Insuperabili, nel calcio e nel lavoro

“Siamo partiti da Torino nel 2012 con quattro atleti. Ora sono più di 520 in 13 Scuole Calcio in tutta Italia e altre stanno per aprire. Ma il nostro sogno è realizzare un centro sportivo interamente gestito dai nostri ragazzi”. Le parole di uno dei fondatori – Davide Leonardi – presentano gli Insuperabili. Nome da […]

“Siamo partiti da Torino nel 2012 con quattro atleti. Ora sono più di 520 in 13 Scuole Calcio in tutta Italia e altre stanno per aprire. Ma il nostro sogno è realizzare un centro sportivo interamente gestito dai nostri ragazzi”. Le parole di uno dei fondatori – Davide Leonardi – presentano gli Insuperabili. Nome da cartoon, ma dietro c’è un progetto concreto, mosso da una nobile mission: aiutare i ragazzi disabili a inserirsi nella società, attraverso il calcio e il lavoro.

 

Il progetto degli Insuperabili

Un progetto innovativo per l’Italia, diventato in pochi anni un vero e proprio modello. Partito quasi per caso, da due amici torinesi: Davide Leonardi ed Ezio Grosso, impiegati di banca con la passione dello sport. “C’era Micaela”, racconta Davide, “una nostra amica con sindrome di Down, patita di calcio. Abbiamo cercato una squadra in cui farla giocare, ma senza risultati. Sul web tutto rimandava a progetti esteri, russi e inglesi. Abbiamo studiato i loro modelli e ne abbiamo creato uno nuovo, adattabile al nostro Paese. Lo abbiamo presentato a scuole e a strutture che operano con i disabili, ma nessuno ci ha dato ascolto. Alla fine abbiamo rischiato in prima persona: io ed Ezio abbiamo lasciato il lavoro e ci siamo lanciati in quest’avventura, partendo con quattro ragazzi, le cui famiglie ci hanno dato fiducia sulla parola”.

Il resto è storia. Una bella storia. A forza di bussare, si apre la porta giusta: quella di Reset Group di Davide Lippi – figlio di Marcello, ex ct della Nazionale – e Carlo Diana. Con le competenze del nuovo partner, il progetto si estende. Nuove Insuperabili Reset Academy sorgono nelle grandi città (Roma, Milano, Napoli, Genova, Bologna, Firenze) e in altre aree strategiche (Ivrea, nel bergamasco, nel veronese, Chioggia, nel leccese e a Siracusa). In più gli Insuperabili vengono adottati da una squadra di testimonial d’eccezione, calciatori (e calciatrici!) molto conosciuti: Giorgio Chiellini, Gianluigi Buffon, Gianluigi Donnarumma, Papu Gomez e tanti altri, compreso lo stesso Marcello Lippi.

Sette anni di attività sul campo con gli atleti (ragazze e ragazzi con disabilità fisico/motoria e intellettivo/relazionale), grazie al supporto di staff composti da tecnici qualificati, psicologi, educatori professionali, fisioterapisti e logopedisti. Ma anche al di fuori, con nuove iniziative. Tutte coi ragazzi al centro del progetto. Come l’apertura dello Shop nel 2017, sempre a Torino, vicino allo stadio Olimpico: un negozio di abbigliamento nel quale vendere anche i prodotti firmati Insuperabili creati dagli stessi atleti. Prosegue Leonardi: “Il nostro sogno è avere un impianto sportivo gestito interamente dai nostri ragazzi, costruito intorno a loro. Il lavoro è una delle componenti, per un’attività così bisogna creare le competenze e lo Shop nasce per far apprendere ai ragazzi le mansioni. Si tratta solo del primo step”.

 

Gli Insuperabili al lavoro in un negozio di abbigliamento

L’integrazione dei disabili passa dallo sport. E dal lavoro

Dopo quelli da calciatore, per gli Insuperabili si passa a imparare nuovi ruoli: commesso, magazziniere, addetto alle pulizie. Ma soprattutto aspetti tipici del lavoro, come le regole, gli orari, le gerarchie e i rapporti coi colleghi. Concetti già in parte appresi in campo. Con l’aiuto di due psicologhe, inserite come responsabili del negozio, si punta a creare gli strumenti per valorizzare i ragazzi, tenendo conto delle caratteristiche dei singoli. “Alcune mansioni sono più affini per qualcuno e meno per altri. Non tutti sono portati per il rapporto con la clientela, mentre alcuni sono molto bravi in attività routinarie come la gestione del magazzino. Questo è un contesto particolare, i ragazzi non conoscono le loro caratteristiche e dobbiamo scoprirle insieme”.

A due anni dall’apertura i dati sono incoraggianti, dal punto di vista quantitativo e qualitativo. Come conferma ancora Davide Leonardi: “Attualmente abbiamo 11 ragazzi che si alternano in negozio, ma sono più di 20 quelli che hanno svolto almeno un ciclo. Alcuni sono qui fin dal primo giorno, altri sono passati a lavorare in altri contesti. Il nostro obiettivo è dare loro le competenze per cavarsela in ogni contesto. Faccio un esempio concreto. Davide è un ragazzo che si allena con noi da tempo. Aveva già avuto esperienze lavorative, ma non duravano più di due o tre settimane prima che emergessero difficoltà. Dopo aver trascorso un periodo in negozio, dove gli abbiamo dato le giuste sicurezze, ha trovato occupazione in un bar e attualmente è arrivato al terzo mese di impiego. A dimostrazione che, se le richieste sono adeguate, i ragazzi sanno cavarsela. Presto un paio di altri verranno impiegati nel centro sportivo di Grugliasco (cintura di Torino) che ospita la nostra Academy. Inoltre siamo in contatto con Alberto Marchetti per poterne inserire altri nelle sue gelaterie. E di questo siamo orgogliosi”.

 

La squadra degli Insuperabili

 

I disabili come modelli

Due anni di soddisfazioni, ma non sono mancati anche i momenti difficili. Uno, di recente, ha portato gli Insuperabili al centro dell’attenzione mediatica. “Nel progetto dello Shop non abbiamo voluto ispirarci a nessuno. Il nostro intento era di pensare in maniera diversa, anche su indicazione delle famiglie che spesso si lamentavano di ciò che c’è in giro. Abbiamo le nostre idee, non sappiamo se sono giuste. In alcuni casi abbiamo sbattuto la testa contro il muro e abbiamo preso fregature. Ma tutto ci ha aiutato a crescere. Anche il furto subìto a metà febbraio. L’aspetto più difficile è stato recuperare moralmente i ragazzi, che hanno reagito male. Hanno un modo differente di elaborare le situazioni, erano scossi dopo aver visti violati il loro spazio e la loro quotidianità. Abbiamo dovuto far capire che le cose brutte possono accadere e non serve arrabbiarsi col mondo, ma bisogna accettare e reagire in modo positivo, ripartendo col sorriso. I nostri testimonial ci hanno aiutato, con messaggi di supporto sui social, ma anche con attività concrete. In collaborazione con Le Iene e CharityStars, hanno accolto i nostri ragazzi e donato le loro maglie da mettere all’asta”.

Gli Insuperabili hanno superato anche questo, riprendendo le mansioni di commessi e di modelli. Sì, perché a promuovere i prodotti sono i ragazzi stessi. “In Italia i disabili sono lasciati spesso al degrado più totale, vengono dati loro vestiti inadatti, senza badare alle taglie. Viviamo in un mondo in cui l’immagine è importante: come ti vesti, come ti presenti. Non è vero che il ragazzo disabile non è bello; si perde se è trasandato. Se invece gli facciamo capire come valorizzare l’immagine diventa un esempio, e non solo per gli altri disabili. Con la necessità di promuovere i prodotti, i ragazzi rappresentavano i migliori modelli. Guardate Zanardi e Bebe Vio: sono testimonial fantastici per valorizzare la figura dell’atleta”.

Sull’onda dello shop di Torino, presto nuovi corner verranno aperti nelle varie Academy, in modo da coinvolgere altri ragazzi. Quello del centro sportivo autogestito è un sogno ancora a lunga scadenza. Magari in concomitanza con il decennale dell’associazione.

Ma prima c’è da migliorare il mondo della disabilità in Italia, e il calcio può dare un aiuto. Davide Leonardi ha la sua ricetta. “Siamo indietro, si fa del buonismo e del politicamente corretto un cavallo di battaglia. Il disabile non deve essere concepito come un peso. Se messo in condizione di fare, può creare PIL e reddito. Siamo orgogliosi che anche la FIGC abbia riconosciuto il nostro modello, che si basa sulla rielaborazione di tutte le attività svolte. La crescita dei nostri ragazzi non è solo teorica: sono migliorati come equilibrio, nella relazione con gli altri, nel gestire le emozioni, e ci gratifica quando portano questo equilibrio anche fuori. C’è ancora tanto da fare; intanto speriamo che il calcio disabili possa essere riconosciuto. Lo sport può essere un veicolo di vera integrazione, ma solo se i disabili acquisiscono le competenze per stare in un contesto di normodotati, con la giusta tranquillità da entrambi i lati. Allora quella è vera integrazione. Altrimenti lo sarà solo a parole”.

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