta di informazione. E ciò con buona soddisfazione degli editori, soprattutto locali, che – in base ai punti fedeltà, prevalenti ormai su quelli qualità – premiano sempre più quei giornalisti che non oppongono riserve su articoli smaccatamente promozionali, né ignorano le ditte che fanno pubblicità”.

Un quadro quello di Bonina che vede un cambio di ottica progressivo, e che porta a pensare che l’anima del giornalista vero e proprio perda terreno. “Invale sempre più una forma di giornalismo il cui l’annuncio ha sostituito la notizia, sicché è possibile trovare titoli del tipo Ecco perché il sindaco si è dimesso quando era il motivo delle dimissioni a formare il titolo stesso. Di qui la strada alle fake news e al brand journalism è stata breve, anche grazie all’adozione di una modalità, lo storytelling, che funge da collante tra giornalismo e marketing. La strada è stata breve perché si è scoperto che anche il lancio di un prodotto costituisce una notizia, alla quale il consumatore è interessato nel proposito di migliorare la propria qualità della vita”.

“Alla fine il mestiere non sarà di riferire fatti, ma di raccontarli rappresentandoli. Semmai, dunque, c’è stata un’età dell’oro nella quale i giornali davano notizie e la pubblicità era un eccipiente; di quell’età si può ben dire che è tramontata. In un prossimo futuro un bravo giornalista sarà colui che saprà porsi come intermediatore, oltre che tra il fatto e il lettore, anche tra il prodotto e il consumatore. In vista di questo esito sta già mutando il linguaggio, divenuto più sloganistico, più enfatico, più ricco di aggettivi e avverbi, più gridato e ammiccante. Dal deprecabile understatement rimproverato alla stampa di ieri, timorosa davanti al potere politico, si sta passando al più corrivo uso dell’iperbole”.

Secondo Bonina, però, la notizia si fa sempre riconoscere: “Personalmente credo tuttavia che la centralità assunta dal destinatario e dal beneficiario della notizia o dell’annuncio sarà determinante nella scelta tra un’offerta e l’altra. Curiosamente, mentre la stampa sta esperendo sforzi, naturalmente su iniziativa degli editori, per assimilare la pubblicità all’informazione in maniera sempre meno subliminale, sempre più esplicita e sfacciata, il consumatore si è fatto più avvertito e ha affinato la capacità di fare distinzione. Alla fine rimane la vecchia regola per cui la notizia si fa strada da sola, magari viaggiando oggi su mezzi diversi e con compagni di strada di dubbia affidabilità, ma sa farsi ancora riconoscere da chi vuole riconoscerla”.

Jessica Malfatto: “Scrivere per informare”

Una doppia anima che porta la professione alla sua progressiva decadenza, dunque? Secondo Jessica Malfatto no. Jessica è Digital PR Specialist e co-fondatrice di Digitalpr.pro, agenzia che si occupa di consulenza e formazione nell’ambito delle Digital PR. Jessica ha scelto di passare dal giornalismo (ha collaborato come giornalista con RCS e con il Gruppo Mondadori) all’attività di comunicazione, supportando le aziende e le giovani startup nella comunicazione dei loro servizi, scrivendo libri sulle strategie di Digital PR e partecipando a numerosi convegni.

“Il giornalismo, a livello professionale, è stato il mio primo amore e devo tantissimo a questo mestiere. Ho scritto il mio primo articolo su una testata giornalistica a 19 anni e pensavo che quella sarebbe stata la mia strada. Ne ero davvero convinta. Poi, in realtà, mi sbagliavo. Mentre studiavo all’università ho iniziato ad affiancare agli studi anche un’attività di ufficio stampa. È qui che è scattato un altro innamoramento, ma si trattava di un sentimento più consapevole rispetto al primo. Se per il giornalismo avevo sperimentato il classico ‘colpo di fulmine’, con la comunicazione (intesa in questo caso come ‘ufficio stampa’) sentivo di aver trovato un mestiere che corrispondeva al mio ‘per tutta la vita’. Vedevo nella comunicazione a livello di ufficio stampa la possibilità di mescolare da un lato l’approccio giornalistico (dove la curiosità deve essere alla base di ogni azione) e dall’altro l’opportunità di esprimersi raccontando e cercando di portare alla luce gli elementi più interessanti di un progetto, di una storia. Ho trovato in questa professione la mia dimensione ideale”.

Secondo Jessica c’è una priorità assoluta che deve essere seguita quando si fa giornalismo: “Scrivere per informare, non scrivere per descrivere o per mettere in risalto. E per informare abbiamo bisogno, di un ‘salotto di punti di vista’. Un direttore di un giornale per cui avevo lavorato mi aveva detto: ‘Il bravo giornalista, in ogni articolo, deve saper creare un salotto in cui i protagonisti sono tutti i punti di vista, con le loro informazioni, anche se contrastanti’. Credo sia questo l’approccio corretto nei confronti dei lettori. E penso si possa mantenere, anche se ci si trova di fronte a contaminazioni dal punto di vista commerciale”.

Il racconto che riguarda un’azienda secondo Jessica può essere informazione, ma solo se “non si ferma al comunicato che viene inviato dall’ufficio stampa. Se ad esempio fossi un giornalista e ricevessi un comunicato riguardante una giovane impresa che ha sviluppato un progetto interessante, chiederei subito di intervistare il fondatore, proverei a osservare il progetto dal punto di vista numerico – da una parte – e dal punto di vista umano – dall’altra parte. Tenterei di trovare il modo giusto per raccontarlo ai miei lettori, facendo riferimento anche al contesto di riferimento, e se necessario anche ad alcuni competitor”.

Oltrepassare dunque il comunicato stampa, per non scivolare in una sorta di pubblicità mascherata da informazione. “Penso che la vera sfida del giornalismo sia quella di mantenere intatto il proprio approccio profondamente critico e analitico (senza tralasciare comunque l’aspetto umano) anche quando si trova di fronte alla necessità (o per meglio dire, al desiderio) di raccontare un prodotto, un servizio o un’azienda. La sfida è cercare di informare il lettore in un modo pulito, onesto e consapevole senza cadere nel commerciale, nella ‘marchetta’ (ovviamente se parliamo di articoli ‘naturali’ e organici e non di operazioni editoriali a pagamento). Il giornalismo vero è quello che non si ferma al comunicato stampa, ma va oltre”.

La doppia anima del giornalista è quindi per Jessica “in qualche modo legittima, perché da una parte gli editori devono ovviamente portare avanti il cuore del giornalismo, e dall’altra devono trovare e sviluppare delle modalità per rendere economicamente sostenibile il modello proposto, sul lungo periodo. Tutte queste necessità devono convivere, anche con uno sguardo al lato economico, che è fondamentale. E il giornalismo ha il compito di essere, appunto, ‘giornalismo’, cercando di esprimersi al meglio anche nella comunicazione sulle aziende, senza scivolare in una tendenza puramente pubblicitaria”.

Il brand journalism, comunicare un brand. Il commento di Roberto Zarriello

In mezzo a questo equilibrismo c’è un nuovo settore del giornalismo, quello esplicitamente e chiaramente rivolto a raccontare tutto ciò che riguarda l’impresa e il suo settore: il brand journalism. Ne parliamo con Roberto Zarriello, giornalista, saggista e docente. Fra le altre cose, Zarriello è coordinatore dell’area Regioni di Tiscali.it e giornalista per il gruppo Espresso.

“Il brand journalism si occupa dell’impresa, ovvero di tutto ciò che ruota attorno a un brand, con l’obiettivo di informare i lettori sulla storia dell’azienda, raccontare fatti e avvenimenti legati al settore di riferimento dell’impresa. Non è pubblicità, ma informazione specifica e settoriale. Perciò, tutti i settori possono potenzialmente trarne beneficio. Nel brand journalism l’editore coincide con l’azienda. Attenzione però: il brand journalist non offre la propria professionalità per promuovere un bene o un servizio del marchio (anche perché non è mai coinvolto direttamente nelle vendite), ma per raccontare l’azienda e il mondo che la circonda, fornendo un servizio di pubblico interesse”.

Una funzione nuova e precisa, quella descritta da Zarriello. “Nel contesto dell’informazione e della comunicazione odierna, il brand journalism ha una sua nicchia che diventa ogni giorno sempre più interessante. Le aziende aumentano i loro investimenti in comunicazione e informazione perché hanno capito che in questo modo possono raggiungere più facilmente il loro target, fidelizzarlo e informarlo sulla storia, i principi e i valori del brand. Alla lunga tutto questo fa la differenza tra un’impresa stabile e di successo e un’azienda a rischio concorrenza. Onestamente credo che il marketing si occupi solo parzialmente di tutti questi aspetti”.

“Concetti come piano editoriale e calendario editoriale sono sicuramente centrali in un progetto editoriale che mira per esempio alla creazione di un brand magazine. Per fortuna il mondo si evolve, quindi anche il giornalismo si adegua ai tempi. Un’economia sempre più globale e la nascita e lo sviluppo del Web e dei social hanno fatto crescere tra imprese e professionisti l’esigenza di gestire e governare spazi di confronto con il loro ‘pubblico’ in maniera sempre più diretta. Le stesse aziende, quindi, hanno sentito la necessità di informare la propria utenza, non solo su beni e servizi prodotti, ma anche sulla storia del marchio e su altre news di settore. Non più comunicazione pubblicitaria, dunque, ma informazione mirata, realizzata con tecniche e strumenti giornalistici da giornalisti iscritti all’albo professionale”.

No alla pubblicità travestita da notizia

Un quadro complesso che porta però a una sola conclusione certa: fare del giornalismo vuol dire fare informazione. In qualunque modo si intenda, è un lavoro complesso. La doppia anima del giornalista, se di questo si può parlare, deve necessariamente restare fedele a due punti fondamentali: il rispetto del lettore e l’informazione, senza scivolare in pubblicità travestita da notizia.

 

Photo by JD Lasica [CC BY-NC-ND 2.0] via Flickr

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